Cosa succede in Ucraina

Sono passati 137 giorni dall’inizio della guerra scatenata dalla Federazione Russa contro la Repubblica Ucraina. Dagli inviati di guerra dei vari giornali riceviamo quotidianamente informazioni dettagliate su quanto sta succedendo: riceviamo dati e cifre che riguardano l’andamento del conflitto, ma riceviamo anche storie che riguardano la vita delle persone che vi sono coinvolte.

Sono 4.889 – ci dicono – le vittime civili dall’inizio dell’invasione, di cui 347 bambini. I feriti ammontano a 646. Ma, secondo l’Onu, si tratta di numeri sottostimati in maniera macroscopica. Da La Stampa del 7 luglio apprendiamo, in particolare, che “la maggior parte dei minori è rimasta uccisa o ferita nelle regioni di Donetsk (346), Kharkiv (186), Kiev (116), Chernihiv (68), Luhansk (61), Mykolaiv (53), Kherson (52) e Zaporizhzhia (31)”.

Su La Stampa del 7 luglio leggiamo inoltre che i soldati russi uccisi dall’inizio del conflitto sono 36.650. Ma il dato più impressionante di cui riferisce il giornale torinese è che “a Kherson i soldati russi stanno bruciando i corpi dei loro caduti per nascondere le perdite. Lo riferisce l’intelligence del ministero della Difesa ucraino su Telegram: “Nella periferia della città, più di una volta sono stati notati luoghi con un gran numero di resti carbonizzati di persone. È difficile identificare con precisione la loro appartenenza a causa dei notevoli danni provocati dalle fiamme”, scrive l’intelligence ucraina, aggiungendo che “per nascondere l’incendio deliberato dei corpi, i rappresentanti dell’esercito russo stanno cercando di farlo passare come la conseguenza dei colpi dell’artiglieria e dei successivi incendi”. E infine,  sempre La Stampa del 7 luglio, riporta una nota del procuratore generale dell’Ucraina Irina Venediktova, nella quale si dice che “oltre 21mila crimini di guerra presumibilmente commessi dalle forze russe sono oggetto di indagine da parte delle autorità ucraine” (l’ufficio di Irina Venediktova riceve ogni giorno segnalazioni di 200-300 crimini di questo tipo).

In questi ultimi giorni i giornali hanno anche messo in risalto due importanti dichiarazioni, una rilasciata dal  presidente dell’Ucraina e l’altra dal presidente della Federazione Russa.

Nella prima, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky afferma: “Questo non è esattamente un conflitto e non più un conflitto militare è un’azione terroristica aperta da parte della Federazione Russa. Ed è persino difficile chiamarla guerra, date le conseguenze… ciò che queste persone o non persone, i militari della Federazione Russa, hanno fatto ai civili del nostro paese. E mi sembra che oggi dipenda da queste conseguenze se questa guerra durerà e se la Federazione Russa capirà cosa ha fatto. Quando finalmente lo capirà, inizierà a lasciare il nostro territorio”. “Tuttavia non credo davvero che possano capirlo da soli – ha aggiunto Zelensky – La fine della guerra dipenderà dalla pressione del mondo intero sulla Russia per mandarla via dalla nostra terra. Con sanzioni, politicamente, nonché con l’aiuto e la rapida fornitura di armi a noi, rafforzandoci. La fine della guerra dipende da tutti noi, da quanto velocemente possiamo farlo e quanto velocemente possiamo far pensare la pace alla Russia, perché crediamo che non abbiano nemmeno iniziato a farlo. Non stanno ancora subendo gli effetti di potenti sanzioni, perché le aggirano, perché, sfortunatamente, ci sono ancora alcuni alleati che aiutano la Federazione Russa o i loro affari”.

A sua volta, in un incontro con i capigruppo dei deputati della Duma, Putin ha fatto una dichiarazione molto aggressiva, che suona come una conferma dei timori manifestati da Zelensky: “Dovrebbero sapere –ha detto – che, tutto sommato, in Ucraina non abbiamo ancora cominciato a fare la guerra sul serio“. Poi ha addossato la colpa della guerra all’Occidente collettivo, che cerca lo scontro con la Russia e vuole contrastarla. E infine una minaccia, rivolta appunto all’Ucraina e insieme all’Occidente: “Vogliono sconfiggerci sul campo di battaglia, ci provino pure”.

Nelle cronache pubblicate dai giornali si trovano molti esempi di quella che Zelensky chiama “azione terroristica”.

Un esempio dei più recenti è l’attacco missilistico al villaggio di Serhiivka, distretto di Bilhorod-Dnistrovs’kyj, oblast’ di Odessa, che ha colpito edifici di civile abitazione con un bilancio di 21 morti (tra cui un ragazzo di 12 anni) e 39 feriti (tra cui 2 bambini). La dichiarazione ufficiale dell’esercito russo è di aver colpito un deposito di armi. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si sia trattato di un errore, di missili che hanno sbagliato bersaglio.

