La formazione del governo Conte II: i contenuti

Nel provare a svolgere una riflessione sul programma del governo Conte2 assumeremo come parametro di riferimento quello suggerito dal segretario del Pd Zingaretti  quando, dopo un incontro di consultazione col presidente Mattarella, ha dichiarato che “questa volta non c’è un contratto ma un accordo su un programma condiviso” e che “il nuovo governo nasce all’insegna della discontinuità”.

Ma prima di prendere in considerazione gli elementi di discontinuità del Conte2 rispetto al Conte1 è doveroso fare una premessa. Se si volesse confrontare il programma che il presidente Conte ha consegnato alla stampa il 4 settembre con i programmi dei tanti governi che lo hanno preceduto nella storia della Repubblica, ci si renderebbe conto che i 29 punti che lo compongono non sfuggono ad una regola, non scritta ma ugualmente da tutti molto rispettata,  quella di costituire un impasto di buoni propositi enunciati in modo alquanto generico e artificioso. Ecco qualche esempio di manierismo politico:

  • È essenziale investire sulle nuove generazioni, vera risorsa per il futuro del Paese, al fine di garantire a tutti la possibilità di svolgere un percorso di crescita personale, sociale, culturale e professionale nel nostro Paese.
  • Occorre porre in essere una riforma fiscale, che contempli la semplificazione della disciplina, una più efficace alleanza tra contribuenti e Amministrazione finanziaria e la rimodulazione delle aliquote, in linea con il principio costituzionale della progressività della tassazione, con il risultato di alleggerire la pressione fiscale, nel rispetto dei vincoli di equilibrio del quadro di finanza pubblica.

 La genericità delle proposte fa poi il paio con la universalità dei temi affrontati . Come di solito accade in questo genere di documenti, anche nel caso del programma del Conte2 quasi tutti i temi di ordine economico politico e sociale che registrano un qualche rilievo nell’opinione pubblica vi trovano posto.

Ma mettiamo da parte tali limiti e guardiamo al programma del Conte2 per capire se realmente, come dice Zingaretti, questo governo nasce all’insegna della discontinuità. Lo faremo prendendo in considerazione solo quattro temi, che erano stati al centro dell’azione politica del governo precedente.


 Il primo tema riguarda il rapporto con l’Europa e, più in generale, il posizionamento dell’Italia nello scacchiere internazionale:
 L’Italia deve essere protagonista di una fase di rilancio e di rinnovamento dell’Unione europea, intesa come strumento per ridurre le disuguaglianze e vincere la sfida della sostenibilità ambientale” (punto 2 del programma)
Il Governo persegue la tutela degli interessi nazionali, promuovendo un nuovo equilibrio globale basato sulla cooperazione e la pace e rafforzando il sistema della cooperazione allo sviluppo, nel quadro di un multilateralismo efficace, basato sul pilastro dell’alleanza euroatlantica, con riferimento all’opera delle Nazioni Unite, e sul pilastro dell’integrazione europea” (punto 13 del programma).
Il cambio di passo rispetto al precedente governo è più che evidente. Le espressioni contenute in questi punti  manifestano un atteggiamento più rispettoso nei confronti delle istituzioni europee. Abbiamo ancora tutti memoria del viaggio che nel mese di Febbraio Di Maio e Di Battista hanno fatto, affittando un pulmino, alla volta di Strasburgo, dove ha sede l’Europarlamento che, in una diretta Fb, hanno definito “una marchetta alla Francia”. E abbiamo anche memoria dei modi sprezzanti con cui Salvini accoglieva le “letterine che la Commissione europea inviava all’Italia per invitarci a non fare troppi debiti. Ora tutto questo sembra appartenere a un lontano passato. Conte, ricevendo l’incarico per formare il nuovo governo ha espresso fedeltà al Patto atlantico e l’intenzione di non  mettere minimamente in discussione la moneta unica europea. Ed è stato molto apprezzato dai nostri principali partner europei, in primo luogo la Germania, il fatto che il M5s non abbia rinnovato l’alleanza con i fascisti dell’AfD (con i quali invece continua ad essere alleato Salvini) ed il fatto che abbia contribuito alla elezione di Ursola von der Leyen alla guida della Commissione, ovvero dell’organo di governo della UE.

