Approfondimenti sul tema degli abusi sessuali nel clero

PRIMA PARTE  Il Sessantotto dei pedofili. E tutte le ragioni di Ratzinger https://www.aldomariavalli.it/2019/04/15/il-sessantotto-dei-pedofili-e-tutte-le-ragioni-di-ratzinger/  Questo è il titolo dell’articolo –firmato da A.M.Valli – il più approfondito, tra quelli che abbiamo letto, nella difesa della tesi del papa emerito anche perché presenta, nella parte finale, un secondo articolo, firmato Meotti, apparso nel 2013 e consistente soprattutto nella sintesi del dossier che il settimanale Der Spiegel aveva pubblicato sui legami tra la sinistra tedesca e la pedofilia.  Partiamo dall’articolo di Valli. E’ importante l’inizio: “Esponenti del progressismo e del modernismo nostrani hanno subissato di critiche Benedetto XVI per il suo testo sugli abusi sessuali nella Chiesa, nel quale Joseph Ratzinger fa risalire al clima folle del Sessantotto l’origine dello sdoganamento morale di omosessualità e pedofilia, con dirette conseguenze anche sui seminari e più in generale sulla Chiesa cattolica. “Non è vero che tutto incominciò nel Sessantotto, perché pedofilia e abusi c’erano anche prima. Anzi, il Sessantotto fu positivo perché lì si incominciò a infrangere il segreto. Le parole di Ratzinger sono strumentali” hanno detto progressisti e modernisti, stravolgendo, come loro solito, quanto sostenuto da Benedetto XVI. Il quale infatti ha affermato non che tali orrori non ci fossero anche prima, ma che nel ventennio dagli anni Sessanta agli anni Ottanta del secolo scorso furono legittimati nel quadro della “liberazione” morale e sessuale.” Sono state stravolte le parole di Benedetto XV? Gli è stato messo in bocca il fatto che “quegli orrori non c’erano anche prima”? Va bene, rileggiamo il suo scritto per trovare dove si si possa riconoscere, in maniera magari implicita, che il ventennio ha solo legittimato “orrori che c’erano anche prima”, che è la tesi di Valli.

Questo è il testo e ognuno si può documentare https://www.acistampa.com/story/la-chiesa-e-lo-scandalo-degli-abusi-sessuali-testo-integrale-11148   Nell’ introduzione Papa Ratzinger scrive: “In un primo punto tento molto brevemente di delineare in generale il contesto sociale della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile. Cerco di mostrare come negli anni ’60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare.Il contesto sociale della “questione” (primo eufemismo per indicare la pedofilia del clero cattolico) riguarda il contesto che ha generato la pedofilia, la quale altrimenti non si spiegherebbe perché non se ne potrebbe identificare la causa, secondo il papa emerito. Il contesto della pedofilia, che esploderà negli anni ottanta, è collocato storicamente nel ventennio 60-80, in cui inizia un processo “inaudito” in tema di liberazione sessuale. Non a caso la ricostruzione del papa emerito comincia, al punto 1, così: “I Il processo iniziato negli anni ’60 e la teologia morale 1La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità ….” Allora, ricapitoliamo: abbiamo un “Il processo, iniziato negli anni 60…” e subito dopo “La situazione ebbe inizio …”, concetti che, quasi con l’andamento lento della creazione biblica nella Genesi, indicano il big bang dell’apparizione del seme, da cui si svilupperà la mala pianta, cioè il sorgere della malattia nella morale comune da cui si svilupperà il cancro pedofilo. Per il papa emerito la pedofilia nasce quindi con il degrado della morale, degrado che parte dagli anni 60. La pedofilia del clero, come un tumore maligno, si è potuta annidare all’interno della Chiesa quando, attraverso l’accurata analisi eziologica del papa, il morbo ha avuto origine, intorno agli anni 60, per poi esplodere negli anni 80. Questo è quanto ci comunica il testo del papa emerito: nei decenni precedenti il paziente Chiesa non risulta malato; nessun accenno, negli appunti del papa, anche soltanto ad un raffreddore, tanto che un qualsiasi lettore, il quale dovesse documentarsi sulla “questione” (pedofilia nel clero) e dovesse usare solo gli “appunti” del papa emerito arriverebbe a concludere  che c’è stata una “situazione”(secondo eufemismo per indicare la pedofilia nel clero) e che questa “situazione” ha avuto una causa ben precisa, anche cronologicamente identificabile, gli anni ‘60. Chi allora “stravolge” le parole del papa emerito?

