IMMOBILISMO /2
La contrarietà a regolarizzare gli immigrati

Lega e M5s condividono non soltanto la contrarietà a prendere soldi in prestito dal Mes (al vantaggioso tasso di interesse dello 0,1%), ma condividono anche la contrarietà a regolarizzare gli immigrati (cosa che in questo periodo avrebbe consentito la raccolta di molti prodotti agricoli che invece dovranno essere buttati via).

La posizione della Lega sulla questione immigrati è a tutti arcinota, per via della centralità assegnatale da Matteo Salvini nella sua attività di Ministro dell’Interno durante il precedente governo Conte.  La posizione del M5s, che ha sempre tenuto un atteggiamento un po’ più defilato rispetto ai leghisti, è stata di recente espressa più chiaramente (si fa per dire) dall’attuale responsabile politico del Movimento Vito Crimi (riportata da Lorenzo Borga su Il Foglio dell’11 maggio):


Le ipotesi in campo –dice Crimi- che prevedono la concessione di permessi di soggiorno temporanei a immigrati irregolari, non aiutano l’emersione di lavoro nero, tutt’altro. Perché se noi concediamo uno status di regolarizzazione a chi è in Italia illegalmente, consentiamo a queste persone di continuare a svolgere lavoro nero ed essere oggetto di sfruttamento. Massima disponibilità alla lotta al lavoro nero – ha concluso- ma non accetto che vengano dati dei permessi di soggiorno temporanei perché è lì, appunto, che si insidia il lavoro nero. Emersione del lavoro nero e lotta al caporalato sono sempre stati i nostri cavalli di battaglia e continueremo a fare tutto ciò che serve ed è utile in questo senso che siano italiani o stranieri: il tema non è la regolarizzazione degli immigrati irregolari ma l’emersione del lavoro nero”.

Dove sta la coerenza nell’affermare di essere contro il lavoro nero e il caporalato e contemporaneamente negare la regolarizzazione degli stranieri irregolari che potrebbero lavorare nelle nostre aziende agricole?
Che possa succedere che anche uno straniero regolarizzato svolga  del lavoro in nero (esattamente come può succedere che un italiano svolga del lavoro in nero) non è un buon motivo per negare la regolarizzazione e, quindi, favorire il fatto che l’unica forma possibile di lavoro per gli immigrati irregolari sia proprio il lavoro nero, quello maggiormente sfruttato e per il quale né il lavoratore né l’imprenditore pagano le tasse (con grave danno per l’erario).

Al di la di questa contraddizione ci interessa qui mettere in evidenza  come anche in questo caso, tra le forze politiche, quelle di governo come quelle di opposizione,  prevale un modo di affrontare i problemi che nulla ha a che fare con il pragmatismo, ovvero  con la ricerca di soluzioni adeguate e praticabili. Per ognuno, al primo posto c’è il tornaconto politico, in termini di consensi, per il proprio partito o per la propria fazione.
Crimi non vede un nesso tra regolarizzazione ed emersione del lavoro in nero, non perché questo nesso non vi sia o non vi possa essere ma perché è interesse del suo partito spostare il centro della discussione, allontanare il problema immigrati dall’agenda della politica. La conclusione del suo ragionamento, del resto, lo dice chiaramente: “il tema non è la regolarizzazione degli immigrati irregolari ma l’emersione del lavoro nero”. È questo –dice Crimi- che da sempre costituisce uno dei cavalli di battaglia del Movimento 5 stelle. E qui bisogna dargli ragione: l’accoglienza degli immigrati, la loro regolarizzazione, la concessione di diritti per chi lavora in condizioni disumane  non è mai stato un loro cavallo di battaglia.  Se lo fosse stato non avrebbero prodotto, insieme a Salvini, i famigerati decreti sicurezza. E comunque, da quando sono al governo con il Pd, avrebbero potuto adoperarsi per abolirli o per lo meno modificarli. Invece hanno sempre rifiutato di prendere in considerazione qualsiasi ipotesi che andasse in questa direzione.

A dire il vero neppure il Pd ha mai pensato di abolirli, i famigerati decreti sicurezza, pur costituendo tale atto una delle promessa  fatte al momento di avviare la collaborazione con il M5s nel governo Conte 2. Il segretario del Pd aveva presentato tale collaborazione come “il governo della discontinuità”. Ma poi tutte le leggi caratterizzanti il governo Conte 1 pilotato da Di Maio e Salvini sono state mantenute e sono tuttora in vigore, compreso il divieto di concedere permessi di soggiorno, ovvero di regolarizzare coloro che entrano nel nostro paese in modo clandestino. Favorendone, appunto, l’immersione nel lavoro nero.
Probabilmente, non fosse stato per il grido di allarme degli imprenditori agricoli, fatto proprio dalla pattuglia di parlamentari di Italia Viva, la questione non sarebbe stata posta all’ordine del giorno.

Mentre scriviamo questo post i giornali danno notizia dell’avvenuto accordo (dopo oltre due settimane di trattative e di scontro politico al limite della rottura) tra i partiti che sostengono il Conte 2, e lasciano intendere che si tratta di un accordo al ribasso. Non di una regolarizzazione vera e propria, insomma, ma della concessione di un permesso di lavoro cui è collegato un permesso di soggiorno fino a dicembre. Poi si vedrà.
Un successo, parziale, del ministro per l’Agricoltura Teresa Bellanova, ma comunque un successo, che speriamo inauguri una nuova stagione politica all’interno di una coalizione di governo finora troppo sbilanciata sulla inconsistente e immobilistica strategia dei 5 stelle. Troppo presto, comunque, per dire che la discontinuità è finalmente e realmente cominciata. Troppo presto per poter dire che dalla lunga vicenda regolamentazione immigrati  non esca confermata la strategia che ha finora caratterizzato l’azione politica del M5s all’interno del Conte 2: fare parziali concessioni cercando di mantenere immutato l’assetto di fondo definito col governo precedente.

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