Non delegare, non allungare

Non possiamo lasciar la scuola da sola alle prese con i ritardi di apprendimento, i problemi psicologici e quant’altro il Covid ha generato e genera nei giovani, nel loro quotidiano, nella capacità di reagire all’allontanamento forzato dai coetanei e dagli insegnanti, nella loro visione del mondo. I problemi sono troppo numerosi e troppo grandi perché gli insegnanti possano risolverli senza aiuto.

Non possiamo lasciar soli gli insegnanti, non possiamo delegare a loro quello che è un problema di tutta la collettività. E coloro che si occupano di formazione, di cultura nel senso più ampio del termine devono mettersi in gioco, devono entrare a far parte di una pedagogia dell’emergenza.

Si tratta di pensare ad un progetto educativo di comunità, anzi molti  progetti nei quali le comunità nelle quali gli istituti scolastici sono inseriti formino un corpo unico educante.
L’arricchimento deve provenire dagli enti culturali presenti sul territorio, quello lontano, Internet annulla le distanze, ma anche quello vicino, ricco di stimoli di prossimità.

Ma quando il termine “cultura” assume valenza larga, il rischio diventa quello che ne possa risultare solo una disordinata sommatoria di contenuti.

Sta agli insegnanti dare senso, organizzare e condurre a ordine educativo le offerte esterne alla scuola, aiutare la didattica a distanza a non esser solo la trasposizione da lontano della lezione frontale, spiegazione orale o con supporti, esercizi a casa, verifica orale o scritta.

E non si tratta di allungare i giorni di scuola, le famiglie devono poter esser parte di questo processo, le vacanze sono parte educativa e non vanno sottratte ad un ritmo di vita già sufficientemente alterato.
Si tratta invece  di rendere più complesso e ricco il processo di apprendimento di quanto oggi sia possibile con la didattica a distanza.

Occorre che si creino degli aggregatori di offerte formative per mezzo dei quali gli insegnanti possano costruire percorsi arricchiti e arricchenti, anche già  in questo scorcio finale d’anno scolastico, occorre predisporre un Albo dei contributori culturali.

Un esempio già strutturato è quello che sta facendo l’INDIRE con la Biblioteca dell’Innovazione, un aggregatore nazionale di risorse per i docenti.

Ma, secondo me, occorre anche un coinvolgimento locale.

Forse in questa maniera i ragazzi si sentiranno al centro dell’attenzione e collaboreranno nello sforzo dell’apprendimento. Essi ora non capiscono perché la scuola non riapre, manifestano in piazza seduti sul selciato insieme a genitori che chiedono una ritorno a scuola comunque sia, simulano una scuola che non c’è più, si limitano a reclamare presenza. Perché? Come mai le risposte del sistema non sono per loro convincenti? Perché la didattica a distanza non (li) convince?

Dunque serve una comunità pedagogica, ma anche una pedagogia che traghetti dall’emergenza alla scuola postcovid che necessariamente sarà diversa.

Non basterà recuperare l’empatia della presenza per ricominciare ad imparare e ad insegnare.
Oltretutto molti allievi, quelli che hanno frequentato le classi di passaggio fra ordini, non sanno proprio che cosa era la scuola tradizionale.

L’immagine in evidenza è tratta da: viaggiapiccoli.com
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: formacoop.org; milanotoday.it; open.online.

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