Visioni della guerra russo-ucraina

La visione dell’élite russa

In un  saggio pubblicato il 30 09 2022 dal Washingtonpost, il leader dell’opposizione russa Alexei Navalny (che sta scontando una condanna a nove anni in una colonia penale di massima sicurezza), parla delle cause che hanno determinato la guerra “scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina” e di come dovrebbe essere, a suo avviso, una Russia post-Putin. In quel saggio, tra le altre cose, descrive anche la visione della guerra che, a suo parere, ha la classe politica attualmente al potere in Russia.

La visione della guerra non come una catastrofe ma come uno straordinario mezzo per risolvere tutti i problemi non è solo una filosofia dei vertici di Putin, ma una pratica confermata dalla vita e dalla storia recente. Dalla seconda guerra cecena, che ha reso il poco noto Putin il politico più popolare del Paese, passando per la guerra in Georgia, l’annessione della Crimea, la guerra nel Donbass e la guerra in Siria, l’élite russa negli ultimi 23 anni ha imparato regole che non sono mai fallite: la guerra non è così costosa, risolve tutti i problemi di politica interna, alza alle stelle l’approvazione pubblica, non danneggia particolarmente l’economia e, cosa più importante, i vincitori non devono assumersi alcuna responsabilità. Prima o poi, uno dei leader occidentali verrà da noi per negoziare. Non importa quali motivi lo guideranno – la volontà degli elettori o il desiderio di ricevere il premio Nobel per la pace – ma se mostri la giusta tenacia e determinazione, l’Occidente verrà a fare la pace.…
 
In Russia la guerra riguarda sempre il profitto e il successo.…  quindi, le speranze che la sostituzione di Putin con un altro membro della sua élite cambierà radicalmente questa visione della guerra, e in particolare della guerra per “l’eredità dell’URSS”, è per lo meno ingenua. Le élite sanno semplicemente per esperienza che la guerra funziona, meglio di qualsiasi altra cosa.


La visione degli anti-occidentali nostrani

In un articolo del 14 Novembre sul Corriere Della Sera, l’editorialista Angelo Panebianco parla di un sentimento di ostilità, molto diffuso qui da noi tra gli intellettuali ma non solo, nei confronti della società occidentale in generale e in particolare del modello si società americano. Sentimento che porta, intellettuali e non, a provare simpatia per Putin, visto come “eroe” e campione dell’anti-occidentalismo, come “l’uomo forte”  capace di tenere testa agli americani.
Nell’articolo di Panebianco troviamo una acuta descrizione di come vedono la guerra in corso “i nemici nostrani delle società occidentali”, molti dei quali abbiamo visto sfilare in vari cortei pseudo pacifisti per chiedere che America ed Europa smettano di fornire agli ucraini le armi che gli stanno consentendo di difendersi dall’aggressione subita.

Non è ancora finita, e i colpi di coda potrebbero essere terribili, ma al momento Davide, come l’abbandono russo di Kherson testimonia, sta sconfiggendo Golia. Grazie alla volontà degli ucraini di difendersi e al sostegno occidentale. Un sostegno che, dalle nostre parti, in tanti, senza riuscire, almeno fino ad ora, nel loro intento, avrebbero voluto far cessare.

Anche questa guerra, come tante altre vicende, testimonia del fatto che le società occidentali si trovano in una condizione paradossale. Da un lato, valorizzano al massimo l’importanza e la dignità delle persone garantendo loro una vasta panoplia di diritti individuali. Dall’altro lato, sono anche società in cui vengono elaborate e ampiamente diffuse concezioni della vita associata e della storia umana che tolgono valore ai singoli, alle persone in carne ed ossa. Con la conseguenza di negare o dimenticare proprio le ragioni che rendono possibile, qui, da noi, l’esistenza di quei diritti individuali.
Nelle versioni (apparentemente) più sofisticate si tratta di concezioni per le quali contano solo le «strutture» – sociali, economiche, eccetera- che avvolgono gli individui, li plasmano e , di fatto, li svuotano di ogni volontà propria. Nelle versioni più rozze, quegli individui sono pupazzi, burattini o pulci ammaestrate, nelle mani di «poteri forti», anzi fortissimi (le grandi potenze, la Nato, le multinazionali, il mostro denominato capitale finanziario, eccetera).

Non si tratta, si badi, di concezioni che restano chiuse in circoli intellettuali ristretti. No, inondano la comunicazione pubblica, arrivano ovunque. I tanti che pensano che nella guerra in Ucraina l’unica cosa che conti davvero sia il braccio di ferro fra la Nato e Putin, lo vogliano o no, considerano irrilevanti le idee e le volontà delle persone comuni, le trattano, per l’appunto, come burattini o pulci ammaestrate. Naturalmente, l’inconsistenza di queste posizioni è dimostrata dal fatto che mai i loro sostenitori si sognerebbero di pensare a se stessi in quei termini: i burattini sono soltanto gli altri.

Queste concezioni hanno pesato sul modo in cui una parte dell’Europa, minoritaria ma tutt’altro che irrilevante, e comunque assai visibile e vociante, è stata presente nella comunicazione pubblica fin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina e conteranno, forse ancora di più, nella prossima fase del conflitto.

Le armi dei Paesi occidentali non sarebbero servite a nulla se gli ucraini, le persone comuni, non avessero deciso di resistere, di difendere se stesse, i propri cari, la propria libertà, il proprio Paese. Hanno trovato — come a volte, fortuitamente, accade nella storia — un leader (e il suo entourage) all’altezza della sfida. Ma Zelensky non avrebbe potuto fare nulla se gli ucraini non avessero scelto di seguirlo in una resistenza che all’inizio sembrava disperata, senza possibilità di vittoria. Una volontà di resistenza a cui si contrapponeva — dato che le persone, per l’appunto, non sono semplici pedine nelle mani dei potenti — l’assenza di motivazione dei soldati russi ai quali risultava incomprensibile perché fossero lì ad uccidere e a morire.

