Le stagioni di papa Francesco /1

Il periodo “climatico” che ”Querida Amazonia” vuole inaugurare è stato paragonato, da qualche commentatore, a quel lunghissimo inverno della Chiesa cattolica, iniziato con l’ultima enciclica di Paolo VI, “Humanae vitae”, e proseguito poi con i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI.

Un elemento comune c’è, cioè la delusione che gli interventi di Paolo VI e di papa Francesco hanno suscitato in coloro che speravano nella prosecuzione immediata di una azione innovativa e allargata a tutto campo.

L’enciclica “Humanae vitae” ha rappresentato il rifiuto, da parte della gerarchia cattolica, di confrontarsi con le nuove domande che le generazioni uscite da una guerra terribile, dalla fase della ricostruzione e nel pieno di una ripresa economica e scientifica accelerata, ponevano al mondo;  il vertice della Chiesa non ha infatti tenuto conto della moderna elaborazione dottrinale sulla sessualità, alternativa all’assetto allora esistente,  ma ha ripetuto la superata e inutile proposta di una procreazione senza responsabilità, anacronistica concezione ripresa da un contesto medievale estraneo e incomprensibile, ma utile a coprire un errore della dottrina cattolico-romana ancora più evidente (sulla motivazione  decisiva della scelta contro gli anticoncezionali, compiuta da “Humanae vitae”, provvedimento che nulla ha a che fare con il messaggio evangelico, leggere nel Blog ”Cosa c’è dietro lo scontro sull’Istituto Giovanni Paolo II”, articoli 1 e 2). Nel prosieguo del testo, le parti in corsivo sono riprese da “Querida Amazonia”.

“Querida Amazonia” invece non presenta elementi, a nostro parere, equiparabili a quella arretratezza di visione culturale e spirituale, anche se convive, all’interno della Esortazione apostolica di papa Francesco, una importante contraddizione che il pontefice non ha colto ma solo evidenziato (questa contraddizione la esamineremo nella seconda parte).

Intanto sottolineiamo l’elemento teorico che contrassegna “Querida Amazonia”, così come ha contraddistinto altre opere di Francesco e che conferma lo sviluppo coraggioso della sua proposta: “Tutto ciò che la Chiesa offre deve incarnarsi in maniera originale in ciascun luogo del mondo”. Questo enunciato, se applicato coerentemente, recupera un ampio respiro di “cattolicità” (cioè di universalità) che serve per abbandonare la logica neo colonialista dei tradizionalisti (anche di Benedetto XVI ieri e del cardinal Sarah oggi), la logica di quelli che vogliono imporre dovunque i propri riti e la propria liturgia, usando ancora il latino e la filosofia greca. Infatti la sfida per papa Francesco consiste, giustamente aggiungiamo noi, nell’ “assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione” mentre il sovranismo dei tradizionalisti è l’espressione collettiva dell’egoismo e della prevaricazione. Ed è in conseguenza di questo principio che si svolge poi, necessariamente, il cosiddetto “sogno”, articolato in quattro differenti tappe, di Francesco.

Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa.
Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana.
Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste.
Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici.

Questo è l’orizzonte che ci indica Francesco e nella Esortazione egli cerca di individuare le cause della crisi amazonica, gli obbiettivi prioritari, le azioni necessarie ed i compiti più urgenti.  Entriamo nel merito con una sintesi che non supplisce la necessaria lettura integrale.

Le pagine che illustrano questi quattro “sogni” sono belle, anche letterariamente, con riferimenti (a poesie e a romanzi sud americani) a cui non eravamo abituati, e questi passaggi di “alta scrittura” si integrano con la parte saggistica/teologica e ne esaltano il tono; essi sono voluti da Francesco perché noi si possa “risvegliare il senso estetico e contemplativo che Dio ha posto in noi e che a volte lasciamo si atrofizzi. Ricordiamo che, quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli”.

Sono pagine inflessibili nella denuncia ma anche obiettive nel riconoscere le responsabilità della propria parte nelle atrocità compiute dai “conquistadores” dopo la scoperta di Colombo:

Alle operazioni economiche, nazionali e internazionali, che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli originari al territorio e alla sua demarcazione, all’autodeterminazione e al previo consenso, occorre dare il nome che a loro spetta: ingiustizia e crimine…“ 

e poi, per non dimenticare e non commettere gli stessi errori,

“…..non possiamo negare che il grano si è mescolato con la zizzania e che non sempre i missionari sono stati a fianco degli oppressi, me ne vergogno e ancora una volta chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della Chiesa stessa, ma per i crimini contro i popoli indigeni durante la cosiddetta conquista dell’America».”

Sono pagine aperte ad un dimensione globale ed interconnessa in cui “la diversità, che può essere una bandiera o una frontiera, si trasforma in un ponte. L’identità e il dialogo non sono nemici…”;

e della globalizzazione non si nascondono i pericoli affermando che

…purtroppo molti abitanti dell’Amazzonia hanno acquisito usanze tipiche delle grandi città, dove il consumismo e la cultura dello scarto sono già molto radicati. Non ci sarà ecologia sana e sostenibile, in grado di cambiare qualcosa, se non cambiano le persone, se non le si sollecita ad adottare un altro stile di vita, meno vorace, più sereno, più rispettoso, meno ansioso, più fraterno.”

Poi Francesco conclude questo tema con una osservazione su cui riflettere a lungo anche in Europa:

«Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere e consumare. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno accetti che la realtà gli ponga un limite. […] Non pensiamo solo alla possibilità di terribili fenomeni climatici o grandi disastri naturali, ma anche a catastrofi derivate da crisi sociali, perché l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca.”

La parte finale contiene il messaggio ecumenico che Francesco ci ha abituato a sentire, messaggio rivolto alle altre chiese e confessioni evangeliche operanti in Amazonia, a stretto contatto con i missionari cattolici:

“Come cristiani, ci unisce tutti la fede in Dio, il Padre che ci dà la vita e ci ama tanto. Ci unisce la fede in Gesù Cristo, l’unico Redentore, che ci ha liberato con il suo sangue benedetto e la sua risurrezione gloriosa. Ci unisce il desiderio della sua Parola che guida i nostri passi. Ci unisce il fuoco dello Spirito che ci spinge alla missione. Ci unisce il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato, la ricerca di una civiltà dell’amore, la passione per il Regno che il Signore ci chiama a costruire con Lui. Ci unisce la lotta per la pace e la giustizia. Ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono. Tutto questo ci unisce. Come non lottare insieme? Come non pregare insieme e lavorare fianco a fianco per difendere i poveri dell’Amazzonia, per mostrare il volto santo del Signore e prenderci cura della sua opera creatrice?”.

Qui ritroviamo il Francesco della “Dichiarazione sulla Fratellanza umana, la pace mondiale e la convivenza comune”, il papa che per primo si è spinto così in avanti sulla strada del dialogo con i diversi.

«Coricati all’ombra di un vecchio eucalipto, la nostra preghiera di luce s’immerge nel canto di fronde eterne” Sui Yun “Cantos para el mendigo y el rey” citata da papa Bergoglio.

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