Benedetto XVI e il ’68 -3

La parte centrale del testo di Benedetto XVI riguarda la dissoluzione della morale, iniziata fin dal 68, e le sue ripercussioni nella vita e nella formazione dei seminaristi. Partiamo nuovamente dall’iniziale ragionamento del papa: la proclamazione della libertà nei rapporti sessuali ha caratterizzato gli anni ‘60 e Benedetto XVI può sottolineare che “della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente”. Dove e quando questo accada tuttavia non lo dice.  Nelle assemblea del Movimento Studentesco alla Statale di Milano? Durante i cortei studenteschi a Valle Giulia? Forse fra i contadini in lotta ad Avola e Battipaglia? All’interno dei cortei operai di Mirafiori? Se Benedetto XVI pensa alla ricerca teorica dello psicanalista, il quale ha illustrato in una rivista ben curata le pulsioni disinibite dell’umanità liberata o se si riferisce alla conferenza dello storico dell’antichità greca, il quale ha recuperato il rapporto maestro/discepolo dell’Atene di Platone, allora il papa emerito può giustamente affermare che, anche negli anni ’60, qualcuno ha liberalizzato, a suo modo, la pedofilia. Comunque gli possiamo assicurare che, in quanto giovani che hanno vissuto in quegli anni dentro i movimenti, avevamo altro a cui pensare in fatto di sessualità, ed è stato così per la stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi di quel periodo.

Se valesse il ragionamento di Benedetto XVI, per cui basta la ”fisionomia” di un evento per identificare la matrice originaria di un fenomeno,  allora saremmo autorizzati a pensare che le pratiche di infibulazione e di mutilazione dei genitali presenti da secoli nel mondo e tutt’ora eseguite hanno trovato una giustificazione teorica nella “fisionomia” del Cristianesimo delle origini, quello degli “eunuchi per il regno dei cieli” di Matteo 19,12, quello dei cristiani autoeviratisi nei primi secoli, quello della mortificazione della carne e del corpo –sedi del peccato-  attraverso supplizi autoimposti. 

C’è tuttavia un motivo ulteriore che rende interessante l’argomento di Benedetto XVI, cioè il fatto che egli sostenga che “la questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80”. Benedetto scopre la pedofilia negli anni ’80 perchè proprio allora viene a maturazione la liberazione psicologica di massa  riguardo aspetti considerati vergognosi –anche da chi li patisce- , quali aver subito uno stupro, e contemporaneamente sono cresciute una stampa ed una  informazione disponibili all’ascolto e non facilmente censurabili; quindi gli organi di informazione e persone più consapevoli  hanno consentito che le stesse vittime potessero, prima timidamente poi con sempre maggior determinazione, denunciare ciò che nei tempi precedenti avrebbero taciuto o accolto come evento talmente inimmaginabile e ”sconveniente” da dover essere taciuto e da rimuovere dalla memoria. La pedofilia, apparsa negli anni ’80 agli occhi di Benedetto XVI, ci ricorda il fenomeno della apparente insorgenza dei delitti e della criminalità dopo la fine della II guerra mondiale e dopo l’avvento della Repubblica, quando le persone più sprovvedute ed ingenue (accanto ai manipolatori in cattiva fede) rammentavano il felice periodo fascista nel quale non vi era stata neppure l’ombra di simili nefandezze e quando la vita scorreva tranquilla con i treni in orario. Riprendiamo il discorso del papa dal momento in cui, sull’onda delle teorie libertarie del 68, la teologia cattolica “collassa” e inizia a cedere al relativismo. In una società nella quale in campo sessuale si confrontano opinioni diverse rispetto all’amore tra coniugi, all’amore extra coniugale, all’amore fuori da ogni vincolo matrimoniale, alle relazioni già nell’adolescenza, alla masturbazione, all’uso dei concezionali e della pillola, all’accettazione o meno dell’amore omosessuale, in questa società è evidente che non esiste una regola unica e comune di comportamento ed il relativismo consiste nel rispettare le scelte degli altri come vorremmo che vengano rispettate le nostre.
Benedetto XVI tuttavia non è d’accordo perchè “ci sono azioni che non possono mai diventare buone” e quindi vanno proibite. E a questo punto appare il teologo, aggiungendo che, “persa l’idea di una verità universale, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza, che non è più considerata nella sua realtà originaria. Ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui aspetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione…”.  Possedendo questa verità universale, da tutti noi riconoscibile attraverso l’uso della ragione, potremmo condurre una vita ordinata e armoniosa fin dal momento della nascita – che avviene inevitabilmente in concomitanza ad ogni atto sessuale umano in quanto sono proibiti il coitus interruptus, gli anti concezionali e ancor più l’aborto –  fino all’istante ultimo della morte, che ci viene data – senza nostra scelta  –  quando l’alimentazione forzata smette la sua efficacia. Attorniati finalmente da una famiglia numerosa, nata assieme alla prima ragazza/al primo ragazzo con cui ci saremo incontrati nella vita e che, senza rapporti prematrimoniali, avremo sposato in chiesa, saremo felici perché il catechismo (la verità universale ridotta in pillole) regolerà la nostra esistenza e quindi non dovremmo più preoccuparci di pensare. Esagerazione? Benedetto XVI è convinto che esiste proprio questa verità universale, che è formulabile in concetti, e che essa fonda la morale umana.

