IMMOBILISMO /5
Conte e il principio di realtà

A nostro avviso, la principale caratteristica della politica dell’attuale governo è stata, finora, l’immobilismo. Ad un osservatore distratto o superficiale può sembrare che non sia così, che anzi il Conte due presenti un certo dinamismo, una certa vivacità. Che, insomma, si dia da fare. Solo apparenza.

Nei quattro post precedentemente pubblicati per raccontare aspetti dell’immobilismo cui l’azione di questo governo e dei partiti della maggioranza  condannano il nostro Paese manca una specifica considerazione del ruolo che ha avuto ed ha il presidente del Consiglio. Cercheremo qui di colmare tale lacuna, a partire da quanto ha scritto Paolo Mieli in un editoriale pubblicato sul Corriere Della Sera del 10 luglio: “Giuseppe Conte si sta appalesando come uno dei più straordinari illusionisti della nostra storia. Ipnotizza la sua (peraltro consenziente) maggioranza, annuncia, dice, si contraddice, rinvia, alla fine poi ricomincia riportandoci al punto di partenza. Non esiste ormai più un solo punto su cui qualcuno della maggioranza si attenga al principio di realtà”.

Al di là di quello che pensa il segretario del Pd Zingaretti (che vede in Giuseppe Conte il principale punto di riferimento dei progressisti italiani) il presidente del Consiglio non è altro che un personaggio politico creato dal nulla dal M5s e che di tale movimento rappresenta appieno la natura e la filosofia. Come non vedere, infatti, nell’azione dei governi Conte 1 e Conte 2, il portato di una forza politica che, cresciuta sulla protesta e sulla denuncia, non ha mai espresso un programma che, in relazione a ciò che bisogna fare, ai rimedi, si attenga al sacrosanto “principio di realtà” evocato da Paolo Mieli.
D’altra parte, i creatori del M5s hanno sempre dato molto spazio ad una concezione della politica come mera arte della ricerca del consenso. Una ricerca spasmodica, che ha portato il principale teorico del Movimento (Casaleggio padre) a sostenere che non è rilevante se cio che si afferma corrisponde o meno a verità, l’importante è che la gente ci creda. Su queste basi è chiaro che il maggiore rilievo viene dato alle chiacchiere, alle promesse, alle parole più che ai fatti. E in questo la maestria dell’avvocato Conte si è rivelata di grande utilità. Nel senso che, pur facendo molte parole e trascurando i fatti, è riuscito a dare l’impressione di un governo in grande fermento. Per limitarci alle cose più recenti, basta vedere come il presidente del Consiglio si è mosso e si sta muovendo nel dopo lockdown .

