I cattolici tradizionalisti /3

La “continuità” tra il Vaticano II e la Chiesa del pre concilio si può quindi rinvenire, secondo il teologo Ratzinger, nella sintonia col “patrimonio profondo” rappresentato dal messaggio di Gesù in Matteo 22,21 e dalla Chiesa dei martiri.
Sull’insegnamento di Gesù:
il papa emerito si riferisce al famoso “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” di Matteo 22,21, concetto che sintetizzerebbe la concezione di Gesù, favorevole allo Stato non confessionale e alla libertà di praticare ogni religione. Questa frase o qualsiasi altra di Gesù, a nostro parere, lasciano immutato il problema dell’origine della tolleranza religiosa. Attribuire a Gesù anche l’obiettivo di garantire a tutte le fedi la libertà di esprimersi sarebbe come fargli sostenere anche la libertà di stampa, il diritto all’istruzione per tutti, i principi della democrazia rappresentativa e via discorrendo. Benedetto XVI realizza la stessa operazione di forzatura compiuta da almeno una corrente della Teologia della Liberazione, da lui fortemente criticata per aver decontestualizzato le parole di Gesù e per averne anacronisticamente interpretato il messaggio in chiave di rivoluzione sociale. Certamente, come insegna Umberto Eco, è possibile ad un teologo ardito, partendo da una frase e attraverso una sequenza creativa di collegamenti, arrivare a sostenere che Gesù ha anticipato nel suo operato le conquiste civili, culturali e politiche dell’umanità del Terzo Millennio, compresa la richiesta di sviluppo sociale eco sostenibile e la battaglia contro l’inquinamento e lo smog, ma questa è una operazione che possiamo fare noi oggi, col senno di poi, e non è una interpretazione, ma una misinterpretazione, una forzature del testo. Gesù non ha prioritariamente né pensato né tanto meno enunciato i moderni diritti civili perchè il suo messaggio riguardava la “buona novella”, la speranza e la salvezza delle anime. Comunque non dobbiamo essere noi ad insegnare a Benedetto XVI che, per quasi due millenni, i suoi predecessori papi, assieme ai vescovi e al clero in generale, tutti costoro hanno letto le parole e il messaggio di Gesù, compreso il Matteo 22, interpretandoli in direzione opposta alla libertà religiosa; essi hanno purtroppo insegnato ai fedeli questa loro esegesi, che affermava la distinzione Stato-Chiesa (come si sostiene, a loro parere, in Matteo 22,21) ma non la separazione. In altre parole lo Stato interviene in un ambito distinto da quello della Chiesa, ma non è mai disgiunto dalla Chiesa, che ne costituisce il coronamento ideale. Ancora oggi vescovi e clero tradizionalisti continuano a ricordare e a ripetere, come si faceva prima del Vaticano II, che Gesù Cristo stesso fondò una Chiesa, che sappiamo dalla Scrittura, dalla Tradizione e dalla storia, essere la Chiesa Cattolica e che a questa Chiesa Cristo diede la sua propria Divina Autorità “di insegnare a tutte le nazioni”: “Come il Padre ha inviato Me, anch’io mando voi” (Giov. 20:21) e “Chi ascolta voi, ascolta Me” (Luca 10:16) e “Andate, perciò, e insegnate a tutte le nazioni… insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho comandato ed ecco Io sono con voi tutti i giorni, fino alla consumazione del mondo” (Matt. 28:19-20). A parere di costoro, dal punto di vista veramente cristiano, ossia cattolico, non può esistere uno Stato che sia neutrale ed imparziale rispetto alla religione e quindi indifferente a Cristo. Oggi come ieri i Tradizionalisti ci ricordano che il Signore stesso ha ammonito: “Chi non è con me è contro di Me e chi non raccoglie con Me disperde” e usano queste parole così come venivano usate da Pio VI, Pio VII, Pio VIII, Pio IX, San Pio X ecc, cioè per impedire o per denunciare la pratica della libertà di fede. Ciò vuol dire che lo stesso Vangelo non garantisce un messaggio univoco, ancor meno affiancandolo alla Tradizione che, per esempio, nel caso della libertà religiosa, resta totalmente in disaccordo con la “Dignitatis humanae” e con i papi del post concilio. Non c’è alcuna continuità a livello di interpretazione dei testi, ma semmai un completo dissenso all’interno della Chiesa, visto che le conclusioni a cui sono arrivati tutti (tutti!) i pontefici che hanno affrontato il tema prima del 1965 erano opposte a quelle dei papi successivi alla data fatidica. Lo stesso Benedetto XVI, quasi ipnotizzato oramai dal movimento del pendolo di continuità-discontinuità, lo ammette involontariamente:

Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità.”