Il secondo tema riguarda gli interventi in materia di economia. Al primo posto non vi è la spesa improduttiva (o comunque non solo) . Non si accenna, certo, alla eventualità di cancellare quota 100 e reddito di cittadinanza (cosa che potrebbe aiutare a rimettere in sesto i conti pubblici, visto che le due misure non hanno ottenuto il risultato, ipotizzato con enfasi, di promuovere la crescita dei consumi e dell’occupazione e di riflesso la crescita economica). Ma si prende atto che il nostro sistema produttivo “sconta problemi di bassa crescita e produttività” e che, in sostanza,  è necessario pensare a come produrre ricchezza. Sul problema della crescita economica, il programma del nuovo governo sembra muoversi in perfetta sintonia con i nuovi  orientamenti dell’Unione Europea, dove si sta facendo sempre più strada l’idea che, stante l’attuale congiuntura internazionale, sia necessario mettere in atto politiche economiche espansive. Ci sarà probabilmente, nella UE, una revisione del patto di stabilità per consentire maggiore flessibilità per quanto riguarda il rapporto debito-pil nella formulazione delle leggi di bilancio dei singoli paesi  (leggi: possibilità di più investimenti pubblici). Al punto 1 del programma, accanto alla “neutralizzazione dell’aumento dell’IVA”,  vengono indicate come prioritarie (con riferimento alla legge di bilancio per il 2020) misure per “il rafforzamento degli incentivi per gli investimenti privati”. E poi si dice che “Tutte  le previsioni saranno comunque orientate a perseguire una politica economica espansiva, in modo da indirizzare il Paese verso una solida prospettiva di crescita e di sviluppo sostenibile, senza mettere a rischio l’equilibrio di finanza pubblica”. È  facile rilevare che si tratta del contrario di quello che aveva fatto il governo gialloverde.

Tutto ciò è accompagnato, così prevede il programma al punto 4, da una riduzione del carico fiscale, soprattutto a vantaggio dei lavoratori (il cosiddetto “cuneo fiscale”) e da un impegno ad “affrontare la sfida dell’innovazione” (punto 3): “Oggi la sfida è quella dell’innovazione connessa a una convincente transizione in chiave ambientale del nostro sistema industriale, allo sviluppo verde per creare lavoro di qualità, alla piena attuazione dell’economia circolare, alla sfida della “quarta rivoluzione industriale”: digitalizzazione, robotizzazione, intelligenza artificiale. Il piano Impresa 4.0 è la strada tracciata (dai governi Renzi e Gentiloni –ndr) da implementare e rafforzare”.

Il terzo tema riguarda le politiche migratorie
Non ci troviamo di fronte ad affermazioni eclatanti. Non c’è scritto nel programma che si annullano i decreti sicurezza, né che si aprono indiscriminatamente i porti (e questo forse  è un bene).
Ma anche in questo caso c’è, evidente, un orientamento nuovo, di non continuità con la precedente impostazione.
A parte la stranezza del fatto che a quello che fino a ieri era il problema dei problemi  vengono dedicate sette righe appena, contro le 60 del programma Lega-M5s (la cosa di per sé non è un male) il primo vero elemento di discontinuità sta nella assenza assoluta di pietosi e falsi piagnistei del tipo “l’Europa ci ha lasciati soli ecc., ecc.” Il secondo è che non si parla di “situazione insostenibile”, evitando quindi di perpetuare il metodo dell’amplificazione del problema attraverso fake newes e, soprattutto, “superando una logica puramente emergenziale a vantaggio di un approccio strutturale, che affronti la questione nel suo complesso, anche attraverso la definizione di una organica normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina, ma che – nello stesso tempo – affronti i temi dell’integrazione”. Con altrettanto buon senso, non si parla di “fondi pubblici non trasparenti”. E non c’è traccia di criminalizzazione delle ONG. Si parla invece di “rivisitare” la disciplina in materia di sicurezza  “alla luce delle recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”. E si dice che il governo intende “promuovere una forte risposta europea” per “riformare il Regolamento di Dublino”.  Insomma poche essenziali e sacrosante parole,  sufficienti per passare da una politica che crea allarmismi e paura (sulla cui base catturare consensi)  ad una politica che riconosce l’importanza del problema migranti e cerca il contesto più adatto per affrontarlo: un forte coinvolgimento dell’Europa (che comunque anche in passato non ci aveva lasciato soli, come dimostra lo stesso Regolamento di Dublino, che ora è giusto venga rivisto e migliorato).  

Il quarto tema riguarda il rapporto con le istituzioni della democrazia rappresentativa.

