Doppiezza

Avviene spesso nel nostro Paese, specie quando si formano governi di coalizione, che alcuni partiti assumano un doppio ruolo: fare parte dell’area di governo senza rinunciare al controllo della protesta di piazza; stare al governo del Paese e, contemporaneamente, all’opposizione di quelli che governano (cioè, a ben guardare, di loro stessi).

I partiti che più di altri esprimono questa particolarità, in questo momento, sono due: la Lega di Salvini (ovvero il partito che gode della più alta percentuale di consensi) e il M5s di Grillo/Conte (che ora non gode di molti consensi ma ha comunque la più nutrita rappresentanza parlamentare). Entrambi questi partiti partecipano al governo presieduto da Mario Draghi con vari e importanti incarichi ministeriali. Entrambi questi partiti hanno finora condiviso e sostenuto le scelte dell’esecutivo di cui fanno parte. Ma ora sembra essere giunto il momento in cui all’esigenza di mostrare responsabilità nella gestione dei problemi del Paese viene affiancata se non addirittura anteposta l’esigenza di curare interessi di parte e/o  di ampliare la propria sfera di influenza.

È così avvenuto che la Lega di Salvini, pur avendo approvato tutte le misure del governo Draghi relative alla lotta alla pandemia, compresa quella di munire tutte le persone vaccinate di un “green pass” (una specie di lasciapassare, che consente di circolare liberamente) poi ha deciso di schierarsi contro l’uso di tale strumento. Salvini obietterebbe che lui è contrario solo ad un uso indiscriminato del green pass. Ma non è proprio così.

Stando a quanto riportato da vari organi di stampa, tra cui La Repubblica del 19 Luglio scorso, Salvini ha fatto le seguenti  affermazioni: “Sotto i 40 anni il vaccino sia libero”; “da 40 a 59 anni scelgano”; “Mettiamo in sicurezza dai  60 anni in su. Per i giovani il vaccino non serve” ; “”Va completata l’opera egregia del generale Figliuolo, ma non se ne parla di imporre obblighi”; “L’ipotesi di un green pass per i vaccinati è una c…ta pazzesca”, che “creerebbe un casino totale”.

Si fa fatica a credere che a fare queste affermazioni sia il leader di uno dei partiti di governo.
Prendere queste affermazioni sul serio, vorrebbe dire che ormai, dopo aver vaccinato ancora un po’ di ultra sessantenni, la campagna di vaccinazione potrebbe essere chiusa qui. Ovviamente, in questa visione semplicemente strampalata non ha senso porre alcun obbligo e neppure usare il green pass come uno strumento per incentivare la vaccinazione.

Ma sarebbe un errore credere che quanto ha detto Salvini (molto simile a quanto dice Giorgia Meloni) sia frutto di una attenta analisi della situazione pandemica (ad esempio, non è vero che sotto i 40 anni non si muore di Covid). Il leader  della Lega, da perfetto populista, avverte gli umori della gente e se ne fa interprete. Dire che ognuno può fare quello che vuole è semplicemente una scemenza, che col concetto di libertà non ha niente a che fare (come se vivere in una società da liberi cittadini non comportasse avere dei doveri oltre che dei diritti) ma puo essere utile per acquisire consenso e usare il favore della piazza per conferire più peso ai propri orientamenti politici all’interno della compagine governativa.

L’altro partito di lotta e di governo dentro l’esecutivo guidato da Draghi è, come dicevamo, il M5s. La doppiezza dei pentastellati ha come terreno privilegiato la giustizia, in particolare la riforma della giustizia penale che porta la firma della ministra Cartabia e punta a velocizzare i tempi dei processi per renderli compatibili con gli standard europei, come previsto dal PNRR. L’Europa è stata chiara: senza una serie di riforme, tra le quali in primis quella della giustizia, i fondi del PNRR non verranno erogati.

L’8 luglio scorso il Consiglio dei ministri, dopo una lunga discussione ha approvato all’unanimità il testo con gli emendamenti  proposti dalla Cartabia. Prima della seduta del Cdm il premier e la Cartabia avevano avuto con i 4 ministri M5s una riunione che aveva prodotto un accordo. L’intento di Draghi era quello di giungere alla formulazione di un testo nel quale tutti potessero riconoscersi. E sottolineando l’importanza di questa riforma ha espressamente chiesto a tutte le forze politiche della maggioranza se avrebbero sostenuto con lealtà anche in Parlamento il testo concordato. Nessuno ha risposto negativamente.

