ELEZIONI POLITICHE 2022
L’Italia ce la farà, anche questa volta (speriamo) /2

Se così stanno le cose, quanto a programmi e strategie elettorali, affermare che l’Italia ce la farà è un pronostico un po’ azzardato.

Ma forse l’affermazione di Draghi non va intesa come un pronostico. Semplicemente Draghi ha, ancora una volta, lanciato una sfida, in senso positivo. Come dire: uno sprone: l’Italia ce la può fare. Naturalmente a determinate condizioni.

Chissà se il pubblico del meeting di Rimini (che sicuramente comprendeva molti esponenti della classe politica italiana), molto attento e lesto ad accogliere la nota di ottimismo pronunciata dal presidente del Consiglio uscente circa il futuro del Paese (tributandogli un caloroso applauso), sia poi stato altrettanto attento e capace di ascoltare il messaggio di Draghi quando lui ha indicato l’unica strada che a suo avviso può portare il nostro Paese, e quindi il governo prossimo venturo che uscirà dalle urne  (qualunque sia l’orientamento politico che prevarrà), ad “essere forte e capace di utilizzare tutte le risorse che pure abbiamo” per superare le difficoltà che oggi ci sembrano insormontabili: rimanere ancorati al metodo e alla impostazione di politica economica ed estera del governo uscente.

Insomma, anche se in modo garbato, non invadente, nel suo discorso di Rimini il presidente Draghi ha anche indicato le condizioni perché l’Italia ce la possa fare, precisando che il suo governo, di fronte a difficoltà che apparivano insormontabili, ha lavorato con un determinato metodo e su determinati contenuti “per rispondere con competenza alle esigenze degli italiani, per compiere tutte le scelte necessarie con INDIPENDENZA DI GIUDIZIO, per MANTENERE ALTA LA CREDIBILITÀ di fronte ai cittadini e ai partner internazionali”.  

Il metodo utilizzato, Draghi lo ha sintetizzato in questi termini: “cercare sempre l’UNITÀ DI INTENTI, IL DIALOGO, LA COESIONE SOCIALE”.  Spirito repubblicano
Quando la situazione è molto seria, e quella attuale lo è (con una crisi energetica che potrebbe trasformarsi in una catastrofe per il nostro sistema industriale, conseguenza della crisi politica internazionale determinata dalla guerra all’ Ucraina scatenata dalla Russia) delle forze politiche responsabili mettono da parte gli interessi di partito e dialogano, cooperano per lavorare con unità di intenti. Non c’è altra via, nelle situazioni eccezionali. Così è stato molti anni fa nella lotta al fascismo e poi nella ricostruzione post-bellica (che ha fatto di un Paese semi distrutto una delle principali potenze economiche mondiali). Così è stato più di recente nella lotta alla pandemia. Così dovrebbe essere nell’immediato futuro, per affrontare la crisi in corso (chiunque sarà il vincitore nella competizione elettorale).
Se le forze politiche saranno capaci di lavorare con tale metodo (Draghi non ha posto questo “se” in modo esplicito, ovviamente) l’Italia ce la farà anche questa volta.

Quanto ai contenuti, i temi sui quali si è concentrato il suo governo, Draghi li ha sintetizzati in questi termini: “ CRESCITA ECONOMICA, OCCUPAZIONE, DARE AGLI ANZIANI DIGNITÀ NELLA VECCHIAIA e AI GIOVANI FIDUCIA E MEZZI PER RAGGIUNGERE I LORO OBIETTIVI”. Tutto ciò tenendo sotto controllo la SOSTENIBILITÀ DEI CONTI PUBBLICI.
E in omaggio alla concretezza, ha fatto un breve elenco dei risultati conseguiti, tra i quali spicca quello della crescita dell’economia italiana (nell’ultimo anno e mezzo, più alta che in tutti gli altri Paesi europei) e quello della crescita dell’occupazione (il livello più alto raggiunto dal 1977).
Qui per ascoltare altri esempi e la versione integrale del discorso di Draghi.

Ma allora perché, se il governo di unità nazionale ha così ben operato (ed è nel solco della sua azione che bisognerebbe continuare ad operare) quasi tutti i partiti che lo sostenevano gli hanno negato la fiducia?  Perché non si adoperano a creare le condizioni per proseguire il programma Draghi?

L’ossimoro della politica italiana (cui abbiamo accennato nella prima parte di questo articolo) fotografa la situazione attuale, la contraddizione evidente della quale danno mostra molti dei leader politici nostrani (e spesso anche i cittadini, in verità) ma non fornisce una spiegazione. Quest’ultima, purtroppo, è maledettamente semplice (e quanto abbiamo detto sui programmi e sulla impostazione della campagna elettorale in corso ne è una riprova): gli interessi del Paese vengono in secondo ordine rispetto agli interessi di partito.