Eppure il papa conosceva bene uno dei più importanti casi di pedofilia della Chiesa cattolica, su cui si è scritto al punto tale da poter proporre le tesi di laurea, un caso clamoroso e rivelatore di come il deterioramento morale del ’68 non centri affatto con i problemi della Chiesa cattolica, che sono al suo interno e nascano dal suo interno. Si tratta del caso del cardinale Hans Hermann Groer – nato nel 1919 e prete dal 1942 – molto prima del 68 quindi –  la cui storia potete leggere in http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/7091.html . In sintesi, questo grande amico di papa Wojtyla, che prima lo nomina vescovo di Vienna, nel 1986, e poi nel 1988 cardinale, ebbe la malaugurata idea (e ci chiediamo stupiti con quale stato d’animo l’abbia fatto, anche se, dopo la lettura di “Sodoma” possiamo immaginare una possibile risposta) di predicare contro la sodomia e gli atti contro natura, nel marzo del 1995, dal pulpito della cattedrale di Santo Stefano a Vienna. Un ex alunno di Groer, Josef Hartmann, ne rimase indignato e allora raccontò sul settimanale viennese “Profil” che tra i peccatori per atti impuri doveva essere collocato anche il cardinal Groer. L’inchiesta che ne seguì, condotta dal giornalista Hubertus Czernin, ha consentito di indagare in profondità i fatti, che sono esposti nel libro “Das Buch Groer “: ebbene, a partire dagli anni 50, il cardinal Groer ha avuto relazioni sessuali con parecchie centinaia di bambini e ragazzi.  Il cardinal Groer non è stato processato perché i fatti erano caduti in prescrizione, ha comunque cercato di mantenere il suo incarico finchè il cardinale Schönborn e gli altri vescovi che compongono con lui il direttivo della Chiesa austriaca, nel 1998, dichiararono in un documento reso pubblico: ”Abbiamo la certezza morale che gli addebiti mossi all’arcivescovo emerito cardinal Hans Hermann Groer sono sostanzialmente veritieri….”  Il 16 aprile 1998 il cardinal Schonborn annunciava che, in osservanza alla richiesta del papa regnante Giovanni Paolo II, il cardinal Groer non si sarebbe più presentato come vescovo e cardinale e avrebbe lasciato l’Austria. Malato di cancro, è morto in un ospedale di Sankt Pölten, il 24 marzo 2003, all’età di 83 anni.  La sua vita viene così descritta nell’archivio vaticano, consultabile su internet:         https://press.vatican.va/content/salastampa/it/documentation/cardinali_biografie/cardinali_bio_groer_hh.html  E’ straordinario questo testo: non una parola sulla vicenda nera di Groer. Esempio mirabile di cancellazione delle tracce, una damnatio memoriae parziale. Allora dobbiamo sospettare di calunnia il direttivo della Chiesa austriaca, il cardinal Schonborn e i vescovi, che hanno espressamente accusato Groer aggiungendo nel loro comunicato: ” Dobbiamo sopportare il suo silenzio (di Groer) ma non possiamo personalmente tacere. Il silenzio, infatti, genera il sospetto che il buon nome di un cardinale sia più importante per la Chiesa del bene di giovani uomini. Vorremmo inoltre proteggere anche il Santo Padre dall’affermazione già pubblicamente espressa secondo cui egli tollererebbe un simile ambiguo comportamento”? Casi come quello del cardinal Groer, perfettamente noti a Papa Ratzinger, scompaiono dalla sua memoria, così come scompare ogni ombra sul suddetto cardinale dalla ricostruzione dell’archivio vaticano. Se il papa emerito avesse dovuto ammettere l’esistenza della pedofilia già prima degli anni ’60 avrebbe comunque potuto trovare una soluzione, una causa esterna alla Chiesa, pur non potendo, per una questioni cronologica, utilizzare ancora il ‘68: gli bastava accusare il famigerato modernismo dei primi del Novecento. E se avesse dovuto rintracciare la pedofilia anche nell’Ottocento avrebbe sempre potuto attingere al Sillabo e allora, tra Massoneria, Illuminismo, Liberalismo, Comunismo, ecc avrebbe solo avuto l’imbarazzo della scelta. 

