IMMOBILISMO /3
Serve un governo di unità nazionale
Con il decreto Cura Italia del 24 aprile e con il decreto Rilancio del 19 maggio il Governo ha stanziato circa 80 miliardi per far fronte all’emergenza da Covid-19 . Una quantità di denaro pubblico considerevole che sommato ai 400 miliardi del decreto Liquidità per garantire i prestiti alle imprese delinea un intervento complessivo di cui non si trova uguale in passato.
Considerando la condizione di inefficienza che caratterizza il nostro sistema burocratico- amministrativo, l’elevato debito pubblico, la crescita pressoché nulla della nostra economia da almeno vent’anni a questa parte, le previsioni (Istat, Banca d’Italia, FMI) che parlano di una catastrofica crisi economica in arrivo come conseguenza del lockdown di contrasto alla pandemia, molti analisti e commentatori di cose italiane si aspettavano che il Governo formulasse una chiara strategia di intervento volta a mettere mano ai numerosi problemi del sistema Italia, un piano nazionale di ripresa che lasciasse intravedere la presenza di una visione per il futuro.
Di tutto questo invece non vi è traccia nei decreti del Conte 2.
È di questo parere, ad esempio, il filosofo ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. In una intervista rilasciata ad Huffington Post del 26 maggio Cacciari ha detto: “C’è un paese che sta andando a rotoli, dal punto di vista economico, sociale, occupazionale. Possono esplodere monenti di grande rabbia perché c’è tutto un ceto medio che si sta impoverendo da vent’anni, il reddito disponibile degli italiani è rimasto fermo al 1988. Le partite IVA stanno prendendo una botta spaventosa, aumenterà il lavoro nero. Non sto neanche a discutere di colpe e di responsabilità, in questi decreti non c’è strategia di rilancio”.
Non è meno severa l’analisi di Sabino Cassese sul Corriere Della Sera del 10 giugno: “Il governo ha dinanzi due bivi. Deve stabilire come coniugare interventi urgenti e decisioni importanti. Deve darsi degli obiettivi e misurarne la possibilità di realizzazione. Chi governa sa che le decisioni urgenti, imposte dall’emergenza, prendono la mano a quelle importanti. Ma questa volta l’evento dal quale non siamo ancora usciti ha sconvolto così profondamente società prima ed economia poi, da imporre di ristabilire le priorità. Gli interventi fatti finora sono stati dominati dall’urgenza. Decreto Cura Italia e decreto Rilancio, per un valore complessivo superiore a 80 miliardi, sono stati ispirati alla logica spartitoria, per risarcire i danneggiati dalla clausura (e anche alcuni che non lo sono stati). Un governo che voglia far sul serio deve ora cercare di guardare lontano, curare mali endemici, prospettare un futuro: grandi infrastrutture (a partire da ospedali, scuole, verde attrezzato), istruzione (non solo, quindi, scuola), uffici pubblici, giustizia, hanno bisogno di manutenzione, rammendi, ricostruzione. Il presidente del Consiglio ha spesso dichiarato di voler entrare nella storia. Questo — se ci riesce — è il modo. Bilanciare gli obiettivi con la capacità di realizzarli è il modo per non scrivere libri dei sogni”.
Rimproveri ancora più pesanti alla (non)azione del governo vengono spesso avanzati dal giornale online Linkiesta.
Ad esempio, nel numero del 9 giugno, commentando una affermazione del segretario del Pd Zingaretti nella quale si ipotizza la necessità che il presidente Conte imprima una Svolta (con l’esse maiuscola) all’azione del governo, , il giornalista Mario Lavia ha scritto: “Ma quale svolta, con la minuscola, si possa chiedere a Giuseppe Conte, uomo della gestione più che della visione, che di svolta certo ne ha fatto una ma poco edificante (il cambio di alleanza da Salvini a Speranza), non è chiaro. Resta sospesa per aria la domanda su che cosa voglia realmente, il Partito democratico. …
Il punto politico, che ha una sua intrinseca drammaticità, sta proprio in questo, nel chiedere una cosa impossibile: che Conte cambi se stesso e il suo modo di concepire la politica, che è più di abilità tattica che di slancio strategico. …
A meno che non si tenga coperta una carta importante, quella di un rimpasto che potrebbe tenere Conte al suo posto imponendogli un’altra squadra e un nuovo programma. Le inquietudini di importanti personaggi, per esempio i capogruppo Marcucci e Delrio, sembrano andare in questa direzione ma non è affatto detto che il segretario, per timore che sfilando una carta tutto il castello possa cadere, sia d’accordo.