A onor del vero bisogna dire che alcuni partiti, che in base alle categorie tradizionali formerebbero un  centro-sinistra, hanno dato prova di possedere un maggiore senso dello stato, votando la fiducia e dichiarando di voler fare propria la cosiddetta “agenda Draghi”. Questi partiti (in particolare: Pd, Italia Viva, Azione, +Europa e qualche altra formazione minore) avrebbero potuto (e dovuto) costituire una coalizione e chiedere agli elettori il sostegno per riportare Draghi alla guida del governo (con qualche probabilità di successo, visto che Mario Draghi, stando ai sondaggi, gode ancora del favore della maggioranza degli elettori). Non lo hanno fatto.

Non ci soffermeremo sulle lunghe e complicate  vicende che hanno portato alla formazione delle coalizioni elettorali. Ma non possiamo fare a meno di svolgere alcune brevi considerazioni sulla evoluzione che in qualche modo sta investendo il panorama politico italiano.

È rimasta in vita la vecchia coalizione di centro-destra, ma con il baricentro decisamente spostato più a destra. È formata da 3 dei partiti che hanno negato la fiducia a Draghi (Fi, Lega, Fdi).  Si presenta comunque come una coalizione compatta e per questo, unitamente  al fatto di aver presentato un programma nel quale si promettono mari e monti senza badare a spese,  risulta ampiamente favorita nei sondaggi. Il cambiamento del baricentro non sarà privo di ulteriori evoluzioni. Già ora assistiamo ad un forte ridimensionamento  del peso di Salvini nella definizione della linea politica del centrodestra (ad esempio più atlantismo e meno putinismo in politica estera).

A contrastare il passo al centro-destra ci sono due diverse coalizioni. Una composta da Pd, Sinistra italiana, Verdi, +Europa e altri.  Decisamente orientata a sinistra. Non sposa compattamente l’agenda Draghi: due delle forze politiche che vi fanno parte (Sinistra Italiana e Verdi) hanno avversato (e avversano) alcuni dei punti principali del programma del governo di unità nazionale. Sono, è vero, due formazioni numericamente piccole. Ma esprimono punti di vista che trovano consenso in una parte piuttosto consistente del partito maggiore, la parte che ha spinto a preferire l’accordo con Fratoianni e Bonelli piuttosto che con Calenda e Renzi. La scelta di Letta di non fare la coalizione draghiana  ha portato il Pd ad abbracciare la vecchia strategia del bipolarismo, senza aver costruito quel “campo largo” tanto teorizzato e che avrebbe reso quella strategia credibile. La probabile sconfitta elettorale porterà alla messa in discussione della linea adottata da Letta (ereditata da Zingaretti) ?

C’è poi il cosiddetto terzo polo, una coalizione tra due partiti che  vengono considerati di centro, le cui posizioni in realtà somigliano molto a quelle di una sinistra riformista. È l’unica coalizione che assume espressamente il programma e il metodo del governo Draghi e si propone (con estremo ottimismo) di riportare Draghi al governo.
Per contrastarne l’affermazione Letta ha fatto appello al “voto utile”: solo il voto al Pd ed alla sua coalizione può fermare l’avanzata della destra.
A parte il fatto che stando ai sondaggi la distanza tra destra e sinistra  è tale da rendere inutili simili appelli. La coalizione guidata da Letta perderà le elezioni non perché il terzo polo le sottrae voti ma perché la strategia messa in campo è perdente.

Una buona affermazione del terzo polo potrebbe invece rivelarsi utile al sistema politico italiano. La presenza di una formazione che sappia fare tesoro dell’esperienza del governo Draghi, in un futuro non molto lontano (cioè quando la coalizione di centrodestra avrà mostrato la sua incapacità di governare il Paese), potrebbe aiutare a rendere meno difficile il dialogo tra i partiti e dunque anche la ricerca di un accordo, almeno sulla definizione delle regole del gioco.

In conclusione, tornando al discorso di Draghi,  il messaggio che lui ha rivolto alle forze politiche, raccontando il suo programma e soprattutto il suo modo di lavorare, è che, in situazioni  particolarmente complesse, di fronte a difficoltà che appaiono insormontabili, c’è un solo modo di operare: far prevalere il bene comune agli interessi di parte.

Osservando ciò che i principali partiti dicono e fanno in vista del 25 settembre, ci sembra di poter affermare che, finora, il messaggio non è pervenuto.

Ps:
Per coloro che pensano che per dare aiuti a chi ne ha bisogno l’unica via sia fare scostamenti di bilancio (e sconquassare le finanze pubbliche, tanto chi se ne frega) aggiungiamo questa affermazione fatta da Draghi durante il suo intervento al meeting di Rimini: “Crescita economica, giustizia sociale, sostenibilità dei conti pubblici, sono pienamente compatibili tra loro e possono rafforzarsi a vicenda”. Già, ma bisogna saper operare a tal fine.

L’immagine in evidenza è tratta da: ansa.it

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