Cosa ci dicono le elezioni spagnole
Siamo proprio sicuri che la deriva populista durerà a lungo?
Da qualche anno a questa parte sui giornali, nei talk televisivi e nei post pubblicati sui vari social ci si imbatte puntualmente in commenti e analisi politiche che hanno come refrain l’idea che i partiti tradizionali sono finiti e il futuro della politica è rappresentato dai nuovi movimenti populisti (di destra o di sinistra ma) tutti caratterizzati da venature estremistiche. Questi movimenti, dicono i commentatori e gli analisti, si impongono perché hanno una maggiore capacità (rispetto ai partiti tradizionali) di interpretare e rappresentare i bisogni della gente, in particolare la delusione e la rabbia di chi maggiormente ha patito le conseguenze della grave crisi economica iniziata nel 2008.
L’estremismo viene comunemente visto come la cifra del nuovo sentire popolare, mentre il moderatismo non fa più breccia nel popolo perché le politiche moderate sono considerate colpevoli di non essere state in grado di dare vere (cioè drastiche) soluzioni ai grandi problemi come la povertà, l’occupazione, le crisi migratorie.
Commentatori autorevoli vanno ripetendo che la contrapposizione non sarà più tra schieramenti moderati di centro-destra e di centro-sinistra ma tra le “estreme”: estrema destra contro estrema sinistra.
C’è senz’altro qualcosa di vero in queste analisi. Chi
potrebbe negare che fenomeni quali la
globalizzazione, la rivoluzione tecnologica e l’immigrazione di massa abbiano
messo in crisi i modelli di sviluppo praticati nelle società occidentali, che ad esempio hanno messo in crisi le
politiche di welfare che erano state portate avanti in particolare dai partiti
della sinistra riformista.
Questo, però, è un processo che dura ormai
da tanti anni e che da tanti anni ha investito e investe, in tempi e modi
diversi, i vari paesi occidentali tra cui il nostro. Eppure i paesi in cui i
populisti sono al potere non sono tanti. Che cosa ci autorizza a pensare che d’ora
in poi l’estremismo guadagnerà sempre più terreno e che i partiti
socialdemocratici sono ormai fuori gioco?
Panebianco, sul Corriere della Sera, dice che il ritorno alla proporzionale relega ad un ruolo secondario la
contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra e parla di una realtà
politica in cui le contrapposizioni ideologiche saranno molto intense. Cacciari su L’Espresso scrive che i conflitti futuri
avranno ben poco a che vedere col duello
destra-sinistra, che anche la formula
centro-desta vs centro-sinistra perderà valore, che assisteremo ad una radicalizzazione delle proposte e delle
promesse come non abbiamo mai visto e che d’ora in poi il conflitto sarà radicale.
È possibile. Ma i fatti non ci
autorizzano a pensare che sarà necessariamente così. Intanto perché, alla prova
appunto dei fatti, alla percezione di una inadeguatezza da parte dei partiti
tradizionali nell’affrontare i grandi temi fa seguito la percezione di una
analoga inadeguatezza delle promesse e delle proposte presentate come alternative
e radicali, delle quali emerge soprattutto la scarsa fattibilità. E sta piano
piano riemergendo la consapevolezza che le politiche in cui le contrapposizioni
ideologiche sono molto intense non
producono i risultati dovuti.
Sono segnali che provengono da alcuni recenti e importanti appuntamenti elettorali. In Slovacchia la
giovane avvocatessa Caputova è stata eletta alla presidenza della repubblica
contro i sovranisti sia di destra che di sinistra che avevano portato quel
paese nel blocco conservatore di Visegrad; in Finlandia i populisti
euroscettici non sono riusciti a scalzare dal governo i socialdemocratici, sia
pure per poco; le ultime previsioni di voto per le europee del 26 maggio prossimo
danno i partiti che compongono il quadro moderato che attualmente detiene la
maggioranza in arretramento ma non nella misura temuta fino a qualche tempo fa,
il che fa prevedere che anche nel prossimo parlamento gli equilibri muteranno
di poco o nulla.
Ma il segnale più importante e più evidente del fatto che la stagione del
radicalismo potrebbe volgere al termine prima del previsto ci viene dalle più
recenti elezioni spagnole.
Sanchez, a capo di un tradizionale partito
socialdemocratico, ha affrontato la complessa situazione economica e sociale
del suo paese ed ha cercato di interpretarla e di raccontarla per quello che è,
ovvero senza ricorrere a semplificazioni improprie e scappatoie populistiche. È
bastato, come riconosce lo stesso Cacciari su La Repubblica, “una buona
capacità amministrativa, la dimostrazione di un sano pragmatismo per provocare
il vistoso calo di consensi di Podemos”. Ha usato strumenti del moderatismo
tipico di un tradizionale partito socialdemocratico. Non ha seguito i populisti di estrema sinistra sul loro
terreno. Lavorando con serietà e senza fare mirabolanti promesse ha stravinto
le elezioni. I partiti populisti, sia quello di destra che quello di sinistra,
hanno perso consensi entrambi e il nuovo partito di ultradestra Vox ha fallito
l’obiettivo di fare da calamita del malessere popolare.
Si potrà dire che la Spagna va vista come una eccezione. La conclusione che noi
traiamo è diversa.
Viviamo in un mondo complesso. La capacità di affrontare, interpretare capire e raccontare la complessità farà la differenza, non la radicalità o meno delle promesse. Oggi la crisi si manifesta con espressioni di radicalismo, certo. Ma perché non dovremmo intendere il momento attuale come un momento di transizione, perché esso non potrebbe evolvere in modo diverso da come ci viene molto spesso raccontato?
p.s.:
In riferimento ai partiti che formano l’attuale governo italiano, nella narrazione
che comunemente ci viene offerta dai media, si parla di due forze politiche “estreme” e “contrapposte”
(La Lega di Salvini come forza politica di estrema destra e il M5s come forza
politica di estrema sinistra) che per
ragioni di convenienza politica coabitano nello stesso governo pur litigando in
continuazione. Noi abbiamo una idea un po’ diversa: tra Lega e M5s più che una
contrapposizione sembra esserci una complementarietà. Sono due forze che hanno moltissimi punti
(obiettivi) in comune e presentano una litigiosità più di apparenza che di
sostanza. Ma questa è una storia che merita di essere raccontata a parte.
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