Avanti con Conte e i grillini, dice anzi il leader del Pd, a sentire il quale senza l’avvocato e Crimi si finirebbe con «l’Italietta», una frase che mostra a occhio nudo una sorta di rinuncia a immaginare non già un nuovo governo – Zingaretti lo ha realisticamente escluso – ma l’apertura di una vera e propria battaglia politica che non si limiti, come sta avvenendo, a qualche fastidio per il protagonismo di Conte e Casalino (vedi la sin qui privatistica gestione dei famosi Stati generali dell’economia).
La sensazione insomma è che il Pd, che pure dopo molti mesi ha battuto una specie di colpo, non disponga, o non voglia disporre, di armi per invertire il tran tran di un governo che è in evidente impaccio ad affrontare la ‘fase 4’ della ricostruzione economica del Paese.
Malgrado voci preoccupate (Matteo Orfini, ma anche Gianni Cuperlo, Maurizio Martina), e con un segretario che si barcamena fra la difesa del governo e l’insoddisfazione per il medesimo governo, non si è capito cosa concretamente il Nazareno intenda per svolta. Sia pure con la lettera minuscola”.
Ancora su Linkiesta, il 29 Maggio, il direttore Christian Rocca scrive: “Serve, insomma, un maestoso grande piano della nazione, accompagnato però da un adeguato senso di responsabilità e da una classe dirigente all’altezza del compito, cose che oggi sembrano mancare. Proprio per questo, si avvicina la necessità di far entrare gli adulti nelle stanze di Palazzo Chigi per avviare l’opera di ricostruzione del nuovissimo miracolo italiano”.
Ma una visione, che metta al centro la crescita economica e
sociale del Paese, invece c’è, dicono dalle parti del governo. Solo che non è
emersa con evidenza perché rispetto alla gravità della situazione le risorse
che finora si è riusciti a mettere a disposizione, pur essendo cospicue, sono comunque
insufficienti per rispondere in maniera adeguata alle molteplici sfide da
affrontare.
Certo, la pandemia ha aggravato tutti i problemi che già erano sul tappeto (ai
primi di gennaio l’Italia stava già scivolando verso la recessione economica).
Ma ha anche ridefinito i termini dell’azione politica rendendo improponibile la
vecchia filosofia dell’immobilismo (cambiare tutto –a parole- per non cambiare
nulla –nei fatti).
Non ci sarà una semplice recessione, ci sarà la più grave recessione della
storia della Repubblica, non ci saranno 3 o 4 punti del Pil da recuperare ma 13
o 14 (nel mese di aprile 2020 la produzione industriale è diminuita, rispetto
ad aprile 2019, del 46%).
A situazioni eccezionali si deve rispondere con misure eccezionali. E
l’immobilismo non è piu praticabile. È necessario
un piano nazionale di ripresa, animato da una idea di futuro per il Paese.
Tutto questo è chiaro alla nostra classe politica?
Paolo Franchi, sul Corriere del 2 giugno, ha descritto la situazione politica italiana in questi termini: “La questione l’ha posta più nettamente di tutti, seppure nella forma di una domanda retorica, Graziano Delrio: ‘In questo periodo è stata lanciata un’idea che sottendesse una visione? Un’idea che facesse anche solo discutere, nel bene e nel male, ma che aprisse un dibattito, una polemica, un confronto?’. No, nessuno l’ha lanciata. Colpisce, nel nostro tempo sospeso, la miseria di quello che una volta veniva chiamato, un po’ pomposamente, il dibattito pubblico. Non è una novità, purtroppo. Mai come in questi mesi, però, alla faccia del mantra ‘nulla sarà come prima’, abbiamo vissuto in una prolungata astinenza da idee, proposte, progetti. Ci si accapiglia senza costrutto sulla destinazione delle risorse erogate a pioggia per cercare di lenire gli effetti devastanti della crisi, sulle mascherine, sulle ronde. Ma del domani, invece, sembra che nessuna voglia, o sappia, discutere seriamente. Tutta colpa di una politica, di governo e di opposizione, vocazionalmente disinteressata a gettare uno sguardo sul futuro? Naturalmente no, anche la cosiddetta società civile sembra avere solo poche idee, ma confuse. È la politica però che dovrebbe avvertire, più e prima di tutti i suoi interlocutori, l’orrore del vuoto. Se non lo prova, il pericolo (civile, economico sociale e, quel che è peggio, democratico) minaccia di farsi esplosivo”.