C’è tuttavia un problema: ammettendo che esista, questa ”verità universale” inevitabilmente avrà come caratteristica la problematicità. La verità unica e universale, se c’è, non ci appare con certezza e definitivamente. La storia del Cristianesimo, per parlare di ciò che è più vicino a noi, lo conferma. Papa Ratzinger dovrebbe ricordare che fin dalle origini il movimento dei cristiani ha espresso modalità di vita, riti, dottrine differenti, varietà di interpretazioni che non sono mancate nel medioevo e che si sono accentuate con la Riforma Protestante.
Oggi la morale praticata da chiese/gruppi di fedeli che si richiamano al Vangelo e che si definiscono tutti “cristiani” sono tutt’altro che simili rispetto ai diritti civili delle persone, al loro modo di nascere e morire, alle libertà che devono essere garantite. Anche all’interno della Chiesa Cattolica non è mai esistita una morale in cui vi fosse il vincolo dell’assoluto. Due esempi recenti: il tema della libertà religiosa (quello su cui insiste Papa Francesco e l’Islam moderato) è stato, in numerose occasioni, autorevolmente negato dai documenti più prestigiosi dei papi addirittura fino al Concilio Vaticano II. Sembrerà strano oggi, ma per secoli la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica si è opposta al diritto di culto per coloro che seguivano altre fedi e, dove ha potuto, ha chiesto allo Stato di adeguarsi con leggi restrittive. Ne parleremo in un post a parte. L’altro esempio riguarda il Catechismo Universale (è definito proprio così: universale come la verità) della Chiesa Cattolica, voluto da Ratzinger e pubblicato negli anni 90 come guida morale – definitiva e certa- per ogni latitudine ed epoca. Sono bastati un paio di decenni per far saltare un articolo non da poco, il famoso 2267 sulla pena di morte. Secondo uno dei massimi esperti dell’argomento, il cardinal Dulles, molto stimato da papa Benedetto, la Scrittura e la Tradizione sono le uniche autorità a cui il Magistero si deve appellare per definire le sue scelte e la Scrittura e la Tradizione rappresentano la base per respingere il divorzio, l’aborto, i rapporti omossessuali, l’ordinazione delle donne al sacerdozio e per contemporaneamente respingere l’abolizione della pena di morte (“La persona che compie il male può meritare la morte. Secondo gli esempi biblici, Dio stesso a volte infligge la pena, altre volte spinge altri a farlo.”). Dulles insiste sul fatto che, se la Chiesa si sente in dovere di ubbidire alla Scrittura e alla Tradizione sui temi del divorzio, aborto, omosessualità e sacerdozio femminile, sembra incoerente per i cattolici la proclamazione di una “rivoluzione morale” sul tema della pena capitale. Ha ragione. La sostituzione dell’articolo 2267 con quello contro la pena di morte, dimostra come la conoscenza di quella verità universale resta problematica anche per gli specialisti della stessa squadra. La precarietà della verità resterà sempre, anche in futuro, ogni volta che si introdurrà nel ragionamento la variabile  ”tempo”: il mutare del tempo e quindi della società, cultura, percezione del mondo e sua organizzazione consente di modificare il nostro concetto di verità, che diventa verità “storica”. Non a caso concludeva così il discorso di papa Francesco 11 ottobre 2017: “… (bisogna) far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi Pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana.” Caro Benedetto, se vuoi che noi uomini possiamo ancora avere un rapporto fresco, autentico, diretto con le parole di un altro uomo vissuto duemila anni fa e se desideri che esse continuino a risuonare in cuori che battono nel terzo millennio, dovresti abbandonare (costa fatica, lo sappiamo, accettare la morte dell’ideologia) la pretesa di tramutare quelle parole in un catalogo di formule, eterne certo, ma, direbbe un saggio, solo i fiori artificiali non muoiono mai.

(la foto dell’immagine in evidenza è tratta da geomusic.it)

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