Nascita del nuovo governo e primi cambiamenti nel quadro politico

Bisogna prendere atto che la strategia messa in campo nell’ultimo anno e mezzo da Matteo Renzi  si è rivelata giusta e vincente.

Sulla carta si poteva o no essere d’accordo.
Zingaretti ad esempio non era d’accordo, nell’estate 2019, sul fatto che per evitare che la destra sovranista assumesse la guida del Paese bisognava impedire che si andasse al voto.
Fino a pochi giorni fa (altro esempio) il Pd, Leu e il M5s erano convinti che il governo Conte 2 fosse il miglior governo possibile per portare fuori dalla pandemia il Paese e per predisporne il rilancio economico utilizzando le ingenti risorse europee. E consideravano irresponsabile aprire una crisi di governo.

Oggi sappiamo quasi per certo che se nell’estate 2019 si fosse andati al voto ne sarebbe risultato un governo sovranista guidato da Salvini e Meloni. Lo sappiamo perché il centrosinistra ha continuato ad essere maggioranza in parlamento ma mai maggioranza nel Paese: elettoralmente parlando il Pd che si è liberato di Renzi è rimasto al punto in cui lo ha lasciato il suo ex segretario (i sondaggi di oggi danno al Pd il 18,7% esattamente la stessa percentuale del marzo 2018), Leu idem, mentre i Cinquestelle, a dimostrazione del fatto che il loro successo era effimero, hanno incominciato a perdere voti fin dal giorno dopo il 5 marzo 2018 e non hanno mai smesso di perderne, fino a passare dal 32,2% al 14% circa di oggi.

Oggi sappiamo per certo che nel mese di dicembre la Commissione europea, come ha raccontato il commissario all’economia Paolo Gentiloni, aveva dato un parere molto negativo sulla bozza di PNRR ricevuta dal governo italiano e un giudizio altrettanto negativo nel mese di gennaio anche sulla bozza corretta con l’aggiunta di qualche integrazione sulla base dei suggerimenti prodotti dal gruppo di Italia Viva (i suggerimenti erano buoni ma il Piano rimaneva senz’anima, senza una visione del futuro del Paese,  e soprattutto senza un preciso quadro di riforme sulla Giustizia e sulla Burocrazia, riforme che devono accompagnare gli investimenti per poter accedere realmente ai fondi del Next Generation Eu). Insomma sappiamo per certo che vi erano buone possibilità che il Piano o gran parte di esso venisse  bocciato e il paese avrebbe rischiato di perdere l’opportunità dei fondi europei.

In politica, se si hanno idee ritenute giuste bisogna anche avere il coraggio di renderle vincenti. E il coraggio, insegna Luciano Violante in “Insegna Creonte”, consiste nel non essere mediocri, mettere in primo piano l’interesse nazionale anche contro gli interessi della propria parte politica e del proprio elettorato. Nel caso specifico, votare la fiducia al governo Conte  giudicato negativo per gli interessi del Paese (ottenendo in cambio dei vantaggi per la propria parte politica) avrebbe significato, per l’ex leader del Pd, non avere il coraggio di spendersi per una causa ritenuta giusta: determinare la caduta del governo e creare le condizioni per la nascita di un nuovo esecutivo.

Confondere il coraggio con l’irresponsabilità non è solo un errore, è guadagnarsi “un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né la vittoria né la sconfitta”. E poiché, sempre secondo Violante, in politica non ci sono regole prestabilite, la validità delle azioni la si può giudicare solo dai risultati.

Quanto ai risultati, appunto, siamo di fronte, per ora, ai seguenti dati di fatto:

  • Ora a capo del governo italiano c’è una personalità di grande competenza sulle questioni “tecniche” di tipo economico e finanziario e anche di grande spessore “politico” (si veda quanto Draghi ha fatto in passato sul piano nazionale e internazionale). Sicuramente in grado, quindi, di produrre un PNRR all’altezza di quanto richiesto dall’Europa. All’orizzonte non ci sono più le chiacchiere sulla “decrescita felice” ma la prospettiva di una crescita e di uno sviluppo economico del Paese.
  • Ora la costruzione di un Piano di interventi strategici per il Paese è in mano ad un premier che sa perfettamente che quel piano deve essere accompagnato anche da una serie di riforme altrettanto strategiche riguardanti, in primo luogo,  il funzionamento della giustizia e della burocrazia.
  • L’avvio di un governo con una chiara impronta europeista ed atlantista che riceve la fiducia da parte di quasi tutte le forze politiche presenti  nel Parlamento e soprattutto da parte di quello che è il primo partito del Paese (al di la del fatto che la svolta operata dalla Lega possa essere considerata più o meno credibile) produce un effetto di grande stabilità del quadro politico.

Contemporaneamente assistiamo ad un fatto assolutamente inedito, perlomeno negli ultimi tre anni: un cambiamento nel modo in cui le varie forze politiche, i vari leader presentano le proprie scelte ai propri elettori. Cambiamento che riguarda sia i contenuti dell’azione politica (tutti dicono di voler dare priorità a ciò che è più urgente e più giusto fare, di voler dare priorità al bene comune piuttosto che a ciò che porta più consenso al proprio partito) sia il modo di fare politica (tutti si dichiarano impegnati nella ricerca del confronto e della collaborazione anche con chi fino ieri è stato considerato un nemico).

