INSEGNARE E APPRENDERE
Verso il cerchio

Nel documento delle 95 tesi (che abbiamo presentato in un precedente post) il collettivo Rinascimento Studentesco del Piemonte ha indicato in quale direzione a suo avviso dovrebbe avvenire il cambiamento nella scuola italiana.
Tra quelle tesi  ve ne sono alcune che richiamano l’attenzione sulla cruciale questione dell’apprendimento e, di conseguenza, sui metodi di insegnamento. Si tratta, in particolare, dei seguenti enunciati:

  • Un sistema di valutazione che non riduca lo studente a un voto (estendere a ogni ordine e grado la nuova metodologia delle elementari)
  • Integrare sistematicamente i programmi, diminuendo la frontalità delle lezioni, con gite scolastiche, musei e conferenze
  • Disposizione delle classi più inclusiva e coinvolgente possibile, allontanarsi dalla “retta” per andare verso il “cerchio”
  • Insegnare, già dalle elementari, a lavorare sul proprio metodo di studio
  • Abituare fin dalle elementari a lavorare in gruppo e confrontarsi
  • Ridisegnare l’esame di maturità (anche in seguito a una rivalutazione dei programmi) in modo che gli studenti, durante il suo svolgimento, possano fare emergere non solo le competenze, ma anche le peculiarità del percorso di crescita a cui sono andati incontro.
  • Assumere e formare pedagogisti che integrino l’aspetto umano relativo all’educazione, seguendo soprattutto le parti relative alle metodologie di apprendimento
  • Mai più lezioni registrate: la didattica presuppone la presenza dell’insegnante in real time
  • Una scuola in cui, per dirla come Plutarco, la mente (dello studente) non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, ha bisogno di una scintilla che l’accenda e che vi infonda l’impulso alla ricerca e il desiderio della verità
  • Valutazione dell’arredo di cui devono essere dotate le classi in base alle esigenze dell’apprendimento
  • Ripensare l’attività didattica e ridurre i tempi della spiegazione frontale tenendo conto dei tempi medi di attenzione (il picco si ha tra i 10 e i 15 minuti per azzerarsi poi dopo i 40)
  • Le ore devono essere divise in cicli nei quali l’insegnamento passivo venga alternato, con criterio, all’insegnamento attivo.

Questioni relative al modo di studiare e di insegnare sono implicate anche in vari altri enunciati del documento studentesco, ma quelli riportati sono a nostro avviso i più significativi.

Il principale imputato è la scuola centrata sulla linea retta piuttosto che sul cerchio, che si preoccupa più di trasmettere nozioni che di stimolare la formazione di un pensiero critico attraverso la ricerca, la riflessione e il confronto di idee, e nella quale, di conseguenza, il principale sistema di valutazione è quello che riduce lo studente a un voto.

Nella scuola in cui prevale la spiegazione frontale e l’insegnamento passivo (cioè l’insegnamento che induce passività) l’idea che si ha dell’apprendimento è quella efficacemente rappresentata nel film “La scuola” del regista Daniele Luchetti. In una delle scene relative alla fase finale dell’anno scolastico, il prof di italiano spiega ai suoi colleghi perché l’alunno Astariti è da lui considerato il migliore: “Interrogato, si dispone a lato della cattedra, senza libri, senza appunti, senza imbrogli; ripete la lezione senza pause, tutto quello che mi è uscito di bocca, tutto il fedele rispecchiamento di un anno di lavoro. Alla fine gli metto 8“.

Invece, come dicono ormai da molti anni tutte le moderne ricerche pedagogiche e le neuroscienze, la lezione frontale (che fondamentalmente consiste nella spiegazione da parte dell’insegnante di quanto è contenuto nel libro di testo cui segue lo studio individuale da parte dello studente per cercare di memorizzare quei contenuti e quelle spiegazioni) non è il metodo migliore per apprendere, tutt’altro. La lezione frontale richiede molta capacità di attenzione (che ha però una durata costante piuttosto limitata -circa dieci minuti- cui seguono alti e bassi differenti da individuo a individuo) e lo studio individuale non attiva tutta una serie di processi mentali che di solito richiedono (per essere appunto attivati) l’interazione sociale. Inoltre la condizione di passività nella quale è posto chi assiste ad una siffatta lezione non porta a sfruttare al meglio un altro importante fattore di apprendimento: l’imparare facendo.

