SIMBOLI RELIGIOSI: TERZO APPROFONDIMENTO
La portata teologica del Crocifisso

Corte Costituzionale (sentenza 329/1997): “ Il principio di laicità dello Stato non significa indifferenza di fronte all’esperienza religiosa, ma comporta equidistanza e imparzialità della legislazione rispetto a tutte le confessioni religiose”.

La sentenza della Cassazione in merito all’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche ci ha indotto a riflettere su tre ordini di questioni: il tema della laicità dello Stato, quello dell’universalità culturale di un simbolo religioso e infine quello della sua portata teologica. Le riflessioni sui primi due temi le abbiamo sinterizzate in due articoli precedenti.  Sul terzo tema, la portata teologica del Crocifisso, invitiamo a riflettere tenendo presenti le considerazioni di: Mario Gozzini, Adriana Zarri, Enrico Rusconi, Chiara Saraceno e papa Francesco.

Scriveva Mario Gozzini nel 1986: “Il mio disagio è duplice (di fronte all’esposizione del crocifisso nello spazio pubblico, n.d.r.). Come cittadino: perché il crocifisso di Stato può legittimamente non essere accettato dai concittadini non cattolici o non credenti. Come cattolico: perché la tolleranza silenziosa di quasi tutti gli italiani nasce da una riduzione netta, e deformante, del senso e del valore contenuti in quel segno. […] Il crocifisso sembra oltretutto esercitare una funzione protettiva, o di avallo, nei confronti dello Stato e delle sue ingiustizie mentre nella realtà storica Gesù di Nazareth fu ingiustamente messo a morte dal potere politico e da quello religioso. Si tratta di puntare sulla crescita di coscienza dei cattolici: se convenga alla Chiesa conservare ad ogni costo una immagine di influenza istituzionale o se invece non sia più opportuno puntare sulla diffusione di una fede meno emotiva, affidata più alla coerenza personale e comunitaria che alle insegne sulle pubbliche mura.”

Sempre nel 1986 Adriana Zarri, teologa, scriveva “Sappiamo bene come le conquiste del pensiero teologico e della coscienza cristiana assunte dal concilio – l’autonomia del temporale, la laicità dello stato, la rigorosa distinzione dei due ordini – non siano mai state digerite dalla romana mentalità curiale; e certo adesso questa corrente si fa beffa del nuovo concordato e delle sue modeste, apparenti e sconfessate conquiste… A questo riflusso di sacralismo pubblico tutti devono reagire: i laici, per l’offesa portata a quella laicità che è anche, per tanta parte, nostra, ed i credenti per l’offesa fatta alla loro fede, degradata ad ornamento del potere, a strumento di regno, come una volta si diceva, senza vergogna. Ma noi oggi ce ne vergogniamo… Se non comprendiamo che questa collocazione (il crocifisso sul muro n.d.r.) è insultante per la fede vuol dire che la nostra non è fede: è inveterata abitudine di potere o magari, più innocentemente ma più inconsapevolmente, inveterata abitudine di un’abitudine vecchia di secoli: il crocifisso c’è sempre stato; che fastidio ci dà? A me lo dà, il fastidio, quando vedo che, sotto, c’è gente che nel migliore dei casi ignora quell’immagine quando non la offende, direttamente o indirettamente, con una condotta riprovevole. Oltre al fastidio che quel simbolo può dare ad altri, c’è il fastidio che quella collocazione burocratica dà a me, come credente. Per favore, togliamolo.”

Il Crocifisso nelle aule scolastiche, nelle sedi dei tribunali, negli ospedali pubblici e nelle carceri può diventare una giustificazione ed un avallo al funzionamento e all’operato di queste istituzioni, quasi attuassero concretamente il messaggio evangelico, anche nei casi deplorevoli. Questa osservazione critica di Gozzini e Zarri nasce dalla valutazione di una disparità di valore nettissima tra un oggetto considerato sacro nella sua essenza (rappresentativo del Dio incarnato, per il credente) da una parte, e dall’altra la pratica concreta, tutta umana, quindi spesso meschina, falsa, arretrata, del funzionamento reale delle istituzioni.  Il punto di vista di Rusconi e Saraceno insiste sull’altro elemento, cioè la riduzione del valore e del significato del segno religioso.