Il fondatore di M5s Gianroberto Casaleggio aveva a suo tempo dichiarato che il movimento “è nato per superare la democrazia rappresentativa”. L’alternativa prospettata è la “democrazia diretta”. Potrebbe sembrare una provocazione intellettualistica. Invece i  pentastellati  la considerano un obiettivo strategico, da perseguire con costanza e determinazione.  Nella formulazione del programma del primo governo Conte questo obiettivo aveva trovato ampio spazio. Il punto 20 del “contratto” di governo tratteggiava un piano di riforme che nel loro insieme dovevano tendere a rafforzare gli strumenti di democrazia diretta e depotenziare quelli della democrazia rappresentativa, in una ottica che Di Maio ha più volte espresso senza mezzi termini: ”presto il parlamento perderà le sue funzioni”. Tali misure prevedevano, tra l’altro: una drastica riduzione del numero dei parlamentari, l’introduzione di forme di vincolo di mandato per i parlamentari, il potenziamento del  referendum abrogativo già esistente cancellando il quorum strutturale, l’introduzione del referendum propositivo. Il governo Conte1 passerà alla storia anche per essere stato il primo governo nel quale al ministro dei Rapporti con il Parlamento è stata conferita la delega alla democrazia diretta.
Nel programma del secondo gabinetto Conte non vi è alcun riferimento esplicito al tema della democrazia diretta e non vi sono ministri delegati ad occuparsene.  La discontinuità, anche su questo punto, è netta. La cosa più importante è che non vi è traccia del vulnus più grave che si sarebbe potuto arrecare al sistema della democrazia rappresentativa,ovvero l’introduzione, per gli eletti al parlamento, del vincolo di mandato. Rimane, come punto di orgoglio del M5s, l’impegno a ridurre il numero dei rappresentanti del popolo, purtroppo slegato da un disegno di riforma più complessivo che potrebbe dare senso alla cosa. In parte collegata  alla riduzione dei parlamentari, è prevista  invece una nuova riforma della legge elettorale: probabilmente si andrà verso un proporzionale puro.
La grande voglia di tenere in qualche modo aperto il fronte della critica alla democrazia rappresentativa traspare anche in un altro passaggio: “avviare una revisione costituzionale volta a introdurre istituti che assicurino più equilibrio al sistema e che contribuiscano a riavvicinare i cittadini alle Istituzioni”. L’espressione è generica ma considerando l’ideologia dei pentastellati si può pensare che si riferisca alla introduzione di istituti come il referendum propositivo.

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Vi sono vari altri punti, nel programma del Conte2, in cui è possibile rintracciare elementi di “discontinuità”. E vi sono anche punti che trattano temi rispetto ai quali la discontinuità non ha evidenza (come ad esempio il tema della giustizia, al quale il programma dedica tre righe appena, lasciando intendere che non verrà posto alcun rimedio ai guasti già operati dal Conte 1(vedasi l’abolizione della prescrizione).

Comunque, le discontinuità che abbiamo rilevato costituiscono, a nostro avviso, una base sufficiente per avviare una azione di governo  che abbia obiettivi quali: restituire voce e credibilità all’Italia in un contesto internazionale, e in particolare in quello europeo; favorire la crescita economica, da cui dipende la crescita dell’occupazione e del benessere dei cittadini; affrontare la  questione migratoria con atti e strumenti che tengano conto delle preoccupazioni degli italiani e al contempo siano coerenti con il senso di umanità e di solidarietà che pure ci appartengono e trovano espressione chiara e inequivocabile nell’articolo 2 della Costituzione repubblicana; difendere e rafforzare il nostro sistema di democrazia rappresentativa nel solco della tradizione liberale e progressista.
In questo momento il nostro paese ha urgente bisogno di un programma politico che persegua questo genere di obiettivi e ciò, ribadiamo, potrebbe avvenire sulla base delle discontinuità di cui sopra.  Così come, sempre sulla base di quelle discontinuità, potrebbe avvenire che la legislatura in corso, che ha già sperimentato nei suoi primi 14 mesi di vita l’alba di una poco rassicurante stagione populista ne sperimenterà anche il tramonto. C’è però un punto interrogativo che per ora non ha risposte o le risposte date non sono abbastanza soddisfacenti  e riguarda la credibilità dei politici che partecipano a questa operazione trasformista (ma non per questo sbagliata).
Si è spesso sollevato un problema del genere rispetto al cambio di alleanza: il Conte 2 vede una alleanza tra partiti che si erano aspramente combattuti fino al giorno prima. Ma questa cosa non segna certo una novità nella politica: è ciò che molto spesso accade quando si è costretti a formare coalizioni non previste per potere dar vita ad un governo.  Il problema è un altro e riguarda in modo particolare molti politici del M5s che, nel giro di 20 giorni, nel passaggio dal governo Conte 1 al governo Conte 2, hanno messo in programma contenuti e obiettivi diametralmente opposti a quelli per i quali avevano lavorato nei mesi precedenti, senza  avere mai in precedenza manifestato dubbi, incertezze, ripensamenti . Il punto, insomma, non è che non si possano cambiare idee (ci mancherebbe: è il sale della democrazia) ma è dovere professionale di ogni politico mettere in evidenza, manifestate agli elettori , l’evoluzione del proprio punto di vista, le riflessioni, i ragionamenti che vi stanno dietro e che rendono il cambiamento comprensibile e in definitiva accettabile.
Si può sempre dire che si è stati costretti ad agire in tempi rapidi. È plausibile. Ma si può in qualche modo rimediare: per rendersi credibile, specie in una prospettiva di lungo periodo, almeno sulle principali questioni che segnano una più netta inversione di tendenza rispetto al recente passato, il M5s potrebbe fare pubblica autocritica e magari avviare un processo di revisione di alcuni suoi antichi presupposti.

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