L’articolo di Valli continua: “Chi accusa Benedetto XVI ignora poi il particolare punto di osservazione di Joseph Ratzinger. La Germania fu infatti l’epicentro di un autentico attacco di follia collettiva nell’ambito del quale si arrivò a un’alleanza tra esponenti della sinistra estrema e “militanti” della pedofilia.” Quindi l’esperienza tedesca nella sua degenerazione è stata l’origine della riflessione successiva condotta dal papa emerito, secondo Valli. Infatti, prosegue l’articolo “…pedofilia e omosessualità diventarono espressioni della “militanza” ideologica, ma certamente la Germania ebbe un ruolo di primissimo piano, il professor Joseph Ratzinger, che visse quel periodo dall’osservatorio dell’università (a Münster, Tubinga e Ratisbona), a differenza di molti altri, ha deciso di ricordare come andarono le cose.” 

E infatti il papa emerito parte, nei suoi “appunti”, proprio dalla sua esperienza diretta dei fatti, utilizza ciò che ha potuto vedere e capire di quel periodo per poterci rendere noti gli eventi più importanti, quelli che la sua memoria – quasi mezzo secolo dopo- ha conservato come maggiormente significativi nella diffusione della pedofilia, anzi, nella sua legittimazione. E quali sono i fatti che il papa emerito ci propone, sui quali meditare? Lo vedremo nella seconda parte.

SECONDA PARTE Il ’68 dei pedofili È quanto scriveva Giulio Meotti nel settembre 2013, in un articolo pubblicato da Il Foglio; nel testo l’autore riprende i contenuti di un dossier del settimanale tedesco Der Spiegel. La tipologia di indagine, prodotta dal giornale tedesco, indagine che si potrebbe condurre anche per molti altri contesti (il 68 e la scuola, il 68 e la fabbrica, il 68 e l’arte, ecc) ci condurrebbe – se eseguita in profondità, a tutto campo, in maniera storicamente fondata –  ad esaminare una polifonia di comportamenti umani, diversi in maniera graduale tra loro fino alla radicalità estrema, comportamenti originati dal fatto che, caduta la antica barriera delle prescrizioni obsolete, inutili e ormai arbitrarie che delimitavano e regolamentavano ogni campo delle attività sociali, decine di milioni di persone, in gran parte del mondo, si ritrovarono a dover definire la loro collocazione entro quegli spazi. E i comportamenti di queste masse presentavano molti elementi di somiglianza (in particolare il rifiuto della parte morta del passato), ma anche differenze, alcune volte molto accentuate.

L’eccesso è, a nostro parere, una caratteristica, predominante ma non esclusiva e neppure inevitabile, nella pratica sia individuale (basti pensare all’adolescenza/giovinezza) che collettiva, quando questa pratica esplora nuovi territori di esperienze di vita, per poterne determinare i rispettivi confini. L’eccesso significa cagionare inevitabilmente nuova sofferenza e nuovo dolore tra gli uomini. Il 68, con la sua ricerca e pratica della sessualità, ha prodotto anche l’eccesso. Soffermarsi tuttavia solo su di esso per voler confutare tutta la ricerca e la ricchezza che hanno caratterizzato quel periodo riguardo alla liberazione del corpo e alla ritrovata sessualità negata fino ad allora, vuol dire non fare storia e informazione storica, ma significa fare gli spazzini dei rifiuti. Significa raccogliere le scorie, che hanno provocato dolore e sofferenza nelle persone, ma che sono scorie e come tali vanno segnalate, non scambiate per l’intero corpo che le ha prodotte. Questa considerazione non diminuisce il patimento della vittima, l’ingiustizia della situazione che ha subito, la necessità di ricordare l’evento per non ripeterlo, il riconoscimento dell’offesa arrecata ed il risarcimento ad ogni livello possibile. Il dolore anche fosse di una sola persona merita rispetto e tutta la nostra considerazione. Il dolore di ogni persona non deve però servire per ricattare altre persone, cercando di ricacciarle nel passato mutilante e oramai inaccettabile da qui si erano allontanate; il ricatto consisterebbe nell’usare la pedofilia, che era stata agitata da una estrema minoranza, per riproporre le catene delle restrizioni sessuali ad una stragrande maggioranza di persone che hanno scelto di vivere in maniera “più” libera o comunque diversa la loro sessualità. 