Il giorno dopo l’attacco il giornalista Adriano Sofri si è recato sul posto. Nel suo servizio, pubblicato sul quotidiano Il Foglio del 2 luglio, tra le altre cose si legge:

“All’una di notte, minuto più minuto meno, tre missili – o quattro, c’è un’incertezza – hanno colpito e fatto esplodere un rettangolo grande quanto due o tre stadi di calcio, sventrato un condominio di otto piani, demolito due edifici dirimpettai separati da una piscina, mandato in frantumi i vetri di case e negozi in un raggio di chilometri e scosso dalle radici i pensieri delle persone”. …
Le persone chiedono ‘perché?’ e ‘come?’ – perché fanno questo, come ha potuto fare questo – che sono solo in apparenza delle domande, e sanno di non avere risposta”. …

“Ho parlato con un certo numero di loro, una si chiamava Karina, una Oleksa, tre Sergij, o Serhi, nella grafia ucraina. …Uno era il padre di Karina, anziano, malediceva con gli occhi rossi (Karina li aveva pieni di lacrime), diceva, un po’ a parole un po’ spalancando le braccia, perché io capissi bene, che la Russia ha un territorio colossale, COLOSSALE, e viene in questo puntino, in questo paesino di mare cui è stato sequestrato il mare. …
Mi invita a fare un giro con lui. … Quello che vuole mostrarmi è che Serhiivka-Sergeevka, paesino che nelle estati di una volta diventava una spiaggia magnifica fitta di umani felici, non ha un solo deposito di armi, una sola baracchina militare, un solo soldato nemmeno. … E’ come a Kremenchuk, senza nemmeno il lusso del supermercato”.

Un altro esempio recente di ricorso a metodi terroristici è costituito dalla occupazione della centrale nucleare di Zaporizhzhia. Un inviato del quotidiano La Repubblica, Daniele Raineri, in un reportage del 6 luglio racconta:

“I soldati russi stanno trasformando la centrale nucleare di Zaporizhzhia nel sud occupato dell’Ucraina in una guarnigione militare e tengono in ostaggio alcuni lavoratori, secondo fonti locali sentite dal Wall Street Journal. Hanno minato la sponda del fiume dove sorge l’impianto, che con i suoi sei reattori è il più grande d’Europa, e hanno portato al suo interno pezzi d’artiglieria, lanciarazzi e mezzi blindati. Fanno affidamento sul fatto che le truppe ucraine posizionate a soltanto cinque chilometri di distanza non bombarderanno la centrale perché vogliono minimizzare il rischio di un disastro nucleare – basta il ricordo di quello di Chernobyl, avvenuto nel 1986 nel nord dell’Ucraina.

I rapporti tra le truppe russe e gli undicimila lavoratori ucraini che fanno andare avanti l’impianto sotto sorveglianza da quattro mesi sono molto tesi. Questa settimana i soldati hanno minacciato di svuotare le grandi vasche di raffreddamento perché sospettano che gli ucraini le abbiano usate per nascondere armi, ma è  un’operazione che metterebbe a rischio il normale funzionamento della centrale. I russi tengono in ostaggio una quarantina di dipendenti all’interno della base e chiedono denaro – piccoli riscatti di poco sopra ai mille dollari – per liberarli”.

Altre due tipologie di azioni vanno sempre più caratterizzando l’operazione speciale voluta da Putin che, come dice Zelensky, è persino difficile chiamarla guerra.
La prima tipologia, avviata sommessamente fin dall’inizio dell’invasione, è quella di deportare in Russia una parte della popolazione ucraina. La Repubblica del 9 luglio riferisce, ad esempio, che nelle ultime 24 ore, secondo quanto dichiarato alla Tass dal generale Mizintsev, più di 25.000 persone, tra cui circa 4.000 bambini, sono state evacuate dal Donbass verso la Russia.
La seconda tipologia di azioni che sta diventando sempre più frequente è quella di distruggere “intenzionalmente” raccolti e granai. Sempre su La Repubblica, si legge: “Le forze russe stanno intenzionalmente distruggendo raccolti nella regione di Kherson. Lo afferma un portavoce dell’amministrazione militare regionale di Odessa, condividendo foto della polizia locale in cui si vedono campi in fiamme. Lo riporta il Guardian. A causa dei bombardamenti con proiettili incendiari, ogni giorno si verificano incendi su larga scala nei campi e nelle foreste in tutto il territorio della regione. Inoltre le truppe russe non consentono alla gente del posto di spegnere gli incendi, distruggendo granai e attrezzature”.

Non osiamo immaginare a cosa ci toccherebbe assistere se  veramente alla dichiarazione rilasciata da Putin dovessero seguire fatti concreti. C’è quindi da augurarsi che l’Occidente trovi il modo di contrastare adeguatamente (cosa che finora non ha fatto) le folli intenzioni del presidente russo. E non lasci solo sulle spalle del popolo ucraino l’onere della difesa dei comuni valori di democrazia e libertà.
Bisogna riconoscere che finora l’Ucraina (come scrive Giovanni Cagnoli su Linkiesta del 9 Luglio) ha pagato un tributo di vita, di dolore e di devastazione interna senza precedenti in Europa dalla seconda guerra mondiale.
Bisogna però – aggiunge Cagnoli – resistere ancora dodici, diciotto mesi, mandare armi agli ucraini, aiutarli in ogni modo, ed essere fermi e determinati con le sanzioni. La capacità di reazione delle economie di mercato, la dimensione stessa del rapporto di forza tra Occidente e Russia sono garanzie di successo, purché qualche idiota locale non imponga una narrazione populista di pace (come se la pace dipendesse da qualche velleitaria dichiarazione alla Dibba) e indebolisca il fronte interno delle democrazie occidentali.

L’immagine in evidenza è tratta da: notizieguerra.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: ansa.it; ilfoglio.it; theitaliantimes.it; iltempo.it

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