Gigi

le sue radici e il suo cosmopolitismo

È possibile mantenere un legame stretto con l’ambiente in cui si vive, con i suoi usi, costumi e tradizioni e nello stesso tempo essere aperti e curiosi rispetto al nuovo, che arriva attraverso gli uomini e le donne di terre lontane con i loro diversi usi, costumi e tradizioni? È immaginabile apprezzare e praticare il dialetto in cui si è cresciuti, la alimentazione “mediterranea”, la musica occidentale e contemporaneamente ascoltare e “dialogare” con il resto del grande mondo, l’Africa, l’Asia, le Americhe? Forse nelle città, ma nei piccoli paesini del lunghissimo litorale italiano, semi spopolati, con una ripresa turistica prevalentemente estiva?

Fa parte di questi centri minuscoli Montemarcello (provincia di La Spezia), poco più di un centinaio di persone, su una altura a 260 metri, sopra gli spiaggioni e scogliere del mare Tirreno; Montemarcello si anima nei mesi estivi quando il turismo favorisce la proposta di attività culturali che da anni oramai sono gestite prevalentemente da politici e opinionisti della destra (ad agosto sono intervenuti Carfagna, Santanchè, Belpietro, ecc).

Qui, da molto tempo, abita Luigi Bogazzi – un nostro caro amico di percorsi esistenziali e di passeggiate sulla battigia – nella cui “microstoria” – come ci ha insegnato Carlo Ginzburg – è possibile rilevare quelle caratteristiche che, sulla superficie del grande lago degli esseri anonimi e ignoti alla storia ufficiale, costituiscono le increspature che sono sintomi ed espressione di una vitalità sotterranea e di un movimento originale. Luigi, ogni anno, raccoglie o acquista piccole quantità di frutta di stagione non trattata, poi la prepara nella sua casa come l’artigiano medioevale, con un lungo lavoro manuale e con una tecnica personale elaborata attraverso l’esperienza, trasformandola e, infine, realizza la personalizzazione finale delle confezioni di squisite gelatine e marmellate di frutta. E’ una attività che richiede scrupolo e attenzione nella esecuzione del lavoro, accanto al coinvolgimento e al piacere per le diverse fasi della preparazione. Le sue conserve sono l’esempio di una “conservazione” necessaria e utile perché “la tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.

E’ tuttavia dell’altra passione di Luigi Bogazzi che vogliamo scrivere, quella che lo porta ad essere interprete della contemporaneità e del villaggio globale: la fotografia. Luigi è un cultore dell’immagine, soprattutto di migranti e persone straniere colti nell’immediatezza naturale della loro quotidianità. Egli sostiene che la fotografia ha un merito fondamentale, il potere di fermare il tempo e consentire di apprezzare l’istante, quando invece spesso, troppo spesso la vita delle persone viene da loro disattesa per le continue ed ossessive rivisitazioni del proprio passato e per le paure/speranze riposte nel futuro, quindi dimenticando, in questa oscillazione mentale avanti ed indietro, la realtà inestimabile del momento presente. La fotografia costringe, quando coglie l’unicità di un evento, a soffermarci per gustare fino in fondo quel singolo istante dello scorrere dell’esistenza. Una fotografia riuscita, sostiene Luigi, ci riporta o ci educa ad apprezzare il senso ultimo della vita che non consiste in una risposta, ma nella la pratica consapevole del presente.

Per il nostro Blog Luigi Bogazzi ci ha fornito intanto fotografie legate al tema “religione”: tra esse, abbiamo scelto una particolarmente illuminante sugli attuali tempi vissuti dalla Chiesa cattolica. Una suora è stata ripresa di spalle mentre osserva sull’orlo di una scogliera l’orizzonte lontano del mare.

Ricordiamo che le sue fotografie sono senza titolo perché Luigi sostiene che esse non devono richiedere né suggerimenti né tanto meno spiegazioni, devono “parlare” da sole ed ognuno, poi, sarà libero di trarne le interpretazioni del caso. Noi l’avremmo definita, in prima battuta, “La solitudine della Chiesa di Francesco”, perché innanzitutto ci ha colpito la sproporzione tra l’immensità del mare che nasconde le tragedie dei migranti e dei naufragi, da una parte, e l’isolamento della suora, senza mezzi e strumenti, mossa da una scelta compassionevole e dotata soltanto delle mani per soccorrere, dall’altra. Poi, sempre di più, accanto a questa considerazione, ci ha convinto un’altra dedica: ”Il coraggio delle persone di buona volontà”. Come le opere aperte di Eco, questa fotografia offre infatti diverse chiavi di lettura. Tra queste, per noi, la capacità di riprodurre l’astrazione del concetto di “solidarietà” trasformandolo nella concretezza di una donna in attesa, di una presenza silenziosa ma disponibile e partecipe. Non il crocifisso agitato davanti alle telecamere, ma questa fotografia è oggi la carta d’identità di ogni cristiano concretamente tale –non solo a parole – e delle persone col cervello e il cuore aperti.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.