E bisogna aggiungere che, a partire dal 27 maggio, ricorrere all’alibi della scarsità delle risorse economiche non sarà più possibile. Le condizioni materiali per un piano nazionale di ripresa ora esistono, le ha create l’Europa con la “Proposta per la ripresa” di Ursula von der Leyen, denominata Next Generation EU, che ha tra i suoi pilastri: il Recovery and resilience instrument (560 miliardi) che prevede fondi europei in cambio di riforme e investimenti; il Salvency support instrument per la ricapitalizzazione delle imprese; l’Invest EU per il rafforzamento delle imprese. In totale 750 miliardi di euro (che potrebbero diventare 1000), di cui circa 500 destinati ad aiuti a fondo perduto e 250 miliardi per prestiti a lungo termine. Sommati ai miliardi precedentemente stanziati (circa 1500) si arriva ad una massa di denaro mai vista prima.
Ora i paesi europei
devono passare ai fatti.
Per l’Italia (cui andrebbero 81,8 miliardi di trasferimenti e 90,8 miliardi di
prestiti) è il caso di dire che si tratta di una occasione d’oro. E se l’Italia
vuole battere il timore espresso da alcuni paesi del nord, quelli che vengono
definiti nazionalisti tirchi (come
Olanda e Svezia), secondo i quali, considerando come sono stati usati i fondi
europei in passato, gli aiuti possono essere sprecati, conviene seguire il
consiglio di Daniel Cohn-Bendit (intervisa al Corriere Della Sera del 28
maggio): “L’Italia presenti un piano
chiaro,verificabile, senza paura di nominare un commissario indipendente di
controllo, o una personalità che gode della fiducia di tutti, nazionalisti
tirchi compresi, Mario Monti, ad esempio”.
Passare ai fatti.
È quanto hanno chiesto, in una nota congiunta, Abi, Alleanza cooperative
italiane, Ance, Cia – agricoltori italiani, Coldiretti, Confagricoltura,
Confapi, Confindustria, Copagri: “Esortiamo
il Governo, il Parlamento e le forze politiche a utilizzare fin da subito tutte
le risorse e gli strumenti che l’Europa ha già messo a disposizione, a partire
dai fondi per sostenere i costi diretti e indiretti dell’emergenza sanitaria.
Non farlo sarebbe una scelta non comprensibile e comporterebbe una grave
responsabilità verso il Paese, i suoi cittadini, le sue imprese”. Senza
citarlo espressamente, il riferimento è al MES (interessi al minimo e
condizionalità leggere).
Per i soggetti della nota congiunta il Recovery fund non basta, c’è bisogno di liquidità nei tempi brevi, mentre i
soldi del Recovery è previsto che
potranno arrivare nel 2021. Ma Conte ha più volte affermato che non intende
accedere ai fondi del MES. E mentre il governo discute di improbabili piani che
dovrebbero coinvolgere anche l’opposizione (che invece nelle sue componenti maggioritarie
continua a lavorare perché questo governo vada a casa) le aziende restano senza
liquidità e molti lavoratori non hanno ancora avuto nemmeno i soldi della cassa
integrazione.
Il presidente della Confindustria Carlo
Bonomi, il personaggio più di spicco tra i firmatari della suddetta nota
congiunta, in una intervista rilasciata al giornale La Repubblica del 31 Maggio
ha attaccato frontalmente la politica del governo dicendo che “rischia di fare più danni del coronavirus”,
aggiungendo che bisognerebbe “investire
le risorse nelle infrastrutture anziché annegarle nel reddito di cittadinanza e
nei navigator”. “Gli imprenditori
sono fortemente preoccupati: in autunno molte imprese non riapriranno, altre
dovranno ridimensionarsi”. Il nostro Paese, dice Bonomi, “si sta appassionando ad una discussione
surreale: quando e come andare in ferie. Un Paese bloccato che discute sulle
vacanze. Mi auguro che il Parlamento italiano non chiuda ad Agosto, sarebbe
davvero una delusione”.
A questo punto è d’obbligo porsi una domanda: questo governo è all’altezza della
situazione? Ovvero è in grado di affrontare la crisi di dimensioni
catastrofiche (come l’ha definita il governatore della Banca d’Italia Vincenzo
Visco in una sua relazione del 28 maggio scorso) che si sta avvicinando?
