La versione di Bettini

In un intervento pubblicato su Il Foglio del 19 02 2021, Goffredo Bettini ha difeso la linea politica fin qui seguita dal Pd ed ha indicato quello che dovrebbe essere, a suo parere, il compito del  Pd nell’immediato futuro.

Qui  di seguito, alcune considerazioni  critiche riguardo il primo punto del ragionamento di Bettini.

Bettini è stato uno dei promotori e sostenitori (insieme a Dalema, Orlando, Franceschini e Zingaretti) della linea politica adottata dal Pd durante l’anno e mezzo del governo Conte2, avvero la “strategica” alleanza con il Movimento populista 5 stelle e con la piccola formazione veteromassimalista denominata Leu. Alleanza che, alla prova dei fatti , si è rivelata totalmente fallimentare. Della quale però Bettini si incarica di fare una difesa d’ufficio.

Non c’è bisogno di molti e complessi ragionamenti per dimostrare che la formula dell’alleanza strategica col M5s è stata fallimentare. I fatti parlano da soli: il Pd non ha ampliato la propria base elettorale e, soprattutto, non ha fatto il suo dovere di partito riformista. L’elenco delle riforme necessarie non realizzate o addirittura nemmeno avviate è lungo: non è stata fatta  la riforma della giustizia (appaltata ad un ministro giustizialista); non è stata fatta la riforma per introdurre lo ius soli (come Zingaretti  aveva promesso nel momento della formazione del Conte 2); è stata lasciata in piedi la controriforma delle pensioni  (quota 100) varata dal Conte 1; non è stata fatta la riforma elettorale e la modifica dei regolamenti parlamentari, senza le quali il Pd (ancora parole di Zingaretti) non avrebbe mai  votato favorevolmente  al  referendum populista per la riduzione del numero dei parlamentari (cosa che invece ha fatto); non è stata avviata una riforma delle politiche attive per il lavoro (indispensabile dopo il flop del reddito di cittadinanza).

Si potrebbe continuare, ma questo elenco è già sufficiente e mostra come l’alleanza con il M5s e Leu ha cambiato la natura riformista del Pd. L’ultima prova di questo cambiamento (quella che ha poi fatto traboccare il vaso) è stata l’incapacità di programmare le riforme che avrebbero dovuto accompagnare la richiesta di utilizzo degli ingenti finanziamenti messi a disposizione per l’Italia dalla Commissione europea con il Next Generation Eu.
Naturalmente il Pd è libero di fare le scelte politiche che più ritiene opportune, ma non può pretendere di presentarsi come la casa dei riformisti e dei progressisti, perché in Italia per fortuna sono tanti i progressisti che non vedono nel populista Conte il loro “punto di riferimento fortissimo” (sempre parole di Zingaretti).

Non riconoscendo la natura fallimentare della linea politica sin qui seguita, il Pd (ovvero l’attuale gruppo dirigente dalemiano-bettiniano) non riesce a darsi una spiegazione logica della caduta del governo Conte 2. Non riesce a cogliere la logica dei fatti: ad una politica fallimentare segue la caduta del governo che quella politica ha attuato. Così avviene in democrazia, dove alla fine i numeri contano. E infatti alla fine il Conte 2 non ha più avuto in Parlamento il sostegno necessario per andare avanti.

Bettini non dice (come fanno molti più superficiali di lui) che è tutta colpa di Renzi. Certo, anche per Bettini Renzi un po’ di colpa ce l’ha: è stato lui l’autore di una “repentina manovra politica” (in realtà gli atti parlamentari dicono che IV aveva chiesto da mesi e più volte al presidente Conte l’apertura di una discussione sulle scelte del governo, sia in merito alle mancate riforme sia in merito alle gestione della pandemia sia in merito alla stesura del PNRR. E il capo del governo, con arroganza, ha sempre risposto picche). Ma  Bettini, furbescamente, lascia intendere che il “sempre perdente” ex leader del Pd altro non è stato che la pedina di un complotto ampio e potente predisposto per  stoppare la grande politica riformatrice e trasformatrice dell’alleanza demogrillina. Ordito da chi?

In sintesi, il Pd, i 5 stelle, Leu e, in primis Giuseppe Conte, non hanno sbagliato una mossa che una. Anzi, secondo Bettini, Conte, “il mai sconfitto (solo formalmente –aggiungiamo noi- grazie al fatto che IV non ha votato la sfiducia ma l’astensione), “ha guidato un processo politico di fondamentale importanza”.
E allora perché è caduto?

Bettini scioglie quello che per il gruppo dirigente del Pd è l’enigma  della caduta del Conte 2 facendo ricorso alla teoria del complotto, in questo modo:
La crisi del Conte 2 è frutto di “un tentativo di destrutturare il sistema politico italiano”. Il governo non è caduto per i suoi errori, ma perché “non stava bene a diversi soggetti”: “il salotto buono della borghesia italiana, che si è comprato giornali e ha preso d’assalto Confindustria”; “chi vuole un’Europa che, prima di essere Europa, deve essere atlantica”; “diffusi interessi del tessuto industriale del Nord, che provano insofferenza verso il Mezzogiorno”.

Siamo alle solite. Non è infatti la prima volta che, in politica, quando non si è in grado o non si vuole accettare l’evidenza, si ricorre alla teoria del complotto e per mascherare i propri fallimenti si accampano parole confuse e ormai gergali.

L’immagine in evidenza è tratta da: ilsussidiario.net

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