L’articolo di Der Spiegel, ripreso da Meotti, è l’esempio di un collage di fatti totalmente decontestualizzati, e di cui non si coglie la dimensione reale nella vita delle persone. Quanto è stato incisivo e determinante il tema della pedofilia nella quotidianità di quella generazione, che in molte parti del mondo si ribellava ad una modalità, “innaturale” per loro, di praticare le relazioni umane? Quanto il tema della pedofilia ha condizionato la ricerca culturale, la ridefinizioni dei saperi dei giovani del 68? A questo non c’è risposta. Meotti tocca comunque tre realtà nazionali: quella tedesca, quella francese e quella americana. Vediamo solo la ricostruzione della realtà tedesca. La Germania post 68 viene descritta attraverso: una intervista ad Olaf Stüben;  cinque report del magazine Don; i Verdi che nel marzo 1985, approvarono un documento che chiedeva la legalizzazione del “sesso non violento” fra adulti e minori; l’intervento di Daniel Cohn-Bendit in merito al suo lavoro in un asilo; Volker Beck e un suo libro; Dagmar Döring e un suo saggio; il centro Libertà Rossa; la liberale Sabine Leutheusser-Schnarrenberger come membro del direttivo della Humanistische Union; un articolo del magazine Zitty; il libro La rivoluzione dell’educazione; il numero 17 della rivista Kursbuch;la comune socialista di Giesebrechtstrasse.  L’ultimo esempio riferito da Meotti: “Anche in una prestigiosa scuola legata all’Unesco ci furono abusi sessuali tra gli anni Settanta e Ottanta. Si tratta della Odenwald di Heppenheim, nota per il suo metodo pedagogico basato sul “libero sviluppo di ogni allievo”. Esempi diversi con livelli diversi di esposizione (l’intervento di Cohn-Bendit è di una ingenuità evidente, conoscendo il personaggio): sono indicatori di quella “cultura di idealismo fanatizzato e crudeltà che avrebbe partorito il Sessantotto” come scrive Meotti? Bisognerebbe chiederlo a coloro che non sono finiti sotto inchiesta: alle centinaia di istituti ed asili alternativi, alle migliaia di intellettuali che hanno partecipato attivamente al 68 e alle centinaia di migliaia di giovani tedeschi e non, che ne sono stati protagonisti.

Per quanto riguarda la Germania, dal suo osservatorio privilegiato, quali sono i fatti che il papa emerito ci propone e sui quali meditare, quelli più importanti perchè conservati nella sua mente in quanto emotivamente più coinvolgenti di tutti gli altri? In ordine di apparizione negli “appunti”: il film prodotto dal Ministero della salute sul tema della sessualità e rivolto alle giovani generazioni; la “valigia del sesso” la “Sexkoffer”, strumento di informazione per i giovani questa volta prodotto dal governo austriaco; i film pornografici proiettati in molti cinematografi compresi quelli delle stazioni; la coda di persone davanti ad un cinema a luci rosse, a Ratisbona; i manifesti hard, con le stesse parole del papa: “ …mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente.” (chissà se si trattava di persone di sesso diverso o dello stesso). Ancora: i film a sfondo sessuale proiettati sugli aerei di linea, fin tanto che la violenza degli spettatori eccitati non ha convinto le compagnie aeree a smettere (per i lettori, guardate non è una nostra invenzione, c’è scritto così e quindi ci poniamo una domanda: ma dove mai è successo il fatto che Benedetto XVI ricorda? Forse negli aerei privati di Hugh Hefner?); gli eccessi nel vestire che provocavano aggressività (forse le minigonne delle donne? I calzoni attillati a zampa di elefante dei maschi?); la necessità dell’intervento dei presidi per introdurre un abbigliamento scolastico (forse il grembiule per le ragazze) atto a favorire il clima di studio.