C’è chi sostiene che il governo Pd-M5s non solo è l’unico possibile ma anche “quello che serve all’Italia” (Andrea Romano, parlamentare Pd, su Linkiesta
del 1 giugno). È, a nostro avviso, una opinione che non poggia su dati di fatto
ma solo su una posizione ideologica che il Pd ha assunto da quando, dopo la
sconfitta elettorale del 2018, ha alienato da sé l’allora segretario Renzi e
quel poco di liberalismo che Renzi aveva cercato di innestare sulla vecchia
anima assistenzialista del Pd o, meglio, del vecchio gruppo dirigente del Pd (che
ha ripreso in mano il partito). Tra i dati di fatto c’è la neppur minima
revisione di misure, assistenzialistiche appunto e per di più rovinose per
l’attuale stato della finanza pubblica, come il reddito di cittadinanza e quota
100. Purtroppo il governo Pd-M5s non è servito ad eleborare una strategia per
uscire dalla recessione economica alla quale il Paese era stato condotto dal
precedente governo M5s-Lega. E non è solo sul piano economico che il governo Pd
–M5s ha mostrato di non essere in grado di invertire la rotta. Un esempio per
tutti la vicenda dei decreti sicurezza: in 9 mesi di governo non è stata
introdotta neppure una parziale revisione dei decreti emanati dal Conte 1 e che
il segretario del Pd Zingaretti giudicava ignobili e aveva promesso di abolire.
Forse, più che al Paese, questo governo serve agli obiettivi interni al Pd,
quelli che l’attuale suo gruppo dirigente persegue. Ovvero, come ha ben
spiegato lo stesso Romano nel suo intervento su Linkiesta, esercitare una “egemonia” sull’elettorato del M5s (che
costituisce “un calderone in cui c’è
tutto e il contrario di tutto”) per orientarlo nella direzione di un “sostegno al riformismo europeista espresso
dal Pd”. Infatti, dice Romano, “la
domanda che dobbiamo farci è dove vogliamo portare quell’elettorato? Regalarlo
a Salvini e Meloni come truppa di complemento in un disegno di isolamento
autoritario del paese, o portarlo a sostenere il nostro disegno per l’Italia?”.
Insomma, come si può vedere, meri interessi di partito. Del resto Romano non ci
dice nulla sul “disegno per l’Italia”
del Pd (e nessuno sa quale sia tale disegno).
Invece, stante la complessità della crisi che sta per abbattersi
sul nostro Paese, un disegno per l’Italia
ci vorrebbe proprio.
Oggi un tale disegno potrebbe essere espresso solo da un governo di unità
nazionale, come sostiene l’economista Michele Salvati in un recente saggio apparso su www.perfondazione.eu.Secondo Salvati, infatti, va bene pensare alle mosse per uscire
dall’emergenza Covid e dalla crisi, ma bisogna spingere lo sguardo più in là.
Bisogna invertire la rotta di un declino ormai ventennale e per fare ciò ci vogliono le riforme e un esecutivo di
unità nazionale.
***
Una sintesi della proposta del Prof. Michele Salvati:
Vediamo brevemente le principali considerazioni che portano Salvati a formulare la proposta di un governo di unità nazionale (che lui presenta come “un piccolo esperimento mentale”, essendo scettico sulla possibilità che possa essere realizzata).
Il professor Salvati parte da una riflessione sulle carenze del sistema decisionale pubblico,
da ultimo rivelate dal modo in cui è stata affrontata in Italia l’emergenza
sanitaria. Queste carenze sono sostanzialmente tre:
– una grave inefficienza amministrativa
(tra le altre cose il coronavirus ha
rivelato l’impreparazione del nostro sistema sociosanitario a fronte di un
evento certamente estremo, ma non imprevedibile.)
– una
forte confusione ed un conflitto endemico nel riparto delle competenze tra
istituzioni della Repubblica (sul
banco degli accusati anche la riforma
del Titolo Quinto del 2001)
– grosse distanze tra i partiti e
intensi livelli di polemica e di incomprensione reciproca (la differenza di
orientamenti politici di fondo è forte non solo tra le forze di governo e
quelle di opposizione ma anche all’interno delle forze che stanno governando e
tutte, di governo e di opposizione, mostrano di avere come obiettivo principale
non il bene del paese ma quello del partito).
