Dialogo interreligioso VS integralismo e fondamentalismo

Lo scontro tra le correnti progressiste universaliste da un lato, che rivendicano la rimozione dei confini la libertà individuale e la fine dei particolarismi e, dall’altra parte le correnti conservatrici che cercano il radicamento e l’identità, negli ultimi tempi è andato via via acutizzandosi. Ed è uno scontro che riguarda non solo la politica e non solo il nostro paese.
In ambito religioso questa contrapposizione si può anche tradurre con la disponibilità al confronto col diverso (per arricchire le proprie idee) da una parte, e con la convinzione di possedere certezze definitive dall’altra. Un esempio di quest’ultima posizione è l’insegnamento di Leone XIII, già richiamato da Pio XII: «L’impero di Cristo non si estende soltanto sui popoli cattolici, o a coloro che, rigenerati nel fonte battesimale, appartengono, a rigore di diritto, alla Chiesa, sebbene le errate opinioni ve li allontanino o il dissenso li divida dalla carità; ma abbraccia anche quanti sono privi della fede cristiana, di modo che tutto il genere umano è sotto la potestà di Gesú Cristo» Da cui conseguentemente il papa deduceva che lo Stato non ha il diritto di essere “laico”; deve, in quanto Stato, riconoscere la regalità di Cristo e rendergli omaggio. E, beninteso, fare in modo che non vi sia alcuna contraddizione tra le leggi civili che promulga e le leggi di Dio.

La prima opzione invece propone il dialogo. Esso prevede che ognuno debba intanto ragionare (e non predicare), con chi la pensa diversamente, abbandonando l’idea che le proprie conoscenze siano definitive e soprattutto che debbano, in quanto verità ultima, essere imposte. Per la Chiesa cattolica accettare il dialogo con le altre religioni significherà fare i conti, prima o poi, non solo col dogma dell’infallibilità (sempre più ridicolo) ma soprattutto con quella insostenibile teoria chiamata “ermeneutica della continuità”. Essa interpreta tutta la storia della Chiesa come se il messaggio di Gesù fosse stato inteso e praticato, dalla gerarchia almeno (del popolo dei credenti si è chiesto “perdono” per le aberrazioni commesse che hanno infangato la Parola) nel corso dei secoli in una totale coerenza fino ad oggi. Papa Francesco suscita non a caso una forte ostilità da parte dei fautori della “continuità quando antepone al dogma, che comunque rispetta e applica, il discernimento, che poi non è altro che l’attenzione pastorale alla vita.

Purtroppo le visioni fondamentaliste, di carattere politico e religioso, sono oggi sempre più diffuse e popolari. Un primo motivo è la facile e semplificata lettura della realtà che propongono (che è poi la loro caratteristica di base): infatti esiste, per loro, di fronte ai problemi del mondo e dell’uomo, una sola chiave interpretativa, la quale è sostanzialmente perfetta, perché esaurisce tutte le altre, e quindi scarsamente modificabile. Questa chiave interpretativa viene poi estesa alla comprensione ed organizzazione di tutti gli aspetti della realtà: il caso più importante riguarda la creazione di uno stato fondato sui principi di una religione o pseudo religione (la teocrazia cristiana medievale, lo scomparso impero sovietico, lo stato islamico). Conseguentemente le culture fondamentaliste prevedono il dialogo con l’altrui pensiero solo in vista di una cooptazione, di una inevitabile aggregazione.

Chi però non si adegua e non condivide il punto di vista del fondamentalista diventa un nemico da combattere, nei confronti del quale il ricorso alla violenza può essere, in ultima analisi, necessario e doveroso, perché l’altrui pensiero, quando si discosta dall’interpretazione fondamentalista, è sempre nell’errore oppure nel peccato.

Secondo motivo: la sensazione di sicurezza che può infondere il fondamentalismo riesce a far presa quanto più il periodo in cui viviamo presenta delle problematiche nuove e l’insorgenza improvvisa di fenomeni mai osservati precedentemente, rispetto ai quali ci si trova privi di punti di riferimento già sperimentati. Se poi ci manca la padronanza del senso storico, che ci aiuti a relativizzare le difficoltà e a viverle senza ansie inutili e senza paure irrazionali, allora la risposta che offre il fondamentalismo, cioè quella per la quale “esiste solo o il bianco o il nero e chi non è con me è contro di me” ci sembrerà la più ovvia soluzione, anche personale, alla nostra insonnia.

