La ricerca del centro perduto
Nell’articolo di fondo comparso sul Corriere della Sera di
Lunedì 8 Aprile, Angelo Panebianco ha affrontato lo stesso tema che era stato
sollevato nell’incontro-intervista di Paolo Mieli con Matteo Renzi, in quel di
Castenedolo, il 29 marzo scorso e del quale abbiamo parlato in un precedente
post. Il tema è questo: la necessità di ridare vita al centro ( che oggi appare sguarnito di partiti di una certa
consistenza) con la creazione di una (o più di una) formazione politica nuova.
Questa necessità muove dalla constatazione che, essendo ritornati ad un sistema
elettorale proporzionale, le maggioranze in grado di governare il paese difficilmente
escono direttamente dalle urne.
Ciò è generalmente visto come un limite (rischio di dover richiamare al voto i
cittadini, costituzione di maggioranze non bene assortite o che non
rispecchiano le preferenze dell’elettorato, ecc.). Limite che potrebbe essere
in vario modo superato con la presenza, appunto, di una consistente formazione
di centro.
Il punto di partenza dei ragionamenti di Mieli e Panebianco
è, dunque, lo stesso ed uguale anche il timore che la creazione di una
nuova forza politica di centro non sia
un’operazione facile facile.
Ma l’impostazione dei due ragionamenti è alquanto differente perché la
questione, come lo stesso Panebianco fa intendere al termine del suo articolo,
può essere affrontata da due differenti punti di vista: assumendo che la
situazione attuale sia destinata a riproporsi anche in futuro oppure assumendo che quella attuale sia solo
una parentesi e che presto la politica italiana tornerà a riproporre la contrapposizione
centrodestra contro centrosinistra.
Panebianco nel suo articolo svolge alcune considerazioni che rientrano, grosso modo, nella prima ipotesi.
La principale funzione di un partito (o di un raggruppamento
di partiti) di centro è, secondo Panebianco, quella di assicurare stabilità al sistema politico, tenendo a bada le formazioni estremiste. La sua formazione è
auspicabile, per il buon funzionamento del sistema politico, specie quando sono molto intense le
contrapposizioni ideologiche. Panebianco immagina quindi un partito elettoralmente
molto consistente, tale da risultare competitivo
nei confronti delle estreme (Lega
e M5s). Questo partito dovrebbe/potrebbe nascere da una scomposizione delle due
forze che hanno gareggiato nel sistema bipolare (destra contro sinistra) della
seconda repubblica: Forza Italia e Partito Democratico. Il ritorno al
proporzionale ha tolto importanza alla contrapposizione destra vs sinistra e
quindi è probabile che i due principali partiti che l’hanno impersonata non
sopravvivranno (almeno non come li abbiamo conosciuti finora). Naturalmente è
prevedibile che un tale processo possa essere lungo e complesso e non è
garantito che si giunga al risultato, cioè alla creazione del grande partito di
centro auspicato.
Concordiamo con la nota di pessimismo espressa da Panebianco e precisiamo che,
a nostro parere, l’idea che si possa costituire una nuova DC (diversa, ovviamente,
da quella antica ma con la stessa funzione) ci appare poco verosimile. Per vari
motivi (e non solo perché non si vedono emergere leader del calibro di De
Gasperi all’orizzonte della politica italiana). Certo, uno dei due pilastri
della politica della seconda repubblica è in fase di “decomposizione”. Però i
milioni di elettori che hanno abbandonato Forza Italia non si sono orientati
verso formazioni politiche moderate, sono andati a incrementare le fila dell’estrema
destra salviniana. Riguardo l’altro pilastro della politica tradizionale, il
PD, tutti gli analisti che dopo il 4 marzo 2018 lo hanno dipinto come un
partito in via di estinzione sono stati smentiti dai fatti. Dopo il tonfo del 4
marzo, stando a tutti i numerosi
sondaggi realizzati, il PD è rimasto pressoché sempre stabile, poco sotto il
20%, e negli ultimi tempi viene indicato in netta ripresa. Ed anche sulla
classica contrapposizione destra vs sinistra conviene essere un po’ cauti prima
di darla per definitivamente superata per effetto del passaggio al
proporzionale (nella prima repubblica c’era il sistema proporzionale e la
contrapposizione destra vs sinistra non aveva un ruolo secondario).