Alla ovvia esigenza di prendere misure per rilanciare l’economia il presidente come risponde? Predispone a metà maggio un decreto, che chiama appunto Decreto Rilancio, e ci mette dentro un po’di tutto in materia di salute, economia e politiche sociali. Ma attenzione, con Conte non si può prendere nulla alla lettera. Non è con questo decreto, ha detto, che lui pensa di affrontare il problema del rilancio dell’economia. Questo problema, come ha poi precisato, sarà affrontato con un piano che utilizzerà i fondi europei, mentre i 55 miliardi stanziati con il Decreto Rilancio sono destinati a realizzare “misure urgenti” connesse all’emergenza epidemiologica. Del resto, dopo due mesi di chiusura totale c’era proprio bisogno di sostegno immediato, tangibile,  alle famiglie e alle imprese. Ma Conte non è uomo del fare.  Se guardiamo i fatti ci accorgiamo del divario che c’è, come usa dire Angelo Panebianco, tra  ciò che bisognerebbe fare, ciò che si può fare e ciò che realmente si fa. Questo divario è un dato fisiologico, dice l’editorialista del Corriere Della Sera, ma nel nostro Paese assume una dimensione impressionante.
In effetti, da ciò che accade realmente, l’impressione che si ricava è che mentre il Paese ha un urgente bisogno di ripartire, la politica a guida Conte sembra non avere fretta.
Come hanno funzionato gli aiuti ai lavoratori e gli aiuti alle imprese? Per i lavoratori è stata presa la giusta decisione di bloccare i licenziamenti facendo ricorso alla cassa integrazione. Ma nulla di realmente efficace è stato fatto per accelerare le procedure e garantire a tutti l’immediata erogazione del sussidio. Dopo i numerosi ritardi verificatisi, il 23 giugno il presidente del Consiglio convoca il presidente dell’Inps Pasquale Tridico per essere messo al corrente delle criticità. Conte ha tranquillamente accettato le minimizzazioni di Tridico sulle disfunzionalità, confermandogli la fiducia. Ma esse nascondevano una realtà inquietante. Anche se Conte ha più volte ripetuto, nelle quasi quotidiane comunicazioni televisive,  che “non un solo cittadino sarà dimenticato” sono invece molti i lavoratori che per mesi non hanno ricevuto neppure un euro. In un documento pubblicato dall’Inps si dice che alla data del 9 luglio vi erano ancora 109 mila domande (fatte dalle imprese) senza risposta. Il giornale La Repubblica ha calcolato che tali domande corrispondono a circa 1,2 milioni di dipendenti.
Per quanto riguarda gli aiuti alle imprese, vale la pena ricordare il giudizio espresso (e più volte ribadito) dal presidente della Confindustria Carlo Bonomi: “Il decreto liquidità non ha messo liquidità nelle casse delle aziende mentre la cassa integrazione la stanno anticipando le aziende. Le stesse che non hanno liquidità perché sono in crisi. È una follia. Bisognerebbe cambiare passo perché ho la sensazione che il governo, e la politica in generale, tendano a comprare tempo, a prendere a calci la lattina e spostarla un po’più in là” (da una intervista apparsa su La Repubblica del 31 05 2020). A tali critiche sono seguite delle repliche da parte di Conte, per ribadire (senza però entrare nel merito) che il Governo ha “una costante attenzione per il sostegno alle imprese”. In una replica, espressa durante gli incontri degli Stati Generali a villa Pamphilj, Conte ha anche ammesso che dei ritardi ci sono stati e che il governo è comunque disposto al confronto. Ma quando Bonomi ha fatto un esempio concreto di cosa gli industriali intendono per attenzione per le imprese (lamentando il non rispetto da parte dello Stato “per la sentenza della magistratura che impone la restituzione di 3,4 miliardi di euro di accise energia, impropriamente pagate dalle imprese e trattenute dallo Stato nonostante la sentenza”) Conte ha risposto: “Qui voliamo più alto, oggi il tema è il rilancio del Paese”.
 Il commento più calzante a questo atteggiamento di Giuseppe Conte lo leggiamo sul Corriere Della Sera del 20 luglio, a firma di Paolo Franchi: “Quanto più si vola basso, tanto più si proclama l’urgenza di volare alto. Quanto meno si fa, tanto più ci si proclama impegnati a ricostruire il Paese dalle fondamenta”. Il giornalista invita Conte a leggere ‘L’uomo senza qualità’ di Robert Musil, in particolare i capitoli dedicati all’’Azione Parallela’, dove “potrebbe trovare un’autorevole fonte di ispirazione nel personaggio del conte Leinsdorf e la sua musa nella bella Diotima: ’Vi sono tante cose grandi e buone da fare non ancora realizzate che la scelta non sarà facile. Ma costituiremo comitati, con membri di tutte le classi, ed essi ci saranno d’aiuto’. Di più. Nel capitolo intitolato ‘I comitati lavorano alacremente’, Conte potrebbe individuare una formidabile anticipazione del suo stile, o addirittura della sua filosofia, di governo: comitati e sottocomitati che, seguendo la più barocca delle procedure, inviano per lettera al ‘comitato centrale’ un’infinità di suggerimenti e di proposte sui temi più svariati, tutti destinati ad essere archiviati, in attesa di ulteriori approfondimenti, mediante apposizione a ciascuno di essi della formula magica ‘procr.’. Che sta, manco a dirlo, per procastinare”.

Commenti così duri e volti a mettere a nudo i limiti dell’azione del presidente del Consiglio, dopo circa un anno di politica del tirare a campare, sono ormai molto frequenti sulle pagine di importanti organi di informazione.  Oltre all’arte di procastinare, un’altra cosa che viene spesso rimproverata a Conte  e che appartiene alla natura, alla filosofia del M5s (da lui pienamente rappresentata) è la manifestazione di un sentimento anti-industriale, una sorta di pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica.
Il fatto più emblematico su questo aspetto è la conduzione della vicenda Autostrade e il contenzioso con la famiglia Benetton.
Ricordiamo tutti l’atteggiamento assunto da Conte due anni fa (allora a capo di un governo M5s-Lega) nei giorni della tragedia causata dal crollo del ponte Morandi sull’autostrada A10 all’altezza di Genova. All’indomani dell’accaduto, Conte e i suoi ministri si sono presentati a Genova dichiarando colpevole l’azienda Autostrade per l’Italia, appartenente alla holding Atlantia di cui la famiglia Benetton possedeva (e possiede) la maggioranza delle azioni. A chi faceva notare che era compito della magistratura accertare le eventuali responsabilità dell’accaduto, Conte aveva risposto: “Non possiamo aspettare i tempi della magistratura” e aveva promesso che comunque avrebbe ritirato la concessione per la gestione della rete autostradale ad Atlantia.
Non è certo facendo giustizia sommaria, in barba ai principi dello stato di diritto, che si mostra rispetto per le vittime di una tragedia. Ma così è andata.
Ora il ponte di Genova è stato ricostruito (non si dica in tempo record) e all’inaugurazione l’attuale governo vuole presentarsi potendo dire di aver risolto o perlomeno avviato a soluzione il contenzioso con Autostrade e con la famiglia Benetton. L’atteggiamento di Conte e del suo partito di riferimento non è cambiato: “I Benetton escano o inevitabile la revoca”. Naturalmente Conte continua a ripetere di non avere alcun pregiudizio nei confronti della libera iniziativa economica. Ma come lo si vuole chiamare un giudizio di condanna che non ha alla base una qualche sentenza, neppure di primo grado, emessa da un tribunale competente? Il viceministro alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri, M5s, in una recente intervista rilasciata al Corriere Della Sera ha dichiarato: “Devono cedere tutte le loro azioni. In questo Paese deve finalmente valere il principio del chi sbaglia paga e loro con il crollo del ponte Morandi hanno dimostrato di non essere in grado di gestire un bene pubblico”. All’osservazione dell’intervistatore che “In realtà c’è ancora un processo in corso per stabilire le eventuali responsabilità” il viceministro replica: “Per carità. E io ho il massimo rispetto per la magistratura. Però un’idea ce la siamo fatta tutti di come sono andate le cose”.
Conte non ha smentito il suo viceministro. Chissà se Conte e il suo viceministro hanno avuto modo di leggere le pagine economiche del Corsera di lunedì scorso; avrebbero potuto apprendere da un articolo di Ferruccio De Bortoli che “Fiumicino, il principale aeroporto italiano, gestito da Atlantia, è considerato tra i migliori e più efficienti al mondo”.
Esperti di cose economiche e giudiziarie hanno valutato che la revoca della concessione alla società Autostrade comporterebbe costi enormi per lo Stato e, comunque, richiederebbe tempi molto lunghi.
Perciò la proposta che recentemente Conte ha fatto ad Atlantia (e alla famiglia Benetton) è di uscire gradualmente dalla gestione di Autostrade per l’Italia vendendo buona parte delle sue quote a Cassa Depositi e Prestiti (una società controllata del Tesoro). Di fatto una statalizzazione. Ma qui però non entreremo nel merito di questi aspetti della vicenda.

Un’ultima notazione. Il presidente del Consiglio di ritorno dal vertice europeo durato 92 ore sul Recovery Fund (accolto quasi come un eroe nazionale) dopo aver manifestato soddisfazione per come sono andate le cose (per il nostro Paese  oltre 200 miliardi di cui 81 sotto forma di contributi a fondo perduto e 127 di prestiti, 36 in più rispetto ai 91 della proposta precedente ), smorzando gli entusiasmi di coloro che credono (vogliono credere) che sia diventato un vero europeista, Conte ha tenuto a ribadire che il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) “non è un obiettivo, la priorità è il piano appena approvato”.
Veramente qualcuno può pensare che una tale affermazione sia qualcosa di sensato e non una mera presa di posizione ideologica?
In realtà, a conti fatti, i 36 miliardi in più del Recovery Fund non sono in alternativa a quelli del Mes. Lo spiega assai bene Veronica De Romanis in un articolo su La Stampa del 22 luglio (qui il link). Soprattutto perché i fondi del Recovery saranno a disposizione solo a partire dal secondo semestre del 2021 mentre quelli del Mes sono già disponibili e destinati a finanziare gli interventi per migliorare il sistema sanitario (di cui c’è urgente bisogno). La conclusione del ragionamento di De Romanis è:  “Non ci sono motivi per non prendere i fondi del Mes. A opporsi restano, invece, gli esponenti dei 5 Stelle che –forse- hanno trascorso ultimamente un po’ troppo tempo nei palazzi del potere. Il premier Conte, forte del risultato ottenuto, dovrebbe spiegare loro che i 36 miliardi del Mes vanno presi subito perché il Paese non può aspettare. L’alternativa è continuare a ipnotizzare i cittadini con annunci di risorse ‘poderose’ che arriveranno. Il conto (salato) rischia, però, di arrivare prima” (dicasi rischio di ulteriore aggravamento della crisi economica).

Riprendendo, per concludere, la considerazione dalla quale siamo partiti: Conte è un illusionista?
Secondo la definizione data da Paolo Mieli, lo è chi rifiuta il principio di realtà.

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