Superare la distinzione manichea tra pacifisti e guerrafondai

Una proposta ragionevole e “laica” per soluzioni diversificate e non antagoniste.

In un appello rivolto al movimento pacifista, contenuto nell’articolo di Stefano Allievi pubblicato dal quotidiano Avvenire del 01 04 2022, si legge:
Siamo contro il conflitto? Ci crediamo davvero? Siamo pronti a pagare un prezzo, a fare dei sacrifici, per questo? Siamo, davvero, credibilmente, contro la guerra e a favore della pace? Testimoniamolo. La sola altra arma che abbiamo – se vogliamo che tacciano altre armi – è il nostro corpo. Usiamolo: non in alternativa alle altre forme di lotta e resistenza, ma al contrario in collegamento e in collaborazione con esse – come un’arma ulteriore a disposizione dei resistenti e, perché no, dei governi.
Andiamo a praticarla, questa solidarietà, questo impegno attivo contro la guerra e contro l’ingiustizia: con una grande marcia della pace (ma non a casa propria: troppo facile!) che coinvolga milioni di cittadini europei, che si mettano in cammino verso l’Ucraina, e poi verso la Russia (ma anche dentro l’Ucraina, e dentro la Russia, per quanto possibile). In maniera organizzata. Sostenuti dalla logistica pacifica dei governi e delle organizzazioni della solidarietà transnazionale.

Ma disposti a correre dei rischi, come li corre chi combatte. Mettendo in conto la possibilità di essere attaccati: e non fermandosi al primo morto, come non lo fa la resistenza armata. Sfidando le bombe con la civiltà e la forza del dialogo e della testimonianza personale, ma moltiplicata per milioni: una pacifica forza di interposizione, un impegno attivo ma non bellicista e non belligerante.”

Stefano Allievi, sociologo dell’Università di Padova è una voce che esce dalla contrapposizione tra militarizzazione e guerra, da una parte, e non violenza che accetta il sopruso, dall’altra, per proporre una “sinfonia” armonica di azioni e impegni in cui ciascuno si ritaglia un ruolo efficace e soprattutto non orgogliosamente e stupidamente prevaricatore di altri comportamenti. 

E infatti “la distinzione troppo manichea tra pacifisti e guerrafondai, tra sostenitori delle ragioni delle armi e oppositori del loro uso, tra chi è favorevole all’aumento delle spese militari e chi vorrebbe una loro diminuzione, rischia di essere fuorviante. Non è pacifista chi si dice a favore della pace, ma chi fa qualcosa di concreto per produrre pace. Non è guerrafondaio chi sostiene che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressore anche con le armi, ma chi pensa che le armi siano l’unico modo per reagire all’aggressione russa. E, infine, il problema non è quanto, ma come si spende: se aumentassimo le spese militari per organizzare un esercito di attivisti esperti nelle forme di difesa popolare nonviolenta, di resistenza e di boicottaggio, oltre che nell’uso delle armi come estrema ratio, si tratterebbe di denari spesi bene, utili in tempo di pace e per preparare la pace oltre che in tempo di guerra.

Allievi, già fermo antimilitarista e obiettore di coscienza, propone numerosi “distinguo”, necessari per fare proprie, senza inutili e ingiuste esclusioni, le molteplici ragioni di coloro che intendono mobilitarsi ed aiutare con concretezza il popolo ucraino:
Credo che in molte situazioni (ma ho l’onestà di dire: non in tutte) sia possibile trovare mezzi diversi, e persino più efficaci, per combattere un nemico, un aggressore, rispetto all’uso della stessa forza che sta usando lui. Ma ho sempre pensato che questo valga per la mia coscienza. E non implica che sia sbagliato, o moralmente ingiustificabile, rispondere alla violenza difendendosi anche usando la violenza, da parte di chiunque. Tanto meno presuppone una superiorità morale di chi rifiuta di combattere, rispetto a chi sceglie di lottare: al contrario, bisogna riconoscere la virtù e il coraggio di chi si ribella all’imposizione, pagandone il prezzo, in qualsiasi modo lo faccia.”

A fianco dell’ideologia dell’uso della violenza e della necessità della guerra esiste anche l’ideologia della pace sempre e comunque, senza i “se” e i “ma” che sono necessari per affrontare la complessità della realtà. Ecco perché la prospettiva di Allievi ci sembra laicamente orientata a superare gli steccati contrapposti delle culture “religiosamente” totalitarie della guerra e della pace.

Traducendo in azioni concrete questa prospettiva, Allievi dice: “Credo che di fronte a un’aggressione plateale e ingiustificata come quella russa nei confronti dell’Ucraina sia necessario prendere una posizione chiara ed esplicita a fianco dell’Ucraina. Questo, da fuori, può essere fatto in tre modi, tra loro compatibili e non mutuamente escludentisi:
a) inviando armi a chi ritiene di dover combattere contro la prepotenza dell’esercito russo, costringendolo a trattare da una posizione di non totale asservimento e dunque debolezza della parte aggredita;
b) aiutando la popolazione civile con supporto materiale e morale, come fanno le ong e le organizzazioni di cooperazione impegnate nella risposta all’emergenza umanitaria, ma anche come ha fatto l’Unione Europea imponendo sanzioni e sequestrando patrimoni di sostenitori del regime russo, e boicottando attivamente le istituzioni dell’aggressore, come fa Anonymous;
c) aiutando tutte le persone sfollate a trovare una nuova casa a casa nostra. Non fare nulla, tanto più in nome del pacifismo, è inaccettabile”.

Ma, sostiene Allievi, si potrebbe fare anche altro.
Da questa consapevolezza deriva l’appello di cui sopra, con la premessa che “Nessuna opposizione alla guerra è credibile se non si paga un prezzo personale e non si attiva una testimonianza diretta” … “senza abdicare mai al dovere di sostenere le ragioni dell’aggredito contro l’aggressore: in maniera equilibrata, ma non equidistante”.

L’immagine in evidenza è tratta da: tio.ch;
Le immagini nel testo sono tratte, nell’ordine, da: frwiki.wiki; ilfattoquotidiano.it; peacelink.it; liberta.it

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