ELEZIONI POLITICHE 2022
L’ipotesi che i due terzi dei seggi vadano alla destra è irrealistica
Lo dice Roberto D’Alimonte, politologo esperto di sistemi elettorali, in una sua analisi pubblicata il 16 Agosto scorso sul quotidiano Il Sole 24 Ore.
Quanto questo tema sia importante è dovuto al fatto che, sulla base della normativa vigente, se un partito o una coalizione riuscisse ad ottenere i due terzi dei seggi in palio nelle prossime elezioni politiche, potrebbe far approvare riforme costituzionali senza doverle sottoporre a referendum popolare.
Come si sa, nel programma elettorale della coalizione di Centrodestra (FI, LEGA e FdI) c’è proprio la proposta di una profonda modifica della nostra Costituzione, introducendo l’elezione diretta del Capo dello Stato, insomma il passaggio da una Repubblica parlamentare ad una Repubblica presidenziale.
La cosa in sé non rappresenta un vulnus per la democrazia: grandi democrazie occidentali (come Francia e Stati Uniti) hanno un sistema presidenziale.
Quello che desta preoccupazione è, innanzitutto, il fatto che la proposta viene avanzata da forze politiche che hanno più volte dichiaratamente manifestato forti simpatie per i sistemi di democrazia autoritaria (altrimenti detti “democrature”), come l’Ungheria di Orban, e forti simpatie per presidenti che certo non brillano per spirito democratico come il russo Putin e l’americano Trump. E desta preoccupazione, in secondo luogo, il fatto che a questa proposta di profonda trasformazione della Repubblica italiana, nel programma elettorale col quale la coalizione di centrodestra si presenta agli elettori vengono dedicate poche righe e in più generiche (meno che agli interventi sul Made in Italy). Cioè non viene spiegato come realmente intendano realizzare la trasformazione proposta, con quale attenzione agli equilibri istituzionali e al consenso delle parti.
Per fortuna, la tanto vituperata legge elettorale in vigore rende difficile che un partito o una coalizione conquisti i due terzi dei seggi in palio e quindi rende difficile la possibilità di saltare il passaggio referendario in caso di modifiche costituzionali. Perché?
Come spiega D’Alimonti (prendendo come riferimento il Senato) per ottenere i due terzi dei seggi sarebbe necessario vincere in tutti i collegi uninominali:
“partendo dall’ipotesi che il centrodestra possa ottenere il 50% dei seggi proporzionali (61), possiamo porci la domanda: quanti seggi uninominali dovrebbe vincere per arrivare alla maggioranza dei due terzi, che al Senato è pari a 138 (con i senatori a vita)? Dovrebbe conquistarli tutti, cioè 74 su 74, e in più dovrebbe vincere tre dei quattro seggi assegnati nella circoscrizione estero. Naturalmente sono possibili anche altre combinazioni che includano un certo numero di senatori a vita disposti ad appoggiare eventuali riforme costituzionali ma la sostanza resta la stessa. In sintesi, se partiamo dall’assunto che il centrodestra possa conquistare il 50% dei seggi proporzionali, per arrivare alla maggioranza dei due terzi dei seggi del Senato dovrebbe conquistare praticamente il 100% dei collegi uninominali”.
Difficile, quindi. Ma non impossibile. E allora perché l’impresa è irrealistica?
Perché bisogna, appunto, tener conto della realtà e non solo della propaganda e dei sondaggi. I partiti e le coalizioni che si oppongono al centrodestra non sono messi così male sul piano dei consensi elettorali, Tanto per fare un esempio, il principale partito della sinistra è nei sondaggi stabilmente a un livello molto vicino a quello del principale partito della destra. C’è poi l’incognita di quel 40% di elettori che nelle ultime elezioni non hanno votato ma potrebbero farlo e probabilmente lo faranno, almeno in parte.
Seguendo il ragionamento di D’Alimonti, non è realistico pensare che un partito grosso come il Pd non prenda alcun seggio nei collegi uninominali. Come non è realistico pensare che tutti gli attuali astenuti che voteranno voteranno per la coalizione di Centrodestra.
C’è poi ancora l’incognita del terzo polo liberaldemocratico (la novità di queste elezioni) che, stando ai sondaggi attuali, non solo non ha problemi a superare la soglia di sbarramento del 3% ma, come dichiarato dall’Istituto Piepoli, “ha un potenziale intorno al 13-14 per cento”.
Il terzo polo spariglia il tradizionale gioco elettorale basato sul bipolarismo e può ricevere consensi sia tra cittadini che solitamente votano a destra ma ora hanno difficoltà a riconoscersi in una coalizione (quella guidata da Meloni) in cui predominano posizioni di destra radicale, sovranista e reazionaria; sia da cittadini che solitamente votano a sinistra ma ora hanno difficoltà a riconoscersi in una coalizione (quella guidata da Letta) che ha accolto posizioni di sinistra radicale e populista.
Anche la presenza di un terzo polo, dunque, rende difficile la possibilità che chi vince vinca in tutti i collegi uninominali e superi il 50% nel proporzionale.
Con buona pace di tutti i nostalgici (di destra come di sinistra) del bipolarismo, quest’ultimo è al tramonto. E continuare a ragionare con i vecchi schemi non serve a molto.
Nessuno può negare che la destra parta in vantaggio, ma nessuno può affermare che ormai i giochi son fatti. E comunque, anche se la destra dovesse mantenere nelle urne il vantaggio che finora le attribuiscono i sondaggi, non è detto, anzi è da escludere, come abbiamo visto, che possa stravincere e cambiare indisturbata le regole fondamentali della vita politica del nostro Paese.
L’immagine in evidenza è tratta da: comune.molfetta.ba.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: fanpage.it; fanpage.it
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