Accanto alle carenze del sistema decisionale pubblico vanno poi considerati i problemi che emergono in relazione alle misure prese o previste per riattivare l’economia dopo l’interruzione per ragioni sanitarie. Salvati si sofferma a considerare soprattutto il contenzioso con l’Unione Europea, che conferma il perdurare della spaccatura di fondo tra le forze politiche del nostro paese che si è aperta nell’ultimo decennio, tra europeisti e antieuropeisti. Più in generale, tra partiti tradizionali e partiti populisti o sovranisti.
Il contenzioso con l’Europa si intreccia con la questione del debito pubblico. Il governo italiano ha assunto l’impegno di reintegrare le perdite di reddito dovute alle limitazioni dell’attività produttiva. Questo naturalmente comporta un elevato fabbisogno di finanziamento e, di conseguenza, un aumento del debito pubblico. Perciò nell’immediato l’Italia punta ad ottenere, in nome della solidarietà europea, le maggiori risorse possibili senza aumentare a dismisura il proprio debito. L’Unione Europea ha modificato le line di credito già esistenti eliminando vincoli che ne avrebbero scoraggiato l’accesso, ha creato nuove linee di credito molto convenienti e, soprattutto, la BCE con il Pandemic Emergency Purchase Program indirizza l’acquisto di titoli del debito pubblico verso i paesi che ne hanno più bisogno. All’Europa e alla sua banca, dice Salvati, non si può rimproverare di non essersi mossa per tempo. Eppure la spaccatura tra le forze che ancora credono nell’Unione Europea e quelle che non ci credono e scaricano sull’Europa gran parte delle responsabilità del declino economico del nostro paese è emersa con tutta evidenza. E a condividere questa deleteria convinzione non sono solo Lega e Fratelli d’Italia, ma lo è ‘di pelle’ anche il maggior partito di governo, i 5 stelle.
Come si sa, il governo italiano ha mostrato contrarietà a ricorrere al programma MES (anche a quello rivisto e con condizionalità molto ridotte) ed ha puntato tutto sui Recovery Fund (come dicevamo, per ora sono previsti 750 miliardi, una parte per aiuti a fondo perduto e una parte per prestiti agevolati a lungo termine, con l’unica condizionalità della presentazione di un programma di spesa). ll progetto Recovery ha comunque dimensioni piuttosto contenute e richiede tempi lunghi per l’erogazione dei fondi (i soldi non arriverbbero prima del 2021). In attesa che l’Europa giunga ad una completa definizione del progetto, quello che è certo, dice Salvati, è che l’Italia vedrà crescere molto il proprio debito pubblico proprio mentre crolla il suo reddito interno (è di ieri la pubblicazione delle previsioni OCSE sull’andamento dell’economia europea che, per l’Italia, indica una crollo del PIL tra l’11,3% e il 14% e un ritorno della disoccupazione in doppia cifra, tra l’11 e il 12 %, mentre il debito pubblico potrebbe balzare al 170% del Pil). E ci sono ancora molte incognite su come andranno le cose nei prossimi mesi. Insomma, potremmo trovarci in una situazione assai peggiore di quella che produsse la crisi del debito sovrano del 2011, che portò al governo Monti.
Ma quello che è molto preoccupante, secondo Salvati, è che quanto ci riserva il futuro prossimo sia oggetto di così scarso interesse e preparazione nel mondo politico, se si escludono poche voci, di partiti e movimenti con modesto seguito elettorale. … Nessuno tra i politici che contano sembra riflettere sul problema che l’Italia è da molto tempo su un percorso insostenibile: cresce troppo poco in termini reali e nominali … e in queste condizioni anche interessi sul debito complessivo molto bassi tendono a far aumentare il rapporto Debito/Pil, un indicatore rozzo ma efficace di sostenibilità. … La via maestra dovrebbe essere un forte aumento del tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo: ma stanno discutendo seriamente –i partiti- su un programma che conduca a questi risultati?