C’è poi un altro elemento di debolezza, nell’analisi di Panebianco come in quella di molti altri commentatori politici, e riguarda la rappresentazione che viene data della situazione che si è creata dopo il 4 marzo 2018 e, in particolare, della natura di Lega e M5s. Viene dato per scontato che Lega e M5s siano due forze “ideologicamente contrapposte”. In realtà sia dalla storia di questi due movimenti sia dai loro programmi elettorali sia dall’azione di governo emergono molti elementi di vera e propria convergenza e complementarietà, sul piano ideologico come sul piano strategico (si veda a proposito il servizio pubblicato dal settimanale l’Espresso il 24 Marzo scorso). La centralità che nei loro discorsi viene riservata alla ricerca e difesa dell’identità e del radicamento, i mille particolarismi dei quali Salvini e Di Maio si ergono ogni giorno a difesa e, contemporaneamente, il rigetto di molte conquiste del liberalismo e dell’ universalismo progressista (si pensi ad esempio ai giudizi sull’Unione Europea, all’atteggiamento nei confronti dell’immigrazione, all’insofferenza nei confronti dei corpi intermedi, ma gli esempi potrebbero essere tantissimi) fanno di questi due partiti i novelli rappresentanti del conservatorismo politico e sociale del nostro Paese, due volti (neppure tanto diversi) della stessa medaglia. Ciò non esclude che su alcuni temi i due partiti manifestino opinioni differenti o che tra i due partiti nonvi sia competizione, dato che pescano nello stesso bacino elettorale.
Si può discutere se sia un bene o un male avere una forte coalizione di conservatori al governo del Paese. Ma il punto è, prima di tutto, non fare e non creare confusione.
C’è ancora un dato che spesso non viene tenuto nella dovuta considerazione: dal 4 marzo 2018 in poi, tutti i sondaggi danno una Lega in forte crescita e un M5s in forte calo. Gli esperti dicono che c’è una tendenza allo spostamento di una quota consistente di elettori dal M5s alla Lega. Questa tendenza è poi confermata dai risultati delle varie consultazioni elettorali amministrative tenutesi negli ultimi dieci mesi: molti casi in cui la Lega ha avuto guadagni strepitosi sono casi in cui il M5s ha avuto altrettanto strepitose perdite (questa tendenza oltre a confermare il carattere complementare dei due partiti, ci fa pensare che se non viene trovato un modo per arrestarla, il M5s potrebbe essere, tra i partiti della seconda repubblica, il primo ad uscire di scena). Sintesi: è cresciuto in Italia un polo conservatore populista che si nutre di ideologie illiberali. Questo polo raggruppa al momento due partiti: Lega e M5s. Naturalmente, se non si parte dal presupposto che d’ora in poi la scena politica italiana sarà dominata dalla presenza di due formazioni estremiste tra le quali vi è una forte contrapposizione ideologica (Lega e M5s), la riflessione su come dovrebbe/potrebbe nascere una nuova formazione di centro, e con quale funzione, può essere svolta prefigurando scenari diversi da quelli ipotizzati da Panebianco.
Nel campo progressista, il PD è certamente in grosse difficoltà, essendo il partito che ha perso le elezioni. Ma la sua posizione sul piano elettorale non è, come spesso è stato detto, quella di un partito in via di estinzione ed anzi, al momento , è l’unico partito dal quale potrebbe partire una concreta proposta di alternativa all’attuale governo conservatore. Il condizionale è d’obbligo perché ancora non si intravede nell’azione della nuova segreteria del PD qualcosa che vada oltre la necessità di curare le ferite. Ma possedere una base elettorale stabile e per nulla esigua (considerando che siamo in un sistema proporzionale) è pur sempre una buona condizione di partenza. Legittimo quindi considerare l’eventualità, certamente non immediata, di un ritorno del PD (o comunque della sinistra riformista) al governo del Paese. Ragionando su tale eventualità, Paolo Mieli ha sollevato la questione della creazione di una nuova formazione politica di centro.
Nell’attuale sistema elettorale, dice Mieli, per vincere bisogna avere il 51%. In pratica, nessun partito, da solo, potrà raggiungere questo obiettivo. Se il PD vorrà riproporsi al governo del Paese dovrà trovare un baricentro più equilibrato e diventare interlocutore di quello che viene chiamato centro, che adesso non c’è, costituito da una o più formazioni in grado di apportare i voti parlamentari necessari per avere la maggioranza. Perché, deve essere chiaro a tutti, con l’attuale sistema elettorale non succederà più quello che succedeva a volte nella seconda repubblica: un partito solo che governava con degli interlocutori minimi. Oggi bisogna costruire alleanze come quella che c’è attualmente, magari meglio assortite.
Questo nuovo centro richiede delle organizzazioni politiche autonome, richiede gente che intercetta il voto di un bacino valutato da Renzi intorno al 20-30% e costituito da persone che non hanno necessariamente un impianto ideologico e culturale di sinistra o di destra, rispetto alle quali oggi non c’è una offerta politica. Questo centro, tra l’altro, dovrà rendersi dinamico su quella che è la fine di Forza Italia, che è stata una cosa importantissima, che ebbe quasi il 40% dei voti e che si estingue così, regalando tutti i suoi voti alla Lega, senza che ci sia qualcuno che ci lavori. Anche questo – dice Mieli- è il discorso sul Centro. Qualcuno deve lavorare per ricostruire una o più forze politiche di centro con le quali la sinistra farà alleanze. L’abilità della politica sta anche nel costruire una risposta politica. Insomma questo problema andrà risolto.
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