La pandemia del coronavirus secondo i tradizionalisti

Non c’è ormai occasione pubblica che non mostri la spaccatura esistente all’interno della Chiesa cattolica e la sostanziale incomunicabilità tra le sue anime interne.

The Remnant, quindicinale statunitense di orientamento cattolico tradizionalista ha pubblicato ieri una lunga intervista a Monsignor Carlo Maria Viganò, nunzio apostolico negli Usa fino al 12 aprile 2016, quando ha presentato le dimissioni come prescritto al compimento dei 75 anni. Monsignor Viganò è noto sia per le numerose denunce che ha presentato, relative al silenzio o ai comportamenti tiepidi –secondo la sua opinione- tenuti dalla gerarchia vaticana, fin dall’epoca di Giovanni Paolo II, nei confronti della pedofilia tra il clero, sia per intricate questioni famigliari che lo hanno visto protagonista in negativo (vedi il “Giornale” e l’“Avvenire”, con due testimonianze significativamente illuminanti). Pur essendo oramai emarginato nella gestione diretta delle attività ecclesiastiche, Monsignor Carlo Maria Viganò resta un riferimento ideologico per la galassia tradizionalista americana ed europea, di cui è uno dei portavoce più stimati ed autorevoli, malgrado vicende personali non proprio edificanti.

E’ quindi interessante conoscere il suo pensiero, partendo proprio dalla valutazione che il prelato propone della epidemia in corso. 

La pandemia del Coronavirus, come tutte le malattie e la stessa morte, sono una conseguenza del Peccato Originale… un padre che non punisce dimostra di non amare il figlio, ma di disinteressarsi di lui…Il Signore è Padre amorevolissimo perché ci insegna come dobbiamo comportarci…e quando col peccato disobbediamo ai Suoi precetti, non ci lascia morire, ma ci viene a cercare, ci manda tanti segnali – talvolta anche severi, com’è giusto – perché ci ravvediamo, ci pentiamo, facciamo penitenza…

Inizia così il Monsignor, rifacendosi alla Bibbia e ai profeti che attribuivano pestilenze, carestie e disgrazie varie alla sacrosanta ira di Dio. Non mancano precedenti recenti: nel dicembre del 2016 padre Giovanni Cavalcoli, teologo domenicano, in una trasmissione di Radio Maria, ipotizzava come il terremoto appena avvenuto in Italia potesse essere stato un “castigo di Dio” per l’introduzione del “matrimonio gay”. Questo Dio di Monsignor Viganò è tuttavia molto accorto e, quando interviene nelle vicende umane, riesce a discriminare tra giusti e malvagi (non per nulla è Dio!), anche nei casi così generali e ciechi nella loro azione distruttrice come le malattie: “L’esempio dell’Episcopato polacco, che ha ordinato di moltiplicare le Messe per consentire la partecipazione dei fedeli senza rischio di contagio, dovrebbe essere assunto da tutta la Chiesa…Ed è significativo che, proprio in Polonia, l’impatto della pandemia sia inferiore a quello di altre nazioni”.

Il Dio di Monsignor Viganò potrebbe quindi essere anche quello che ha scatenato l’Aids contro il comportamento sessuale “disordinato”, l’artefice dello tsunami in Asia, dei terremoti terribili della Cordigliera Andina, e delle grandi carestie africane? D’altronde, sostiene il Monsignore, oltre ai peccati commessi dai singoli, vi sono anche i peccati commessi dalle società, dalle Nazioni, tra cui perfino la legislazione sul divorzio! A questo punto, rifacendosi a Tommaso d’Aquino, Monsignor Viganò indica un doppio elemento centrale della ideologia tradizionalista: l’eresia della promulgazione della libertà religiosa come diritto inalienabile (Dignitatis Humanae Concilio Vaticano II 1965) e la contrapposta necessità che sia impedita la pratica di ogni altra religione fuorchè quella cattolica e che lo Stato si adegui – nelle formulazioni di leggi –  alla morale stabilita dalla Chiesa, ben inteso guidata dai tradizionalisti. Infatti “Nazioni che non solo ignorano Dio, ma lo negano apertamente…che impongono ai sudditi di accettare leggi contrarie alla Morale naturale e alla Fede cattolica, non possono considerarsi esenti dalla punizione di Dio…” Notiamo come la scelta democratica di una maggioranza di elettori, che ha determinato la promulgazione di un diritto civile (il quale, NON DIMENTICHIAMOLO, prevede la possibilità di essere inutilizzato e trascurato da chi non lo condivide) diventa, nella logica del Monsignore, una “imposizione”. Invece l’organizzazione statale confessionale (“la società – che è appunto costituita da singoli – non può non riconoscere Dio e far sì che le proprie leggi consentano ai suoi membri di conseguire il bene spirituale cui sono destinate”) corrisponde a “quell’eredità comune alla legge naturale che il Signore ha instillato in tutti gli uomini di tutte le epoche” e che rivela come “la Fede Cattolica sia il necessario compimento di quel che loro suggerisce un cuore sincero e ben disposto.” Tradotto in maniera concreta, non “Libera Chiesa in Libero Stato”, ma Chiesa che detta la legislazione civile allo Stato, perché così vuole la “legge naturale” e “questa verità profondamente iscritta nel cuore di ogni uomo”.