Date tali manifestazioni di pragmatismo possiamo aspettarci che anche in futuro avremo una politica più improntata alla concretezza  ed alla ricerca delle soluzioni più opportune per i problemi del Paese, piuttosto che alla difesa intransigente di posizioni di convenienza che hanno come unica logica la lotta per il potere?
Dubitiamo molto.

Certamente Draghi sta svolgendo una funzione di moderazione dello scontro tra schieramenti e tra leader. Se l’operazione Draghi avrà successo sarà sicuramente un bene per il Paese (in termini di stabilità politica e di miglioramento della realtà economica e sociale).

Può anche darsi che l’assetto politico attuale subirà qualche variazione. Per ora assistiamo a semplici operazioni di (ri)posizionamento e a dichiarazioni di intenti.

Il M5s è alla ricerca di una sua autonoma collocazione (probabilmente al centro) all’interno dello schieramento politico, mentre rimane in piedi l’alleanza con il Pd e Leu. Di Maio e gli altri capi politici delle varie ali del Movimento devono ancora decidere se questa alleanza dovrà essere sempre più organica, come disperatamente sperano i gruppi dirigenti dei democratici e i dalemiani dell’estrema sinistra. Disperatamente, perché in questo ultimo anno e mezzo hanno dedicato tutte le loro energie per costruire tale alleanza. Senza la quale sembra non siano in grado di dare un senso all’esistenza dei rispettivi partiti.

Ma, come scrive Mario Lavia su Linkiesta, “dietro l’unanimismo di facciata, in realtà al Nazareno è partita sottotraccia una discussione su che senso abbia puntare tutto su un partito indebolito e forse sul viale del tramonto. Come ha scritto Marianna Madia, partendo dalla incredibile figuraccia sulla esclusione delle donne dem dal governo, ‘appaltare il green ai Cinque stelle, la protezione sociale a Leu, i temi dell’economia  e della crescita a Carlo Calenda o Italia Viva, ci riduce al partito della responsabilità degli equilibri generali, troppo lontano, troppo al di sotto della missione storica per cui siamo nati’.”

Nello schieramento opposto, il centrodestra, come tutti ormai sanno, la Lega è diventata europeista (almeno a parole) e sembra che stia trattando per entrare a far parte del Partito popolare europeo. Ma Salvini non ha  archiviato solo il sovranismo. Anche il razzismo non è più nelle sue corde: dice che sul problema immigrazione dobbiamo seguire la linea di Macron e della Merkel.
“Grandi” improvvisi cambiamenti anche in Forza Italia, dove la linea riformatrice di Mara Carfagna che fino a ieri era minoritaria è diventata maggioritaria.

Tra i partiti che hanno una certa consistenza elettorale solo Fratelli d’Italia rimane chiuso ad ogni cambiamento di posizioni: sia in Italia che in Europa Giorgia Meloni non intende fare alleanze con partiti e governi che non siano sovranisti.

Le formazioni minori, di orientamento liberal democratico, auspicano che si giunga quanto prima alla consapevolezza che le politiche espresse dai movimenti populisti e sovranisti (presenti in entrambi i poli che definiscono l’attuale assetto politico italiano) sono assolutamente inadeguate per affrontare seriamente i problemi che fanno del nostro sistema produttivo un sistema bloccato. Ne sono una prova le inefficaci (anche se molto costose) politiche economiche e sociali messe in campo dai governi Conte, sia quello gialloverde che quello giallorosso (il riferimento è al reddito di cittadinanza e a quota 100).

Accanto alla necessità di una tale consapevolezza emerge anche un altro auspicio: l’accelerazione di un necessario processo di cambiamento attraverso la costituzione di una nuova formazione politica, totalmente lontana da tentazioni populistiche o sovranistiche, schiettamente liberale e democratica.

Già alcuni mesi fa, il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, aveva lanciato la proposta di dare vita ad una federazione liberal-progressista che mettesse insieme Italia Viva, Azione, parte di Forza Italia, i socialisti, sul modello della Margherita.

La proposta è stata ripresa in questi giorni dal prof. Alberto De Bernardi che, insieme all’ex senatore e dirigente del Pd Alessandro Maran, ha pubblicato sul quotidiano online Linkiesta un appello, nel quale si afferma che dopo la scelta del gruppo dirigente del Pd stretto intorno a Zingaretti di costruire sull’asse con Leu e M5s un nuovo rassemblement demopopulista che rompesse i ponti con il riformismo liberalsocialista (la cultura politica che ha forgiato l’identità originaria del Pd), “ si apre uno spazio politico notevole alle forze riformiste liberal democratiche che però, per esistere politicamente, va strutturato intorno a dei programmi e dal punto di vista organizzativo. Questa è la sfida che hanno di fronte Calenda, Bonino e Renzi ( e che riguarda pezzi del Pd e di Forza Italia). Il Paese ha bisogno di un riformismo alternativo sia a una destra sovranista e statalista che a una sinistra veteromassimalista. Serve perciò uno sforzo di sintesi. Per tirare fuori il Paese dal pantano, bisogna andare oltre il recinto delle formazioni attualmente in campo”.

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