Con la discontinuità storica, cioè con la fine dello stato integralista e l’accettazione della tolleranza religiosa, il Vaticano II ha permesso di “mantenere e approfondire” la “intima natura e vera identità” della Chiesa. Ne risulta che durante i secoli in cui la Gerarchia ecclesiastica dichiarava esattamente l’opposto, cioè la concezione teorica dello Stato cattolico, e agiva sostenendola, diffondendola e praticandola, essa ha perciò alterato l’ecclesia di Cristo della quale veniva, per così dire, offuscata la sua ”intima natura e la vera identità”? E questo fatto, l’oscuramento della intima natura e dell’identità vera, non mette forse in rilievo una concezione deformata non solo del rapporto politico con gli Stati ed i governi (elemento contingente di fronte all’immutabilità di etica e morale), ma anche una visione stravolta del messaggio complessivo di Gesù, che invece sarebbe conforme o almeno più vicino all’interpretazione della “Dignitatis Humanae” secondo Benedetto XVI? Per il papa emerito la dottrina del Vaticano II sulla libertà religiosa implica semplicemente, si potrebbe dire, soltanto un riorientamento della dottrina sociale della Chiesa, cioè una correzione del suo insegnamento sulla funzione dello stato, il che non rappresenta materia di dogma. Benedetto XVI infatti si preoccupa del mantenimento formale dell’intangibilità dei dogmi (infallibilità e assistenza dello Spirito) che, in questo modo, secondo lui, non vengono toccati, la Chiesa resta sempre, nei secoli, sostenuta dallo Spirito Santo, il Papato rimane infallibile su questioni di fede e morale, e il Cattolicesimo, nel corso del tempo, non perde mai il filo di collegamento coi principi fondamentali del messaggio di Cristo (si tratta della Chiesa immaginata dai tradizionalisti). Questa tuttavia è solo una bella ma inconsistente favola perchè intanto il vangelo di Gesù – a causa dell’imposizione dello stato cattolico, della discriminazione nei confronti delle fedi altrui e la loro ostracizzazione, dell’esaltazione dello spirito “crociato” nella difesa e diffusione dell’unica verità, e a causa della contrapposizione con le varie religioni “come le chiamano” (l’ecumenico Leone XIII!) – subiva un gigantesco travisamento, a motivo dello spirito di divisione e di conflitto che veniva predicato tra i fedeli.  Proprio il popolo cattolico cresceva così, educato all’ ignoranza, all’intolleranza e al fanatismo e si comportava in coerenza. La posizione del papa emerito ricorda l’atteggiamento dei farisei del Vangelo, attenti all’osservanza delle norme, ma lontani dalla consapevolezza delle conseguenze reali del loro agire su di se e sugli altri. Per secoli le masse cristiane, gli uomini e le donne del medioevo e dell’età moderna hanno assorbito e interiorizzato prediche, sermoni, storie, insegnamenti che, nel nome di Cristo, negavano quello che oggi viene riconosciuto come un diritto stabilito da Dio stesso. Quando si valutassero gli effetti in termini di relazioni umane alterate e di intolleranza diffusa ed esasperata, quando si dovesse calcolare quante tossine ideologiche sono state somministrate ai fedeli cattolici e da loro interiorizzate e condivise, e quante azioni riprovevoli sono state compiute con la santa giustificazione che “l’errore non ha diritti”, allora si potrebbe registrare anche il danno prodotto dalla negazione della libertà religiosa, oltre che nella visione distorta, ma contingente perchè politica (come sostiene Benedetto XVI), del rapporto Stato/Chiesa, anche e soprattutto nei termini di decadimento e abbruttimento della morale individuale. Per quanto riguarda l’Italia, ci è sufficiente ricordare l’ultima richiesta di perdono, avanzata da papa Francesco a nome della Chiesa Cattolica, alla Chiesa Valdese, per i soprusi e le stragi di cui è stata vittima innocente, per le tante persecuzioni che ha subito da parte dei cattolici e del loro clero, condotte in nome della negazione al diritto (oggi “sacrosanto”) alla libertà religiosa.