Non bastano i soldi se non si riforma il sistema. Troppi sembrano convinti che i nostri
problemi appartengono al novero di quelli che si risolvono buttandogli un sacco
di soldi addosso. Senza negare che è importante sostenere in continuazione
l’attività economica perché è difficile qualsiasi riforma se nel frattempo
l’economia langue, i nostri principali problemi, quelli responsabili del nostro
declino, sono dovuti in gran parte al cattivo funzionamento del nostro sistema
politico, istituzionale e amministrativo, le cui radici risalgono a molto
addietro nel tempo. …
Un’emergenza, però, se non viene sprecata
in polemiche sterili … potrebbe dare origine ad un mutamento di opinione che
coinvolga gran parte dei nostri concittadini e li porti a riflettere sui guasti
profondi della nostra democrazia e delle sue istituzioni. E di conseguenza
indurli ad accettare un programma di
lungo periodo, che potrebbe essere intitolato ‘Rifare insieme l’Italia’. …
Questo programma dovrebbe partire da una profonda riforma
costituzionale (nella quale potrebbero essere inclusi i principi base della
legge elettorale) e poi articolarsi in
una serie di cantieri che potrebbero operare già nel corso di questa
legislatura e soprattutto della prossima”.
La via maestra per
‘rifare l’Italia’ potrebbe essere un governo di unità nazionale, guidato da un
presidente del Consiglio il cui prestigio nazionale e internazionale fosse
molto alto, composto dalle migliori competenze disponibili nel nostro paese,
sia nel mondo politico che al di fuori di esso. Oltre a gestire l’emergenza
sanitaria ed economico-sociale, questo governo dovrebbe assicurarsi
che il processo di riforma costituzionale si svolga nei tempi minimi previsti
dalla Costituzione: tre anni, quanti intercorrono fra oggi e le prossime
elezioni politiche. I partiti dovrebbero assumere l’impegno di sostenere il
governo senza defezioni, indicare un candidato comune per il ruolo di
presidente della Repubblica, trovare un accordo sulle procedure e sugli
indirizzi fondamentali della riforma. Poi elezioni politiche.
Se il nucleo della riforma costituzionale del governo seguirà un modello
simile a quello semi-presidenziale francese, alcuni degli ostacoli che oggi si
frappongono ad una democrazia, liberale sì, ma capace di decidere, dovrebbero
essere risolti dalla riforma stessa. Dopo le elezioni la
politica potrebbe riprendere il suo corso sul nuovo binario costituzionale e
dedicarsi ai cantieri che dovrebbero essere istallati per ‘rifare
l’Italia’: pubblica amministrazione, scuola, regioni, giustizia,
mezzogiorno, rilancio dell’economia e dell’occupazione, lotta contro la povertà.
La proposta di Michele Salvati, che abbiamo qui riassunto a grandi linee (per una lettura integrale rimandiamo a questo link) è realizzabile?
Lo stesso autore si mostra pessimista. Egli ritiene
che lo scenario tratteggiato sia certamente auspicabile ma solo minimamente
realistico:
Il disegno è auspicabile anzitutto per l’Italia. … Se le cause del declino sono
quelle prima accennate e dunque cause essenzialmente interne, una democrazia più capace di decidere, più
competente e meno rissosa, disorganizzata e conflittuale non può che
collocare l’italia in una situazione migliore di quella odierna per affrontare
i difficili problemi che si prospettano per il futuro e di cui il coronavirus
non è che l’antesignano: si pensi soltanto all’emergenza dei cambiamenti
climatici. Si tratterebbe di una democrazia
liberale, in cui i diritti individuali e le garanzie costituzionali sono
rigorosamente rispettati e nella quale una vigorosa dialettica tra destra e sinistra consente di rappresentare gli
interessi e le aspirazioni dei ceti più svantaggiati della società, un
requisito indispensabile alla sostenibilità nel tempo degli stessi caratteri
liberali della democrazia.
Lo stesso disegno è auspicabile per i suoi riflessi internazionali, per
rovesciare i (pre)giudizi dominanti in Europa, nelle cancellerie di tutto il
mondo e soprattutto nei mercati. … L’attenuazione dei (pre)giudizi nei
confronti dei nostro paese e dunque il suo rafforzamento in un contesto europeo
e internazionale sarebbero una conseguenza della convinzione crescente che
l’Italia ha cambiato rotta. Questa convinzione potrebbe già maturare in tempi
brevi, in seguito alla constatazione che finalmente esiste per il resto di
questa legislatura un governo adeguato, forte e competente.
Al contempo, Salvati è pessimista sulla possibilità di attuazione del progetto. Sono varie le ragioni di questo pessimismo. La principale è la convinzione che in questo momento le forze che agiscono avendo come orizzonte una continuità col passato siano di gran lunga prevalenti su quelle convinte che un radicale cambiamento sia necessario. Come dargli torto.
L’immagine in evidenza è tratta da immoderati.it
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