Un appello pseudo-pacifista
Siamo sensibili agli appelli per la pace. Ma quello pubblicato martedì 18 ottobre sul quotidiano “Avvenire” come lettera al direttore (sotto il titolo “Un negoziato credibile per fermare la guerra”) non ci convince. Per le ragioni che esporremo qui di seguito. Pertanto, non ce ne faremo carico e non lo rilanceremo.
La prima cosa che notiamo con disappunto nel testo dell’appello è l’evidente intenzione di non mettere in primo piano le responsabilità del capo del Cremlino. Lo si evince dall’affermazione con la quale si apre la lettera. Si dice: c’è “la minaccia di una apocalisse nucleare”. Gli autori usano la nominalizzazione “minaccia” piuttosto del verbo “minacciare”. La differenza sta nel fatto che la nominalizzazione non obbliga a mettere il soggetto che compie l’azione di minacciare. Ma cognitivamente quella nominalizzazione corrisponde alla frase completa: qualcuno minaccia qualcosa. Usando la nominalizzazione invece del verbo cui essa corrisponde evitano di menzionare il responsabile delle minacce.
Gli autori potrebbero dire che non intendono riferirsi ad una specifica minaccia ma al fatto in sé di minacciare a prescindere da uno specifico autore, e per questo aggiungono “non è una novità”. In realtà, da questo completamento della frase iniziale si evince un secondo inganno. Questa volta non solo linguistico ma storico. Non è infatti vero che minacciare l’apocalisse nucleare non sia una novità. Da 50 anni a questa parte tale minaccia non l’ha fatta nessuno (almeno non seriamente e in modo così esplicito). Insomma, non è una cosa consueta, è proprio una novità assoluta.
Togliendo le ambiguità linguistiche e storiche, la frase iniziale potrebbe diventare: “Caro direttore, sta avvenendo qualcosa che non ci saremmo aspettati: il presidente di una nazione come la Russia minaccia una apocalisse nucleare”.
Non è una questione di lana caprina dare i nomi alle cose e rispettare la storia. Implica togliere ambiguità e vaghezza al discorso. Nel nostro caso, ad esempio, passare da una espressione generica come “L’atomica è già stata usata” a una più precisa come “L’atomica è stata usata dagli americani 77 anni fa” (una sola volta nella storia) porrebbe un vincolo logico sul passaggio successivo: si può certo affermare che “non è impossibile che l’uso della bomba atomica si ripeta” ma è meno sostenibile la probabilità che ciò accada, come invece tendono a fare gli autori della lettera affermando che si tratta di “un caso ampiamente contemplato nei manuali di strategia” (affermazione la cui veridicità è difficilmente controllabile da un normale lettore).
Si sarebbe costretti a rimanere su un piano di razionale esposizione dei fatti (è incredibile quante conseguenze comporta, sul piano della comunicazione, disambiguare una nominalizzazione) per cui, per fare ancora un esempio, non avrebbe molto senso dire che, di fronte alla possibilità poco probabile di un uso della bomba atomica, “l’opinione pubblica sembra pericolosamente assuefatta”. Al più si potrebbe dire che l’opinione pubblica sembra disorientata.
Insomma, gli autori si sarebbero sentiti costretti, perlomeno, ad attenuare il tono apocalittico della loro missiva. Tono apocalittico che invece è volutamente presente ed autorizza gli autori (così loro credono) ad alterare la realtà dei fatti: “Nessuna forte reazione popolare”, scrivono.
Nelle piazze russe la reazione popolare c’è stata ed è stata duramente stroncata sul nascere, di conseguenza chi ha potuto ha cercato di abbandonare il Paese (anche questa, comunque, è una forma di “reazione popolare”, dato che lo hanno fatto in centinaia di migliaia).
Quindi non è vero che c’è solo rassegnazione alle minacce apocalittiche. Ma serve dirlo per introdurre nel discorso il loro punto di vista su quello che i pacifisti filo putiniani considerano “il peggio”, ovvero: “l’idea che solo una ‘resa dei conti’ possa far nascere un nuovo ordine mondiale”.
Ma come? Veramente si può sostenere che un nuovo (e migliore) ordine mondiale possa nascere se chi ha aggredito, massacrato, compiuto innumerevoli crimini di guerra rimarrà impunito? Ma che ordine mondiale sarebbe quello in cui un uomo politico a capo di un Paese che possiede la bomba atomica (ormai sono già16 gli stati che la detengono) può minacciare l’apocalisse nucleare qualora non gli si permetta di fare ciò che vuole?
Scrivono che “non ci si può rassegnare”. Ma l’unica forma di rassegnazione che si vede in giro è proprio quella di questi sedicenti pacifisti rassegnati all’idea, appunto, che chi possiede la bomba atomica può fare ciò che vuole: assecondiamo i matti (potenti) altrimenti ci distruggono.
