Una corretta informazione

Lo spostamento di una parte del voto cattolico, alle ultime elezioni europee, sulle liste della destra, che si dichiara antieuropeista e soprattutto garante – ma solo a parole – di una politica di contenimento dell’immigrazione, ha consentito ad alcuni commentatori di sbizzarrirsi sul ruolo di papa Francesco. Una parte della stampa ha, più o meno scopertamente, rimproverato al papa le sue chiare e ripetute parole riguardo al dramma dei profughi, alla necessità dell’accoglienza, ai doveri dei cristiani a diventare “prossimo”, esortando i fedeli a comportarsi come il Samaritano del Vangelo. Perfino Bannon (il portavoce del pensiero di Trump ma più articolato) è stato intervistato (dal Foglio) in merito. L’immigrazione, ha dichiarato Bannon, porta i nodi al pettine perchè la scelta di accoglienza auspicata dal Papa fa e farà registrare spaccature sempre più laceranti (che lo stesso Bannon sembra auspicare).

Intanto Matteo Salvini cerca di collocarsi all’interno della crisi e dello smarrimento dei credenti e, agitando la croce, propone un ricompattamento che dia certezze e fiducia nel futuro.
A nostro parere, Salvini non va inseguito nella sua azione, blasfema per un autentico credente e ipocrita per un ateo: questa operazione del leader della Lega serve a dare una patina di spiritualità e di nobiltà alle profonde paure di una parte delle masse cattoliche e alla xenofobia e ostilità verso il diverso che ne sono conseguenza. La croce non deve servire a creare identità: l’identità cattolica che si richiama a Lepanto significa riconferma dell’integralismo, cioè incapacità di confrontarsi con la complessità del reale, ma solo volontà di contrapporsi a tutto ciò che non corrisponde alla propria visione dogmatica.  L’identità cattolica conduce alla morte della capacità di ascolto e di confronto, perché essa è stata ed è un’arma di scontro verso i “diversi”, uno strumento di divisione e di violenza se usata per colpire pensieri e teste altrui; coerenza cristiana vorrebbe invece che si seguisse la strada del Maestro, caricandoci la croce sulle spalle (nostre, di ogni sincero credente, Matteo 16, 21) per compiere il primo e più importante comandamento che riassume tutti gli altri.  “Non dobbiamo vergognarci se ci chiamano razzisti” sosteneva Bannon, e Salvini lo ripete quando cerca di coprire quel grumo emotivo di timore, angoscia, risentimento, che coglie la parte più sprovveduta e meno preparata dell’elettorato cattolico di fronte ai grandi e continui mutamenti della realtà circostante.

Educare e far crescere la coscienza di costoro è compito anche dei giornali, la cui responsabilità nella selezione degli argomenti è enorme. Molti quotidiani, per esempio, dedicano energie e tempo per registrare gli episodi di fanatismo e terrorismo “islamico”, dove l’uso del termine “islamismo” tout court per indicare il terrorismo mette sullo stesso piano l’Isis, da una parte, e il Grande Imam di Al-Azhar Ahamad al-Tayyib e gli islamici moderati, dall’altra; questa scelta della stampa non è più informazione corretta, a 360 gradi, se giunge alla totale trascuratezza nel registrare anche il coraggio di altri islamici. Il mondo arabo non è per nulla immobile attorno al fondamentalismo, come se l’avvenire del suo rapporto con l’Occidente fosse oramai inevitabilmente conflittuale. Guardiamoci attorno e facciamo sentire la voce di almeno uno dei diciassette componenti il Consiglio europeo dei saggi musulmani (European Muslim Leaders Majlis – EuLeMa) che si sono riuniti a Bucarest sotto la Presidenza dell’Unione europea per studiare piste e programmi operativi per «aggiornare le nostre attività alla luce dei punti espressi nella Dichiarazione di Abu Dhabi e favorirne il pieno successo». Diamo spazio per far sapere che nell’anno 2019 un gruppo di cinquecento coraggiosi imam musulmani, nella patria dell’integralismo radicale, hanno firmato la “Dichiarazione di Islamabad” il cui contenuto è straordinario e innovatore. Ancora, accanto al parere del cardinal Muller, integralista cattolico spesso interpellato da alcuni giornali, sarebbe il caso di proporre anche quello dell’arcivescovo Sebastian Francis Shaw dell’arcidiocesi di Lahore, la seconda città del Pakistan dopo Karachi, che ha promosso per il 2019 l’anno del dialogo. La voce di tutti coloro che stanno lavorando e si stanno impegnando proprio per evitare lo “scontro di civiltà” deve essere aiutata a superare in diffusione e in consensi la voce di coloro che, mentre lo indicano, gettano benzina sul fuoco.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento