La logica del “buttare via la chiave”

Noi non siamo stati e non siamo favorevoli al “reddito di cittadinanza”. Non perché riteniamo che non si debbano dare sussidi a chi ne ha bisogno, ma perché non si devono dare a scapito della crescita e dello sviluppo, che sono i veri baluardi contro la povertà.
Ma lo sdegno,  o lo stupore o il disagio (di cui vi è traccia su molti giornali) suscitati dal fatto che una detenuta, Federica Saraceni, ex terrorista ora agli arresti domiciliari, disoccupata e con prole a carico, percepisca il sussidio denominato “reddito di cittadinanza” procurano a noi sincera indignazione per l’ipocrisia e la mancanza di una vera idea di giustizia sociale in tanti italiani, anche in italiani che si dichiarano  democratici e di sinistra.

Noi non abbiamo mai avuto e non abbiamo simpatia per i terroristi: persone che hanno commesso crimini gravissimi, che hanno ammazzato, e che lo Stato, giustamente, ha perseguito e condannato e che ora vivono la condizione di detenzione. Una condizione rispetto alla quale la nostra Costituzione dice che lo Stato deve comunque e sempre agire con senso di umanità e con l’obiettivo di rieducare il condannato per reinserirlo nella società. Non con la logica del “buttare via la chiave”.

Contro questa logica, con tutta evidenza presente in coloro che sul caso dell’ex terrorista Saraceni  hanno gridato allo scandalo ma anche in chi si è limitato ad esprimere un certo disagio, il quotidiano Il Foglio del 2 Ottobre ha pubblicato, a firma del filosofo Massimo Adinolfi, un articolo certamente fuori dal coro: “E allora dite che un’assassina può morire di fame, lei e tutta la sua stirpe”.
Un articolo che ci fa anche riflettere su una realtà a dir poco sconfortante: molte persone che hanno espresso apprezzamento per il “reddito di cittadinanza” in realtà del concetto di cittadinanza mostrano di avere poca cognizione.
Dell’articolo di Massimo Adinolfi riportiamo la parte che ci sembra, in tal senso, più significativa:

… probabilmente, il solo fatto che Federica Saraceni non sia rinchiusa in qualche gattabuia desta rabbia, in coloro per i quali il reinserimento e la finalità rieducativa sono tutte stronzate (scritte, però, nella Costituzione). In questo caso, la legge considera che una persona in determinate condizioni economiche, a più di dieci anni di distanza dalla sentenza, può essere fatta oggetto di certe politiche di assistenza. Il presidente dell’Inps ha confermato: i requisiti di indigenza sussistono; per questo, a meno che non si ritenga sia giusto che un’ex terrorista versi in condizione di povertà, insieme con la sua prole maledetta, a meno di non avere una concezione vendicativa della giustizia penale, che si riverberi anche sulle condizioni economiche e sociali, non riesco a vedere nulla di sbagliato in tutto ciò. Vedo al contrario qualcosa di nobile, che fa la superiorità etica dello Stato sulla stupida violenza criminale. Ma certo, lo hanno chiamato reddito di cittadinanza e ora si accorgono che non avevano le idee chiare su cosa significasse cittadinanza: quali obblighi, quali doveri ma anche quali diritti. Non è la sola cosa su cui non avevano le idee chiare, quando, con l’introduzione del reddito, hanno addirittura abolito la povertà (così disse l’attuale ministro degli esteri, che la Farnesina l’abbia in gloria). Ma questa è un’altra storia, e non è il caso di rifarla qui, dove si parla di diritti, dignità, umanità: queste sconosciute. Certo, è un paradosso che il reddito vada a chi ha ucciso un uomo la cui missione di studioso fu quella di aiutare i bisognosi. Ma è un paradosso che squassa la coscienza di chi commise quel delitto, ma che uno Stato può e deve invece rivendicare a suo merito. Non vergognarsene, come purtroppo sta accadendo.

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