Il vero problema che dobbiamo porci, come pacifisti, è come rendere inoffensivi gli eventuali matti potenti. Un nuovo ordine mondiale nascerà solo sulla base del principio della messa al bando delle armi nucleari, sulla comune decisione di tutti i popoli di non farne mai uso per regolare i rapporti tra gli stati.
Un obiettivo che non si realizzerà, anzi se ne allontana la realizzazione, se si concede a gente come Putin il diritto di sedersi da pari al tavolo delle trattative. Se ciò accadrà gli imitatori si moltiplicheranno in poco tempo. Altro che nuovo ordine mondiale!
È evidente che, a questi sedicenti pacifisti, del nuovo ordine mondiale futuro non gliene importa proprio nulla. A loro importa, e lo scrivono chiaramente, che “questo” conflitto, “questa” minaccia apocalittica, non si concluda con una sconfitta per la Russia. Non perché ritengono che la Russia non sia il paese aggressore, ma perché loro non condividono “una concezione manichea del mondo e della storia”.
Cosa c’entra la concezione manichea? Se uno ha aggredito non è la concezione manichea che lo mette dalla parte del torto, è proprio la realtà storica (il come si sono svolti i fatti). Altrimenti è come dire che se gli europei hanno sottomesso e sterminato le popolazioni indigene delle Americhe un po’ di colpa ce l’hanno anche quelle popolazioni. È questo tipo di ragionamento che i nostri bravi pacifisti applicano nel giudicare il conflitto russo-ucraino quando dicono che questo conflitto “è divampato con l’aggressione russa al di là delle gravissime tensioni nel Donbass”.
Per fortuna non tutti la pensano in questo modo, nei confronti dei massacri degli indigeni americani come nei confronti dei massacri della popolazione ucraina.
Naturalmente, dopo aver affermato che il conflitto russo-ucraino non può concludersi con la sconfitta della Russia (“non può avere la vittoria tutta da una parte e la sconfitta tutta dall’altra”) perché altrimenti si avrebbe l’affermazione di una concezione manichea della storia e del mondo, i nostri pacifisti ‘non manichei’ passano ad indicare come “i governi responsabili debbano muoversi”: 1. Niente ingresso dell’Ucraina nella Nato; 2. Cessione di tutta la Crimea alla Russia; 3. Riconoscere l’autonomia delle regioni di LugansK e Donetsk dall’Ucraina; 4. Creazione di un ente paritario russo-ucraino per gestire le ricchezze minerarie dei territori ucraini del Donbass occupati manu militari dalla Russia; 5. Ritiro delle sanzioni internazionali comminate alla Russia e contemporaneo ritiro della Russia dall’Ucraina; 6. Piano internazionale di ricostruzione dell’Ucraina.
Questo piano corrisponde al 100% agli obiettivi per i quali la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio scorso. Dov’è l’equidistanza? Francamente, quello proposto è un negoziato poco credibile.
Per rendere credibile/accettabile questo assist al dittatore russo, per farlo uscire non perdente dal conflitto che lui ha scatenato (e che non sembra essere in grado di condurre in alcun modo se non seminando terrore e disseminando crimini di guerra) dopo aver evocato l’apocalisse nucleare, in modo altrettanto strumentale i firmatari dell’appello si fanno anche portavoce della “Chiesa di Roma”, affermando che le linee da loro tracciate “fondamentalmente sono le linee più credibili di un negoziato possibile e necessario, anche per l’unica Agenzia mondiale all’opera davvero per la pace, la Chiesa di Roma”.
A noi non sembra che l’affermazione degli estensori della lettera pubblicata su Avvenire corrisponda al vero. Come esempio a sostegno del nostro dubbio rimandiamo all’appello dei vescovi europei, riuniti sotto la sigla Comece, che può essere letto qui, in cui si dichiara in data 14 ottobre che due obbiettivi principali restano imprescindibilmente collegati: 1) l’attuazione del dialogo 2) “ ripristinare l’integrità territoriale e il diritto internazionale gravemente violati”.
Il vicepresidente della Comece monsignor Crociata ribadisce per non creare equivoci: “La seconda cosa necessaria è riconoscere che c’è stata una grave violazione dell’integrità territoriale e del diritto internazionale che vanno assolutamente ripristinati. Non c’è pace senza giustizia.”
Fantastico il finale dell’appello pseudo-pacifista: “Liberiamo la ragione e la politica dalle pastoie dell’odio”. Di nuovo l’uso delle nominalizzazioni per non fare nomi e cognomi. Chi odia chi? Bisognerebbe dirlo, per liberarsi dalle pastoie bisogna sapere chi le mette e in cosa consistono. Altrimenti è pura retorica.
Ripetiamo: non è questione di lana caprina, è questione di onestà intellettuale. Aspettiamo che ce lo dicano: chi odia chi.
L’immagine in evidenza è tratta da: rainews.it
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