Appare, quello del Monsignore, un pensiero etico che è rimasto immobile all’epoca della Creazione del Mondo, quando il suo Dio ha stabilito le regole di condotta valide per sempre perché “naturali”, come l’aria che respiriamo, norme che devono rimanere immutabili perché impresse dentro il cuore umano con il Suo marchio indelebile, e soprattutto regole confermate dal Magistero della Chiesa (una fra le tante, la pena di morte, in vigore nello stato Pontificio fino all’Ottocento, oggi giudicata dal Catechismo corretto da Papa Francesco non conforme alla “naturale dignità della persona”). Si comprende quindi che, ancora una volta, Monsignor Vigano individui nel Concilio Vaticano II un punto di svolta della Chiesa verso una deriva mondana e relativista, foriera della punizione del Cielo; la Chiesa avrebbe dovuto “condannare con fermezza gli errori che ha lasciato dilagare nel suo seno dal Vaticano II in poi, e che hanno attirato sulla Chiesa stessa e sul mondo giuste punizioni perché abbiamo a ravvederci e ritornare a Dio.”

Legittimamente quindi il Dio del Monsignore se la prende anche con la Chiesa attuale che, pur in maniera incerta e a piccoli passi, cerca di proseguire sulla via conciliare. Nella visione antropomorfizzatrice di Monsignor Viganò, l’Onnipotente e Signore dell’Universo, “ offeso dalla sciatteria e dalla mancanza di rispetto di tanti Suoi Ministri; oltraggiato dalle profanazioni del Santissimo Sacramento che quotidianamente si perpetrano con la sacrilega abitudine di amministrare la Comunione in mano; stanco di sopportare canzonette volgari e prediche eretiche” giustamente non ne può proprio più di ostie, che non sono messe direttamente in bocca al fedele, di rituali, che non sono più officiati in latino ma in volgare e di prediche eretiche (!?). Da questo degrado, assieme al suo Dio, anche il Monsignore è profondamente scosso e si chiede turbato:” Mi chiedo – e tremo a dirlo – se la chiusura delle chiese e la sospensione delle celebrazioni non sia una punizione che Dio ha aggiunto alla pandemia.” Non a caso questo Dio può cambiare di umore, rasserenandosi, soltanto quando “il Signore si compiace ancor oggi – nel silenzio di tanti altari – di sentir elevare a lui la lode austera e composta di tanti sacerdoti che celebrano la Messa di sempre, quella Messa che risale ai tempi apostolici, e che nel corso della storia rappresenta il cuore palpitante della Chiesa” e torniamo nuovamente al mitico periodo felice, che era precedente il Concilio Vaticano II, all’epoca caratterizzata dalla presenza dei papi Pii, del Sillabo e della messa in latino. E, per quanto riguardo l’immagine proposta di Dio, torniamo addirittura al Deus del Primo Testamento ed al Pantheon pagano, quello della Divinità sempre all’erta sullo svolgimento delle vicende umane, sempre presente e pronta allo sdegno e alla punizione terribile, ma anche a concedere premi inaspettati (come la vittoria in guerra, sterminio degli infedeli, regni e terre promesse, vecchiaia felice e prolifica). 

Leggete l’articolo perché di perle anacronistiche, astoriche e fondamentaliste, messe tutte in fila come un lungo rosario, ce ne sono molte altre, sull’ecumenismo del Documento sulla Fratellanza, sulla richiesta di dimissioni di papa Francesco, sulla pratica della solidarietà nelle chiese.  L’intervista di Monsignor Vigano ricorda il film “Casablanca” nel commento di Eco, dove il semiologo mette in luce come il Kitsch, quando è isolato, suscita diffidenza e disagio, ma, quando è somministrato a dosi massicce, produce un senso di meraviglia e può diventare sublime.  Ed è il risultato che si ottiene alla fine della contemplazione del pensiero di Monsignor Viganò. Si è increduli e stupiti che si sia conservata, così integra e coerente, non sfiorata neppure da una lieve increspatura, una visione del mondo sostenuta dagli schemi di un paradigma ecclesiastico di mille anni fa. Si tratta del sistema concettuale medioevale, quello di una Chiesa e di un Papa che pretendevano di porsi alla guida spirituale di un Impero, fatto ad immagine del loro Cristianesimo, interpretato alla luce di una visione integralista della società, senza spazi di confronto se non all’interno di una ortodossia garantita dalle leggi dello Stato e dall’Inquisizione.

Monsignor Viganò è riuscito a mantenersi fuori dalla cultura e dagli eventi del mondo contemporaneo, preservando la sua concezione religiosa da ogni contaminazione e mantenendola congelata nel lontano passato da cui è nata, perciò, in qualche modo, meriterebbe anche la nostra ammirazione, se non altro per la difficoltà dell’impresa che è riuscito a realizzare.

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