Nel merito, per quanto riguarda il nodo su cui maggiore è la distanza tra la ministra Cartabia e l’ex ministro grillino Bonafede, nel testo varato all’unanimità dal Cdm si prevede che rimarrà il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado ma, a partire dal processo di appello, vengono introdotti dei termini massimi di durata (2 anni per il processo di secondo grado e 1 anno per il processo in Cassazione) trascorsi i quali il reato viene dichiarato  improcedibile (nessun limite alla durata, invece, per i reati imprescrittibili come quelli punibili con l’ergastolo).

Ma  l’ex presidente del Consiglio non ci sta. Giuseppe Conte, presidente del Consiglio per ben due volte di seguito, prima di un governo di destra e subito dopo di un governo di sinistra, mentre lavorava per giungere ad un accordo con Beppe Grillo che gli consentisse di assumere la guida del M5s, ha fatto intendere che avrebbe dato  filo da torcere a chi è stato chiamato a sostituirlo alla guida del governo. Il fatto che tutti e quattro i ministri del suo Movimento avessero approvato in Cdm la riforma Cartabia non lo ha indotto a riflettere più di tanto e ha dichiarato: “io non canto vittoria” , per dire che non gli stava bene né la proposta della ministra Cartabia né il voto favorevole dei quattro ministri 5 stelle. Questi ultimi, dopo essere stati di fatto sfiduciati dal loro futuro leader, hanno cominciato a fare marcia indietro, fino a giungere alla dichiarazione della minstra pentastellata alle Politiche Giovanili Fabiana Dadone: “l’ipotesi di dimissioni dei ministri del M5s dal governo Draghi, se non ci saranno miglioramenti alla riforma della giustizia, è una cosa da valutare insieme a Giuseppe Conte”.

Il principale elemento del contendere è la modifica, come abbiamo detto, della precedente riforma del ministro Bonafede che aveva abolito la prescrizione. La preoccupazione espressa da Dadone è che “La riforma così come è stata presentata rischia di avere delle fasce di impunità”. Il presidente Draghi, ribadendo che non c’è alcuna intenzione di creare fasce di impunità, si è dichiarato disponibile al fatto che vengano apportate delle modifiche, ma puramente tecniche. La sostanza della riforma, che è quella di accelerare i tempi della giustizia, non può essere messa in discussione e, pertanto, su di essa intende porre la fiducia in Parlamento.

In conclusione:

Viene da chiedersi: ma alla fine, le posizioni come quelle assunte dai salviniani su vaccini/green pass e dai contiani sulla riforma della giustizia, pagano realmente sul piano politico? (ovviamente al di là di una effimera utilità immediata nel mostrare la bandierina sventolante del proprio partito e nel favorire un ricompattamento identitario nelle proprie fila).
La scena politica per fortuna sta cambiando. Lentamente, ma sta cambiando. E finora le doppiezze esercitate da Salvini e da Conte non hanno reso gran che ai loro autori:

  • Dopo l’ammiccamento di Salvini ai no-vax e le sue roboanti dichiarazioni contro il green pass e l’imposizione di qualsiasi obbligo è arrivata, prima, la dichiarazione di Draghi (“Green pass è misura che dà serenità, non la toglie … L’appello a non vaccinarsi è appello a morire”) e, a seguire, il decreto del governo che entrerà in vigore il 6 agosto e prevede proprio tutta una serie di obblighi (stato di emergenza prorogato fino a fine 2021, green pass necessario per entrare nei bar e ristoranti ma anche per palestre, cinema , teatri, stadi ed altri eventi. Le discoteche rimarranno chiuse). Con il green pass ( che sarà valido per chi ha ricevuto almeno una dose di vaccino, abbia fatto un tampone negativo nelle 48 ore precedenti o sia guarito dal Covid nei 6 mesi precedenti) si abbrevia a 7 giorni -rispetto i 14 ora previsti- la quarantena breve.
  • Dopo la dichiarazione di guerra di Conte sul tema della giustizia e l’avvertimento  della ministra grillina Dadone (o Draghi modifica la riforma o ci dimettiamo dal governo – ovvero ne determiniamo la caduta) è seguita la disponibilità di Draghi a discutere ed apportare modifiche puramente tecniche ed il suo contro avviso: la riforma è già frutto di una mediazione  tra tutti i componenti della maggioranza e, nella sua struttura complessiva, non può non essere approvata dal Parlamento, dove sarà lo stesso presidente del Consiglio a chiedere la fiducia.

Che bello pensare che la doppiezza in questo Paese non paga più.

L’immagine in evidenza è tratta da: tesocialpost.it
Le immagini nel testo sono tratte, rispettivamente, da: iltiformista.it; rainews.it; casanapoli.net; huffingtonpost.it; ilfattoquotidiano.it; iltempo.it; ansa.it

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