La piazza deserta e Francesco
“Nella Chiesa non mancava la solidità della dottrina: infatti il Magistero di Pio XII costituiva un corpus enciclopedico che abbracciava tutti i campi della fede e della morale, entrando con competenza nelle questioni scientifiche…A questa dottrina, diffusa nel mondo dalla Cattedra di San Pietro, le splendide cerimonie davano un brillio mai conosciuto nella storia. Quando le navate di San Pietro risuonavano dei canti della liturgia, secondo il Rito Romano antico e il Papa benedicente avanzava nella Basilica fra i flabelli, sulla sedia gestatoria, scortato dalle guardie nobili nelle loro rosse uniformi, l’immaginazione era colpita davanti allo spettacolo della bellezza della verità.” (“Il Concilio Vaticano II Una storia mai scritta” Roberto de Mattei pg. 100).
Questo brano, che rivela il punto di vista dei tradizionalisti cattolici su come debba apparire e presentarsi il Vicario di Pietro, segnala la distanza non solo col messaggio, ma anche con la pratica di vita e il modo di essere di papa Bergoglio.
Le passeggiate e la preghiera solitaria, compiute da Francesco in questi giorni, hanno commosso molti di coloro che le hanno viste: si capiva che quell’ uomo anziano, dal passo stanco, stava facendo una azione per lui naturale, non un rituale da eseguire perché dovuto. Francesco, che resta appartenente ad una cultura teologica arcaica, ci emoziona comunque per la sua autenticità, e, anche quando ascoltiamo gli aspetti superati ed anacronistici di alcune sue parole dottrinarie, sentiamo che le sue intenzioni ed il suo animo restano in totale buona fede, sinceri e sensibili verso il prossimo. Il cammino di Francesco per le strade della città ci ha rimandato finalmente ad una cattolicità – intesa etimologicamente come “universalità” – pregnante e finalmente condivisibile da tutti, cioè all’universalità della condizione umana, quella dell’ “uomo pellegrino”, viandante su questo mondo alla ricerca di un senso da assegnare alla propria esistenza.
La preghiera di Francesco al Dio Invisibile e Indefinibile (il papa medesimo aveva affermato durante una intervista: “Dio non è cattolico”, suscitando la riprovazione scandalizzata dei benpensanti “cattolici”) possiede anche essa la dimensione della “cattolicità” più vera, quella della capacità di unire uomini di fedi diverse o senza alcuna fede intorno al potere terapeutico e liberatorio della preghiera. Francesco ci ha così proposto l’essenza del messaggio di Gesù attraverso il canale più importante della comunicazione umana, cioè la sua personale testimonianza.
Non il Catechismo universale, non i dogmi e i riti, non l’istituzione ecclesiastica e le sue regole che, pur ammantate di “infallibilità” sono o restano per noi frutto di scelte umane spesso degradanti e degradate, non quell’apparato della Chiesa trionfante che, da Costantino fino ai giorni nostri, si ritiene la depositario del Vero, da imporre alle coscienze e agli stati con la sua “evangelizzazione”: niente di tutto questo potrà mai persuadere o almeno interessare coloro che hanno valori ed orientamenti culturali/esistenziali differenti. Soltanto la testimonianza può far riflettere e, qualche volta, anche cambiare il punto di vista. Ecco che Francesco ci dimostra che, con la sua solitaria preghiera, egli ha incontrato un Altro con cui ha dialogato silenziosamente, per unire gli uomini come “fratelli” e non per dividerli tra loro in schieramenti contrapposti di chiese, partiti, nazioni. Il Papa ha ridotto all’essenziale il significato dei Vangeli, li ha ridotti al Discorso della Montagna che tanto affascinava Gandhi e pensatori di culture lontane. Con la sua azione pratica ci ha rappresentato d’innanzi l’umiltà e la bontà e ne abbiamo avuto una visione nitida, quasi tangibile. Abbiamo in molti percepito che la preghiera di Francesco è buona, con quella chiarezza che non è certezza scientifica ma ne è altrettanto fondata; abbiamo in molti avuto la sensazione interiore della “verità” del suo gesto.
“…Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te…Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni…Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21)”
Commenti recenti