Sulla Chiesa dei martiri:
il sacrificio dei martiri rappresenta, secondo Benedetto XVI, la prova storico/sociale, ben visibile ed accertabile, della continuità tra la Chiesa delle origini (quella pre costantiniana, perché dopo cambierà la sua natura, a parere dello stesso Martin Rhonheimer, nel documento già citato) e la Chiesa del Vaticano II. Esso è una testimonianza inconfutabile, ma unica. Il papa non ha trovato altri elementi a sostegno della sua tesi, ma questo è tuttavia sufficiente. Attraverso le storie dei martiri Benedetto XVI intende stabilire il collegamento, da una parte, tra il messaggio della “Dignitatis Humanae” e, dall’altra parte, l’azione concreta della Chiesa dei primi secoli, che, con la morte dei martiri, testimoniava l’adesione alla libertà religiosa e se ne faceva portavoce. Chiarito questa assunto, il teologo Ratzinger conclude la sua difesa della “continuità” tra il Vaticano II e gli antichi principi immutabili della fede.
Che i martiri della Chiesa antica siano morti per la libertà di professare la propria fede è un fatto accertato. Benedetto XVI ne deduce che i martiri hanno quindi versato il proprio sangue per rivendicare la libertà di praticare la religione, ogni religione. Questo è il solito salto logico che il papa compie, un corto circuito in cui egli passa da un dato circoscritto con un obiettivo limitato (il martire muore perché vuole manifestare la propria fede e ne è impedito) ad un obiettivo generale (il martire muore perché vuole la libertà per tutte le fedi). Il principio della libertà di culto “appartiene al patrimonio più profondo della Chiesa” scrive Benedetto XVI e l’attuale Chiesa, rivendicando il diritto alla libertà religiosa, si trova “in perfetta sintonia con la Chiesa dei martiri…”. Tuttavia questo “patrimonio”, comune alla Chiesa delle origini e a quella attuale del post Concilio, si trova talmente in profondità che non siamo riusciti a scovarne traccia nella documentazione storica esaminata. Eppure esso è decisivo per poter sostenere l’ “ermeneutica della riforma e della continuità”, in quanto il cuore, il principio centrale, il nocciolo teorico su cui si fonda la “continuità” dell’azione della Chiesa in merito alla libertà religiosa è proprio questo “patrimonio”, – ripetiamo –  il fatto che il martire si sia sacrificato per la libertà di poter praticare non solo la sua fede ma per consentire ad ogni fede (quindi anche al tanto esecrato paganesimo) di poter essere esercitata liberamente. Questo obiettivo, accettato in consapevolezza dai martiri (altrimenti diventa solo la proiezione del nostro punto di vista su un evento del passato remoto, proiezione già compiuta da Benedetto XVI nell’attribuire a Gesù la promozione della libertà religiosa), verrebbe a segnalare che, ancor prima dell’Illuminismo e dei filosofi liberali, furono i proto martiri cristiani, all’epoca delle grandi persecuzioni fino all’ultima terribile di Diocleziano del 303-305, furono costoro che affermarono, già allora, il moderno diritto alla tolleranza religiosa, sacrificando la propria vita anche in suo nome.  Benedetto XVI fonda, nel caso della libertà religiosa, la sua “ermeneutica della continuità” dei principi sempiterni e fondamentali (quale il diritto naturale alla libertà religiosa), che sono accolti e garantiti in ogni momento della plurimillenaria esistenza della Chiesa Cattolica, fonda il suo modello interpretativo sulla rivendicazione dei martiri cristiani, che si sono immolati per la libertà di tutte le fedi. Bisognerebbe tuttavia che il papa emerito rispondesse a qualche interrogativo. Quando mai un martire è stato tale, perseguendo anche il movente della libertà religiosa per gli altri culti? Dove è successo? Quali prove Benedetto XVI può fornire, magari con una nota a piè di pagina?
Nessuna prova storica, su questo punto centrale il papa emerito sorvola. Consultiamo le vite dei martiri, le ricostruzioni successive alla loro morte, le agiografie varie: troveremo, soltanto e sempre, registrato che, da parte dei martiri, vi era un comportamento simile e spesso identico. Esso era caratterizzato da una fede alcune volte a tal punto esaltata da voler correre alla morte, ricercandola espressamente e anelandola (la stessa Chiesa ufficiale dichiarerà in seguito un simile atteggiamento, quando eccessivo, peccaminoso), da un totale disprezzo per ogni altra modalità religiosa che non fosse quella cristiana, l’unica che poteva attribuirsi meritatamente il nome di “religione”, e infine dal desiderio, spesso manifestato fino all’ultimo respiro, di voler convertire i presenti e tutto il mondo al vero Dio. Per i primi cristiani l’integralismo era l’unico modo di leggere la realtà religiosa circostante: intorno a loro esistevano solo superstizioni, magie, riti diabolici, miti e leggende fantasiose e, nel caso degli ebrei, il deicidio. Il loro cristianesimo era incomparabile rispetto alle altre fedi che infatti non erano riconosciute tali, e soprattutto incompatibile con la loro presenza. Dio aveva parlato attraverso Gesù ed era chiaro ed evidente che l’unica dottrina, rivelata direttamente dalla Realtà Prima, era il Cristianesimo. Il resto era frutto della mente umana nei casi migliori, del demonio nei peggiori. Mai un antico martire cristiano (d’altronde il contesto storico e l’assetto culturale corrispondente non lo consentivano) avrebbe posto sullo stesso piano le sue credenze e i suoi riti con quelli altrui e mai avrebbe considerato un diritto naturale (di origine divina, figuriamoci poi!) quello di potere esercitare altre pratiche che non fossero quelle riferite al culto cristiano, l’unica “religione” a cui attribuire tale nome.

Cerchiamo tuttavia, a conferma del ragionamento del teologo Ratzinger, almeno un elemento col quale si possa sostenere che anche la libertà religiosa – per tutte le fedi – rappresentava una componente della scelta del cristiano. Un elemento c’è, almeno uno, in Tertulliano con l’opera Apologeticum (197 d.C).   Martire non lo è stato ma ha commentato in profondità le scelte dei martiri del suo tempo, le motivazioni della loro sofferta decisione, la discriminazione da parte dell’Impero nei confronti del Cristianesimo. Nel capitolo 24, paragrafo 6, Tertulliano, dopo aver descritto e criticato le persecuzioni contro i cristiani, basate su una irragionevole ostilità nei loro confronti, paragona la loro sorte atroce alla libera facoltà che hanno tutti gli altri riti (anche i più ridicoli e stravaganti) di essere, senza minacce e ostacoli, osservati e praticati dai loro fedeli. Ecco quindi come nasce la famosa frase sulla soppressione della “libertà religiosa” nei confronti dei cristiani, visto che tutti gli altri culti, falsi, bugiardi, grotteschi (“fatue superstizioni” li definisce Tertulliano) sono leciti. Purtroppo il contenuto di tutto il ragionamento del “Apologeticum” non c’entra per nulla col diritto moderno alla libertà religiosa: esso conferma invece che lo scopo della perorazione di Tertulliano (e dei martiri) riguarda la messa in luce della contraddizione tra il garantire alla menzogna di esprimersi e il negare questa libertà alla Verità. Semmai la prospettiva di Tertulliano, proprio in base a tutto il suo ragionamento, diventa quella contraria alla “libertà di religione” per gli altri culti, diviene quella di voler abolire gli altri riti, nefasti e fasulli (tutti i rituali pagani di cui non ne salva uno), di metterli fuori legge e finalmente di garantire, da parte dello Stato, la libertà all’unica fede, all’unica religione che era appunto tale. Il pensiero complessivo di Tertulliano e la sua richiesta di libertà religiosa (per i cristiani) implicano senza alcun dubbio la soppressione di ogni superstizione (le altre “religioni”) e l’ipoteca cristiana sullo Stato.  Le speranze di Tertulliano si realizzeranno già in parte con Costantino e, subito dopo, totalmente con i suoi successori, senza che la Chiesa si opponesse, anche soltanto a parole, alla religione –cattolica- di stato e all’eliminazione per legge delle pratiche altrui. Bisognerà attendere il 1965: diciassette secoli. Speriamo di non aspettare tanto a lungo per la fine del mito della “infallibilità”. Ernst-Wolfang Böckenförde, uno dei massimi esperti di giurisprudenza (1930-2019): «Si deve riconoscere che, storicamente, questo tema (la libertà religiosa) non deve la sua origine né ai teologi né al diritto naturale insegnato dalle chiese, ma agli stati moderni ed al diritto nazionale». Citazione ripresa da ”Humanities”, articolo di Antonio Spadaro, da cui sono tratte le conclusioni della nostra indagine.

