Il Papa e la guerra

“Porto ogni giorno nel cuore la cara e martoriata Ucraina, che continua ad essere flagellata da barbari attacchi, come quello che ha colpito il centro commerciale di Kremenchuk. Prego perché questa folle guerra possa vedere presto la fine, e rinnovo l’invito a perseverare, senza stancarsi, nella preghiera per la pace: che il Signore apra quelle vie di dialogo che gli uomini non vogliono o non riescono a trovare! E non trascurino di soccorrere la popolazione ucraina, tanto sofferente.”  
Con queste parole il 29 giugno papa Francesco durante la preghiera dell’Angelus ha ricordato la guerra ponendosi dal punto di vista del paese aggredito e definendo l’offensiva russa “barbari attacchi”. 

Quindi il papa ha chiaro in mente che si tratta di una guerra di aggressione, con una vittima precisa e non invece una complice responsabilità di entrambi i contendenti a scontrarsi tra loro. Ieri poi, in una intervista all’agenzia argentina Telam, ha ulteriormente chiarito il suo pensiero: “ci può essere una guerra giusta, c’è il diritto di difendersi” dice Francesco aggiungendo tuttavia, subito dopo, che “il modo in cui viene usato il concetto oggi deve essere ripensato perché in guerra non si balla il minuetto, si uccide”. Nella stessa intervista il papa riprende un suo discorso precedente – in cui aveva affermato che rispetto alla guerra in corso “non c’erano né buoni né cattivi” – ed ha specificato che non intendeva scagionare Putin, ma ribadire che “siamo tutti coinvolti ed è questo che dobbiamo imparare”.

L’iniziativa di Francesco per porre fine alla guerra si ferma quando si tratta di decidere seccamente se appoggiare oppure no, con l’invio di armi, l’esercito ucraino. La posizione del Papa è un netto rifiuto, alimentato da almeno tre fattori:
1) dalla sua interpretazione del Vangelo, da cui ricava la necessità di una risposta chiara, decisa, anche gridata all’ingiustizia, ma che non sia il ricorso alle armi;
2) dalla sua analisi del mercato mondiale in cui mette in rilievo la presenza di “quella intera struttura di vendita di armi” che alimenta i combattimenti di ambedue le parti in conflitto; 3) dal rischio che l’invio delle armi all’aggredito faccia scoppiare un scontro allargato all’intero pianeta, senza controllo ed irrimediabile perché, con la scoperta della scissione nucleare, l’umanità si trova a fare i conti col possibile scenario della fine della civiltà.

Sono nobili ragioni che fanno intravedere una Chiesa super partes, non schierata politicamente ma impegnata sul terreno prettamente religioso, nel quale la dimensione del martirio ha un senso (un senso, per il Papa, fecondo della vera pace). Sono tuttavia ragioni parziali perché non comprendono anche il punto di vista della vittima. Su quanto il pacifismo di Francesco non sia opportunista e ancor meno legato alla logica dei sovranisti alla Salvini e degli amici di Putin travestiti da agnelli è sostenuto da un approfondito articolo,Anti-temporalismo. Perché non ha senso paragonare Papa Francesco ai pacifisti cripto-putiniani” di Carmelo Papa.   

Chi invece volesse vedere sottolineati i rischi di scarsa coerenza nella posizione di Francesco (affermare in teoria il diritto alla difesa da parte della vittima e contemporaneamente negarlo nella pratica) e di come la presentazione della sua posizione possa incorrere in aporie insostenibili leggaAmicus Papa, sed magis amica logica. Delle due l’una: o si dice che c’è un aggressore e c’è una vittima o si dice che le cose sono più complesse” di Francesco Cundari.

L’immagine in evidenza è tratta da toscanaoggi.it

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