A questo proposito Leonardo Sciascia, nella saggezza dei suoi ultimi anni di vita, meditando su questi aspetti dell’intolleranza, presenti anche allora, scriveva: “Lo scetticismo è salutare. E’ il miglior antidoto per il fanatismo. Impedisce cioè di assumere idee, credenze e speranze con quella certezza che finisce con l’uccidere l’altrui libertà e la nostra…Lo scetticismo io lo vedo, dunque, come la valvola di sicurezza della ragione.” Sostituite a “scetticismo” la benefica filosofia del relativismo e otterrete lo stesso risultato auspicato da Sciascia.
Il fondamentalismo è poi stato spesso il figlio di specifiche interpretazioni delle religioni, e ciò vale soprattutto analizzando lo sviluppo storico dell’islamismo e del cristianesimo. Per quanto riguarda il cattolicesimo, inteso come una componente del cristianesimo con una sua storia particolare, la lunga lista delle scuse e richieste di perdono, inaugurata recentemente col Giubileo del 2000 e proseguita con Benedetto XVI e lo stesso Francesco, è la testimonianza definitiva che la violenza del fondamentalismo cristiano/cattolico ha agito troppo spesso e in diversi ambiti della società.

Il fondamentalismo. con la sua carica di arrogante sicurezza ed aggressività, lo incontriamo, nel corso dei secoli, durante le Crociate, (il cardinale Ratzinger in un testo su Francesco d’Assisi, il quale dapprima sognò di farsi crociato ma poi – ci dice il cardinale – quand’ebbe “conosciuto veramente Cristo capì che anche le crociate non erano la via giusta per difendere i diritti dei cristiani in Terra Santa, bensì bisognava prendere alla lettera il messaggio dell’imitazione del crocifisso”); durante il periodo della Colonizzazione (nel 1987 Giovanni Paolo II, incontrando a Phoenix – negli Usa – gli amerindi, il 14 settembre, così parla del maltrattamento che subirono da parte dei colonizzatori: “E’ doveroso riconoscere l’oppressione culturale, le ingiustizie, la distruzione della vostra vita e delle vostre società tradizionali. Purtroppo non tutti i membri della Chiesa tennero fede alle loro responsabilità di cristiani”. Lo stesso linguaggio aveva usato nel 1984 in Canada e nel 1986 in Australia, negli incontri con gli autoctoni); durante la caccia agli eretici e alle streghe (l’11 ottobre 1988 a Strasburgo, Giovanni Paolo II, davanti al Parlamento europeo, riconosce la tendenza della Chiesa medievale a imporre la fede attraverso l’ordinamento statale: «La cristianità latina medievale – per non menzionare altro – non è mai sfuggita alla tentazione integralista di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede»); durante il periodo della Inquisizione (il cardinal Ratzinger il 24 settembre 1977: “Sono convinto che dobbiamo sempre essere coscienti della tentazione della Chiesa, in quanto istituzione, di trasformarsi in uno stato che perseguita i suoi nemici. Chiediamo al Signore perdono per questi fatti del passato e perché non ricadiamo più in questi errori”); durante le guerre di religione in Europa(il 9 gennaio 2006, Benedetto XVI accenna con poche ma impegnative parole alle “guerre di religione” e a ogni altro uso della forza come via per affermare la verità che invece “può essere raggiunta solo nella libertà”: “Per quanto riguarda specificamente la Chiesa Cattolica, in quanto anche da parte di suoi membri e di sue istituzioni sono stati compiuti gravi errori in passato, essa li condanna, e non ha esitato a chiedere perdono. Lo esige l’impegno per la verità”); durante la plurisecolare persecuzione al movimento dei Valdesi ( E’ un momento storico, commovente, quello che il Papa Francesco e i vertici della Chiesa valdese hanno vissuto il 23 giugno 2017nel Tempio di Corso Vittorio, a Torino: “Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che nella storia abbiamo avuto con voi, in nome del Signore perdonateci”.); durante le persecuzioni ripetute e terribili nei confronti degli ebrei culminate nel genocidio nazista (“Hitler poté perpetrare l’Olocausto perché non ci fu una sufficiente sensibilità dei cristiani verso gli ebrei”, dirà il cardinal Ratzinger in un’intervista al Tg2 il 15 marzo 1999) e durante altri contesti ancora, di cui scriveremo.
Del fondamentalismo islamico non abbiamo qui fatto una disamina, sapendo però che alcune delle sue manifestazioni sanguinarie sono tristemente note mentre resta il problema di individuarne meglio le cause e i possibili rimedi.

E’ stato sottolineato da numerosi studiosi come le religioni profetiche, in particolare, tendano ad essere esclusive e molto poco tolleranti (almeno nella loro componente fondamentalista). La nostra sintetica risposta ad esse si condensa nelle parole d’ordine del Movimento per l’Etica mondiale (link) movimento che raggruppa alcuni esponenti delle grandi religioni monoteiste e delle religioni e filosofie orientali (la cui genesi è chiarita da Hans Kung (link ): «Non c’è pace tra le nazioni, senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni. Non c’è dialogo tra le religioni senza valori etici globali.” Costruire un progetto di etica comune e condivisa tra esponenti di spicco e rappresentanti istituzionali, ma che poi si diffonda, coinvolgendo i fedeli di ogni fede, costituirebbe un decisivo passo sulla strada dell’abbandono e del superamento del fondamentalismo.

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