Come ai tempi dell’intervento americano in Vietnam o dell’invasione russa dell’Afghanistan, a fare la vera differenza non sono gli aiuti esterni— che ci sono sempre stati — ma la forza o la debolezza delle motivazioni e delle convinzioni dei combattenti (da una parte e dall’altra), nonché dei gruppi umani coinvolti. Ciò spiega perché, talvolta, Davide riesca a sconfiggere Golia.
Questa però non è solo una riflessione sul passato. Riguarda anche il presente e il futuro. Tra poco diventeranno sempre più insistenti in Europa le voci di coloro che accuseranno Zelensky di essere ingordo e arrogante, di volere troppo (il ritorno ai confini di prima dell’invasione della Crimea).

La visione degli ucraini

Da un articolo pubblicato il 16 Novembre su Linkiesta dal giornalista Matteo Castellucci  la  visione che hanno della guerra coloro che sono stati e ancora sono vittime dell’aggressione russa:

No, Vladimir Putin non è stato provocato. La Nato era solo un pretesto1. Come erano un pretesto le accuse di nazismo2.
Quella di Putin è una guerra di conquista, ma è intrisa di un imperialismo più antico di lui.

(Secondo Boris Johonson, in un editoriale sul Wall Street Journal) non bisogna confondere la cartografia delle offensive con il vero obiettivo dell’aggressione: «Non vuole solamente un ponte, vuole l’intero Paese. Ha trascorso così tanto tempo nella sua bolla pandemica, ascoltando consigli semi-mistici da sacerdoti ortodossi con la barba, che si è convinto di essere destinato a vendicare gli insulti della Storia e riunificare l’impero di Pietro il Grande. Naturalmente Zelensky vorrebbe trattare, ma non puoi negoziare con un impostore omicida che, qualsiasi cosa sostenga, continuerà a cercare di distruggere la tua nazione».
L’«operazione militare speciale» è il preciso tentativo neocoloniale di soggiogare, e se necessario annientare, uno Stato confinante, in piena tradizione con lo zarismo e lo stalinismo.

L’Ucraina è l’ultima trincea dell’imperialismo russo, aggressivo all’esterno per nascondere la debolezza interna. Non esiste una pace che non lo estirpi, perché sarebbe temporanea. Lo riconoscono per primi i dissidenti russi. Il conflitto può finire solo con una vittoria di Kyjiv.

(Sempre secondo Boris Johnson) non c’è niente da negoziare. C’è una sola opzione percorribile ed è la sconfitta di Mosca, che sembra già iniziata. Le difficoltà dell’esercito invasore sono evidenti. La ritirata da Kherson in buon ordine sarà anche un consolidamento del fronte in vista dell’inverno, ma segna la liberazione del primo capoluogo regionale caduto, lo scorso 2 marzo, nelle mani dei russi. Nonché l’unico che siano riusciti a tenere. Dimostra l’efficacia del sostegno occidentale, anche e soprattutto attraverso l’invio di armi.
Scrive l’ex primo ministro inglese: «Pure se gli ucraini venissero convinti a cedere i loro diritti su una parte della loro terra – cosa che non potrebbero, vorrebbero né dovrebbero fare – non c’è alcuna ragione per credere che Putin rispetterebbe i patti».

Come ha scritto il giornalista di Internazionale Andrea Pipino il 28 marzo scorso:
al Cremlino c’è soprattutto una profonda incomprensione dei tratti salienti di una società che i leader russi immaginavano pronta a piegarsi e ad accogliere il “liberatore” moscovita e che invece sta dimostrando una straordinaria capacità di resistenza.
Non per il culto della bandiera o per un astratto ideale di patria, ma per difendere la propria esistenza, per non rinunciare alla libertà di vivere in un Paese che sia in grado di determinare in autonomia le proprie scelte e la propria posizione nel mondo. Come ha spiegato sul New York Times lo storico ucraino Jaroslav Hrytsak, i due Paesi hanno cultura e lingua quasi comuni, ma tradizioni politiche diverse. Il risultato è che oggi “è impensabile che in Russia ci sia una rivoluzione democratica, come è inimmaginabile che l’Ucraina possa accettare un governo autoritario”.

Tutto questo le élite russe non l’hanno capito semplicemente perché non potevano capirlo.

Note:

1. Condividere le frontiere con l’Alleanza Atlantica non sembra la principale preoccupazione di Putin, almeno non quanto colpire obiettivi civili in Ucraina. Basta ricordare la freddezza, e quasi la passività, con cui (non) ha reagito alla richiesta di ingresso nel Patto della Svezia e soprattutto della Finlandia, dirimpettaia della Federazione lungo un confine di mille trecento chilometri. Nei mesi successivi, anzi, ha ridotto la presenza militare per dirottare in Ucraina i reparti di stanza nella regione scandinava.

2. In trentun anni di indipendenza e vita politica autonoma di Kyjiv, l’estrema destra non ha toccato palla. Se in Europa, incluse Germania e Francia, l’ultradestra ha toccato percentuali a doppia cifra, nella Repubblica Ucraina è rimasta marginale: ha preso l’1,6 per cento alle presidenziali vinte da Zelensky nel 2019 e il 2,16 alle elezioni parlamentari di qualche mese dopo.

L’immagine in evidenza è tratta da: huffingtonpost.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: indro.it; micromega.net; agenzianova.it

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