Mariupol addio

Dopo due settimane di assedio spietato, nel primo pomeriggio di lunedì 14 marzo si è aperto un corridoio umanitario che ha consentito ad alcuni dei superstiti dei bombardamenti di fuggire dalla città di Mariupol, quasi completamente distrutta. Giampaolo Visetti, inviato di La Repubblica, ha raccontato quei tragici momenti in uno straordinario reportage :

“La guerra, facendo accomodare la morte a capotavola, costringe a conoscere l’istante in cui si è felici di fuggire dal luogo in cui si è venuti al mondo, abbandonando il proprio focolare e chiunque si sia amato. La maledizione di questo attimo a lungo sognato è fradicio di personale umiliazione, per i fantasmi di Mariupol”.  “Gli aggressori, dopo otto tentativi falliti e cento attacchi aerei, hanno promesso di non colpire i profughi”.

Siamo fuori, incredibile, riusciamo a parlare. Anche l’inferno ha una porta per uscire”. “Eravamo certi di non farcela– sussurra al telefono Iryna Kulachko, uscita dalla sacca con la madre e la figlia Alona di 7 anni -. Abbiamo bevuto l’ultimo sorso d’acqua sabato notte. Nel nostro palazzo siamo vivi in 46 su 79. Ancora un giorno e avremmo raggiunto gli amici nella fossa comune scavata in giardino“.

Se il corridoio regge -dice Oleksandr Ilchenko, chirurgo nell’ospedale pediatrico bombardato – questo cimitero dei vivi si svuoterà. Resta l’incubo di una fine che può sorprenderci in ogni momento“.

La città ucraina sul Mar D’Azov conta 400 mila abitanti e finora i morti accertati sono 2.560 (molti, specie tra i vecchi e i bambini, sono stati uccisi dal freddo e dalla fame). Tra le vittime la mamma incinta che si trovava ricoverata nel reparto di maternità dell’ospedale pediatrico sventrato da una bomba.

Nei primi 160 veicoli autorizzati a lasciare la città “ha avuto la precedenza chi, senza cure immediate, era a un passo dalla fine”.

“Le auto dei fuggitivi hanno incrociato la prima colonna di camion che ha potuto raggiungere Mariupol con 450 tonnellate di medicine, cibo e acqua potabile”.

Nelle vie i falò della gente bruciavano a terra – dice Serghey Gornov, autista di uno dei mezzi arrivati fino alla città -. Ci sono corpi irrigiditi per le strade. Interi quartieri sono rasi al suolo. Padri sono stati spinti a cuocere i cani per sfamare i figli“.

Per alcuni, invece, la fuga è impossibile: “Non si trova benzina – dice Andreji – non abbiamo soldi. Restiamo qui, per noi non c’è un altro posto dove vivere”.

 “Fuggita da Mariupol il 2 marzo la famiglia di Andreji non è riuscita a raggiungere Zhaporizhzhia. Alle spalle ha la casa crollata, davanti un canale senza più guado”.
Siamo prigionieri – dice la moglie Rymma – tra le due linee del fronte. Di notte a turno cantiamo: chiunque potrebbe spararci per sbaglio, anche l’esercito che ci difende

“Tentare di mettersi in salvo all’estero ormai è un lusso”. “Giovedì scorso – dice Valerjia, 28 anni e due bambini – una bomba ha spaccato a metà il mio condominio a Persotravneve, fuori Mariupol. Siamo scappati in pigiama: mangiamo grazie alla generosità di chi passa

Dopo aver parlato delle condizioni nelle quali si svolge l’esodo dalle  città che si trovano nella parte sud dell’Ucraina, dalle coste del Mar d’Azov e del Mar Nero verso l’interno, dove non si incontrano campi profughi organizzati ma baraccopoli nelle quali trova rifugio gente rimasta senza niente, “distese di poveri costretti al nomadismo”, nella parte finale del reportage, Giampaolo Visetti parla del risentimento che le atrocità della guerra producono nel cuore degli uomini:

“Lasciare case in fiamme, montagne di macerie, parenti e amici che non rispondono più, scatena un odio mai provato prima nel popolo di chi non ha un luogo dove rifugiarsi. Tra Zaporizhzhia e Vasylivka i prigionieri interni della guerra si sfogano aprendo il segreto del loro cuore al nemico. Costruiscono forche con pali e rami tagliati agli alberi. Rimuovono gli spaventapasseri dalle campagne e li vestono di rosso e di blu, i colori della bandiera russa. Impiccano i fantocci agli improvvisati patiboli. Al collo appendono un pezzo di cartone con il nome ‘Putin’. Su una trave di legno, la minaccia dipinta: ‘Morte ai nemici’ “.

L’immagine in evidenza è tratta da tristemondo.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: rainews.it; rainews.it; rainews.it; radiopopolare.it; lanotiziagiornale.it; ottopagine.it

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