Tuttavia stentano ad entrare nelle nostre aule scolastiche, o vi entrano solo in modo marginale, le metodologie che privilegiano i contesti sociali dell’apprendimento e che sono alla base del modo in cui normalmente ogni persona costruisce le proprie competenze. Metodologie, tanto per fare un esempio concreto, come quella dell’”apprendistato cognitivo” elaborata sul modello di apprendimento praticato nelle botteghe artigiane, basata sul principio che si impara e si acquisiscono competenze osservando e imitando gli altri, per prova ed errore, con l’aiuto di chi é più esperto, che guida l’apprendente a diventare esperto a sua volta (e questo non vale solo per imparare a cucire un vestito o a modellare un paio di scarpe ma anche, ad esempio, per imparare a imbastire un buon testo argomentativo).

Ma al di la dei tanti esempi che si potrebbero portare a sostegno del fatto che la moderna ricerca pedagogica offre concrete indicazioni su come innovare l’approccio metodologico, l’orientamento generale va nella stessa direzione indicata anche dagli studenti torinesi, quella di puntare ad una didattica che dia più spazio all’insegnamento attivo: da un lato riducendo i tempi della spiegazione frontale e dall’altro abituando fin dalle elementari a lavorare in gruppo e confrontarsi.

Abituarsi a lavorare in gruppo e confrontarsi sviluppa l’autonomia e la capacità di autodirigere le proprie esperienze di apprendimento. Questa capacità può favorire il formarsi dell’attitudine a ricercare e realizzare esperienze di apprendimento anche in futuro, lungo tutto il corso della propria vita.
Quindi la vecchia impostazione che predilige lo studio in solitario, senza la collaborazione dei compagni di classe, dovrebbe essere considerata fuori contesto nelle aule scolastiche e dovrebbe essere considerato fuori contesto anche escogitare tecniche per impedire di “copiare”.

L’dea di apprendimento oggi ancora prevalente segna il contesto che rende possibili episodi come quello avvenuto alcuni giorni fa a Verona: una ragazza costretta a presentarsi sola e bendata ad una interrogazione online. Il segno di quanto la vecchia concezione della scuola sia ancora molto radicata è dato anche dal fatto che  nonostante la ragazza abbia dichiarato di essersi sentita umiliata non ha avuto la piena solidarietà di tutti. Il mondo della scuola ufficiale, rappresentato dalla direttrice scolastica regionale del Veneto, ha derubricato il caso come “eccesso di zelo”(!). Una cosa è certa, in una scuola come quella auspicata nelle 95 tesi, un caso come quello di Verona non si sarebbe potuto verificare.

La difficoltà che la scuola italiana mostra di avere nell’attuare significativi cambiamenti in campo metodologico sembra essere ben chiara agli studenti piemontesi. Tanto è vero che nelle loro tesi si legge:

  • “Istituire un sistema di valutazione periodica dei docenti, per la tutela della qualità dell’insegnamento e ai fini della progressione di carriera, con una commissione composta da professionisti competenti”.
  • “Il 100% dei docenti di sostegno deve essere specializzato”.
    “Rendere obbligatori i corsi di aggiornamento in ambito pedagogico e contenutistico, al fine di rimanere sempre al passo con i bisogni delle nuove generazioni”.
  • “Assumere e formare pedagogisti che integrino l’aspetto umano relativo all’educazione, seguendo soprattutto le parti relative alle metodologie di apprendimento”.

L’immagine in evidenza è tratta da: sirianni.it
Le altre immagini sono tratte, nell’ordine, da: bonculture.it; campustore.it; youreduaction.it; indire.it; istitutoeuroarabo.it; learning.licolife.com; huffingtonpost.it

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