CONCLUSIONE.
“L’ermeneutica della continuità” ha cercato di armonizzare quattro elementi inconciliabili: il Vangelo, la Tradizione, la storia della Chiesa, il Concilio Vaticano II; in questo tentativo ha usato artifizi retorici, salti logici e inesattezze storiche, pur di giungere al risultato desiderato. Noi abbiamo la conferma che l’infallibilità non è di questo mondo. I tradizionalisti si mettano l’animo in pace: gli umani devono assumersi la responsabilità di scegliere, senza delegare.
La conclusione va concessa ad alcune brevi considerazioni, tratte dal lungo e ottimo intervento -già citato- di Antonio Spadaro, gesuita, teologo e saggista italiano, attuale direttore della rivista “La Civiltà Cattolica”.  

“…dalla Dignitatis humanae, cambiarono molte cose nel cattolicesimo. Cambiò un certo modo di pensare ispirato alla condanna, alla contrapposizione. Cambiarono i rapporti con le Chiese cristiane, e con le altre religioni, rapporti ora caratterizzati dal dialogo, dalla comprensione reciproca, dalla tolleranza.Cambiò l’atteggiamento verso gli Stati, chiudendo così l’epoca dei compromessi, dei Concordati intrisi di privilegi. Ma ancora più importante, per il fatto di avere assunto nella sua stessa missione la difesa e la promozione dei diritti umani,la Chiesa poté così riappropriarsi – come di un ideale “naturalmente” evangelico, cristiano – di quei principi umanitari che per lungo tempo erano stati appannaggio esclusivo dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese.”

Sono parole equilibrate che indicano con chiarezza la trasformazione profonda della Chiesa uscita dal Vaticano II, in grado di confrontarsi, senza più demonizzarli, con l’Illuminismo e le filosofie laiche (ma non per opera dei papi Woytila e Ratzinger). E questo radicale cambiamento, anche nella mentalità del popolo dei credenti, nella loro percezione delle altre fedi, segnala quanto invece fosse distante, arcaico, retrogrado il comportamento che animava le masse cattoliche del pre concilio e quanta ostilità e contrapposizioni inutili e dannose, quante lacerazioni nell’etica abbia creato l’aver insegnato e predicato quell’atteggiamento esclusivista e negatore dell’altrui fedi. Continua Spadaro:

Da allora, a motivo di questa rinnovata credibilità, la Chiesa è stata in grado di esercitare una forte pressione sull’opinione pubblica internazionale; e, quindi, di alzare la voce, una voce sempre più autorevole, per chiedere il rispetto dei diritti umani e, in particolare, della libertà religiosa. Ed ecco perché quelle parole della Dignitatis humanae – parole rivoluzionarie, coraggiose – acquistano oggi, specialmente oggi, una nuova pressante e drammatica attualità. Perché, proprio in forza della libertà che reclamano per le coscienze, quelle parole denuncianola perversione di quanti pretenderebbero di usare il “nome” di Dio per spegnere questa libertà nel cuore degli uomini.”

Condividiamo pienamente il fatto che mai prima di allora “parole rivoluzionarie, coraggiose” vennero pronunciate e diffuse nel mondo cattolico. E’ stata la fine di un epoca e l’inizio di un’altra con un cambiamento del punto di vista in cui

“…l’innovazione maggiore fu il punto di partenza: non più la libertà di coscienza individuale, né la necessità dello Stato di legiferare anche sulle materie religiose, né la convinzione della Chiesa di dover annunciare la verità. Questa verità veniva ovviamente riaffermata, ma il punto di partenza era la dignità della persona umana…”.

Molti, ma non Benedetto XVI e i suoi estimatori, riconoscerebbero che è stato un vero e proprio mutamento di paradigma.

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