Due considerazioni: 1) Non è stata la ricostruzione compiuta da Der Spiegel sui legami tra riveste, intellettuali, centri educativi, ad impressionare la memoria di Benedetto XVI, che pure, sempre dal suo osservatorio privilegiato, avrebbe dovuto esserne stato al corrente, ma che evidentemente ha avuto altre più significative esperienze, esperienze che giustamente ci ha rammentato. 2) Il papa emerito ricorda solo e condanna innanzitutto una modalità di presentare/praticare il sesso tra un maschio e una femmina, magari eccessiva, magari sopra le righe, perfino imputabile di maschilismo (come nel caso dei film porno), ma questo modo di intendere il sesso che cosa c’entra con la pedofilia? Niente, tuttavia il fatto che il papa emerito lo stigmatizzi al punto di indicarlo come causa della pedofilia del clero è rivelatore di un modo di vedere il corpo umano, i gesti dell’amore fisico, l’eccitazione e il desiderio dell’altro, il piacere del contatto, tutto quanto alla luce dell’eccesso e della perversione innaturali. E’, invece, a nostro parere, malato e distorto il modo di vedere la sessualità di chi si porta ancora dentro di sé, dopo quasi cinquant’anni, come fosse una ferita recente non rimarginata, l’immagine di due persone che si abbracciano, nude. Il papa emerito, che mai, per quanto ci ha riferito, nella sua vita ha sperimentato queste esperienze direttamente, è invece cresciuto ed è vissuto convinto che la pratica umana riguardante la sessualità fosse quella che poi ha travasato nel suo Catechismo Universale del 1992, una sessualità da lui mai esercitata, ma conosciuta attraverso la dottrina della Chiesa. Ricordiamo questa dottrina, secondo ciò che il teologo Ratzinger ha più volte affermato, si ferma al IV secolo, epoca in cui raggiunge la sua compiutezza, basta solo integrarla ogni tanto, ma nella continuità. Oppure invece dobbiamo pensare che la sessualità tra uomo e donna, liberata dalla necessità procreativa e praticata per il piacere di entrambi, c’entri con la pedofilia. Perché dovrebbe centrare? Il papa emerito direbbe che dove esiste, come obiettivo, il piacere di un uomo e di una donna – e non quella legge particolare di Dio la quale impone, attraverso la “natura”, il fine della procreazione – non vi è un limite a questo piacere e, quindi, inevitabilmente vi sarà il peccato. Appare infatti in questo caso, necessariamente, l’abuso; nell’ideologia del papa addirittura coincidono, libertà sessuale uguale abuso; l’abuso è inscindibilmente legato alla libertà umana, come nel caso del fumo in rapporto all’eroina, della meringa col cioccolato in rapporto al diabete e all’obesità, del tango in rapporto alle gravidanze non desiderate, della lettura diretta della Bibbia in rapporto alla diffusione delle eresie. E possiamo a questo punto continuare con la rivendita libera delle posate in rapporto ai serial killer assassini col coltello, con l’esistenza in circa la metà del genere umano del membro virile in rapporto agli stupri, con la diffusione della straordinaria cucina siciliana in rapporto alla possibilità di morte per indigestione, come nel film di Marco Ferreri. Per coloro che intendono approfondire il tema, visto che altri aspetti importanti degli “appunti” del papa emerito sono stati da noi trascurati, consigliamo la voce di un intelligente cattolico, (“alquanto conservatore” si definisce), educato nell’Azione cattolica e tutt’ora militante. http://www.robertosedda.it/?p=16589 articolo “Orgoglio e pregiudizio”.

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