Su La Stampa, settembre 2021, Enrico Rusconi e Chiara Saraceno: “…il crocefisso non è semplicemente un “simbolo di un dolore indicibile”, non è un simbolo culturale, ma positivamente un simbolo religioso-teologico. Non si riferisce semplicemente a un innocente ingiustamente perseguitato, ma al Figlio di Dio che realizza la volontà del Padre. Questa differenza non può essere ignorata da un non cristiano, che aderisca o meno a un’altra religione, a meno, appunto, di depotenziarne la portata religioso-teologica. Ma questo depotenziamento – o traslazione – del crocefisso a simbolo meramente vuoi morale vuoi culturale dovrebbe anche far problema ai cristiani credenti e interrogarli sull’opportunità di pagare questo prezzo per mantenere la visibilità del loro simbolo teologicamente fondativo nei luoghi pubblici. Non sarebbe meglio rinunciare definitivamente a marcare gli spazi comuni con i propri simboli per salvaguardarne, anche comunicativamente verso i non cristiani, il senso teologico? Una riflessione analoga potrebbe essere fatta per altri simboli religiosi che eventualmente vi si accostassero.”

Chiudiamo con due diverse ed opposte citazioni di papa Francesco, a cui ci si può riferire sia per sostenere una visione integralista, sia una visione laica dello stato. Come anche per l’aborto (“L’aborto è un omicidio” durante il viaggio recente in Slovacchia, giudizio ingiusto di un evento tragico anche per chi lo compie) papa Francesco non oltrepassa i confini del paradigma medioevale del cristianesimo, quelli accolti e riproposti dai suoi due predecessori e invece parzialmente messi in crisi dal Concilio Vaticano II. Quindi i cattolici dovrebbero imparare a decidere da soli e Francesco a continuare la ricerca ed a semplificare di meno.

Via Crucis dell’aprile 2016: “O Croce di Cristo, ti vediamo ancora oggi in coloro che vogliono toglierti dai luoghi pubblici ed escluderti dalla vita pubblica, nel nome di qualche paganità laicista o addirittura in nome dell’uguaglianza che tu stesso ci hai insegnato”. È una semplificazione eccessiva, che confonde un diritto individuale della persona con il principio di laicità dello Stato non confessionale e che scambia i luoghi pubblici con gli uffici statali. Ripetiamo: il crocifisso c’è e resta nella vita della collettività, nella società, esposto e ben visibile su persone, edifici, oggetti vari, cimiteri, ecc. Non deve essere presenti nelle sedi istituzionali (poche e circoscritte).

La Divina Liturgia celebrata in rito bizantino a Prešov, Slovacchia, il 14 sett. 2021: “Non si contano i crocifissi: al collo, in casa, in macchina, in tasca. Ma non serve se non ci fermiamo a guardare il Crocifisso e non gli apriamo il cuore… Se non facciamo così, la croce rimane un libro non letto, di cui si conoscono bene il titolo e l’autore, ma che non incide nella vita. Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale…Perché la croce non vuol essere una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo di vivere. Quale? Quello del Vangelo, quello delle Beatitudini. Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita. È così che si diffonde la fede: non con la potenza del mondo, ma con la sapienza della croce; non con le strutture, ma con la testimonianza.” Voler ridurre la Croce e il Crocifisso a simbolo di identità sociale è anche ciò che accade con la sua esposizione nelle sedi istituzionali.

L’immagine in evidenza è tratta da:diocesisora.it;
Le altre immagini sono tratte da avvenire.it

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.