Cittadinanza e interesse generale vs identità

Il fondamento di ogni politica è costruire un consenso sociale. Ma quando la politica si riduce a mera ricerca del consenso, siamo in presenza di una malattia grave della democrazia che, come dice Alessandro Barbano, in Italia ha raggiunto un “picco epidemico come mai era accaduto nella storia repubblicana”. Questa malattia porta ad “un ribaltamento, inedito nelle proporzioni, tra mezzi e fini dell’azione politica, che si risolve nella subordinazione, fino all’annientamento, dei secondi ad opera dei primi. Tutto ciò che a Palazzo si dice e si pensa è puro mezzo, tattica, non più in relazione con qualsivoglia fine, inteso come idea di paese e progetto politico. Anche quando i leader invocano il contratto di governo quale ragione legittimante e finalistica delle loro azioni, mascherano la prevalenza di un tatticismo ancorato a una strenua difesa del consenso … il richiamato contratto non ha alcuna idea di paese, somigliando piuttosto alla giustapposizione di singole misure e rimedi connessi a rivendicazioni e interessi di minoranze organizzate”.

Questo atteggiamento genera alcune conseguenze, dalle quali, a sua volta, riceve ulteriore alimento:
a) Viene tenuto in vita un clima da campagna elettorale permanente, nel quale la contesa politica non diventa mai reale confronto di idee tra le forze in campo sui problemi del paese. Il risultato è un abissale deterioramento della vita pubblica: caduta la necessità di una dialettica finalizzata alla persuasione, la comunicazione politica si alimenta di invettiva, insulto, fake news;
b) Non sappiamo bene cosa vogliono i due vincitori delle elezioni. Sappiamo solo quello che non vogliono. Ma al di la della critica al vecchio establishment,  quali sono i programmi a lungo termine? È chiaro ciò che vogliono demolire, meno chiaro quello che vogliono costruire. Ad esempio: una volta bloccata l’immigrazione, come sarà il futuro di questo paese? Come farà fronte l’Italia alla crisi demografica che l’attende dietro l’angolo?;
c) La terza conseguenza, più importante e più grave delle altre, riguarda la subordinazione del bene comune, dell’interesse nazionale alla “soddisfazione di microinteressi di parte” (l’esempio più evidente è la vicenda TAV). L’opposizione, dice Barbano, deve investire proprio in questi punti di debolezza dei populisti: “Sfidare il populismo vuol dire anzitutto rieducare gli italiani a considerare l’interesse nazionale per quello che è: un vantaggio indiretto dell’intera comunità, non ristretto dal sovranismo allo spazio e al tempo angusto del presente, ma proiettato nel futuro delle generazioni e non riducibile a un dividendo immediato per l’appetito di minoranze organizzate”.  Ma per raggiungere i suoi obiettivi “la politica deve ribaltare il suo rapporto con il consenso: ai cittadini deve chiedere per ottenere, con un lessico della verità, in nome di un patto per riformare un paese invecchiato male. Non promettere improbabili redistribuzioni di ricchezza che non può garantire. E deve soprattutto ridefinire il rapporto della società con la globalizzazione e l’innovazione, dei diritti con i doveri, del mercato con lo Stato, della protezione sociale con il cambiamento”.

C’è poi da dire che se anche la sinistra cadrà nella trappola di concepire la politica unicamente come difesa degli interessi di minoranze o gruppi sociali più o meno vulnerabili, perderà la capacità di costruire una visione comune per il futuro del proprio paese e non avrà, di fatto, nulla di significativo da contrapporre all’antipolitica oggi dominante.
Come dice lo storico statunitense Mark Lilla, è difficile concepire un futuro per la sinistra europea se non deciderà a riorientarsi sul paradigma della cittadinanza. L’importanza di tale paradigma è ben espressa nella citazione (del senatore Edward M. Kennedy) che Lilla pone all’inizio del suo pamphlet “L’identità non è di sinistra”: “Dobbiamo comprendere che essere un partito che ha a cuore i lavoratori è diverso che essere un partito laburista. Essere un partito che ha a cuore le donne è diverso che essere il partito delle donne. Il nostro può e deve essere un partito che ha a cuore le minoranze, ma senza diventare il partito delle minoranze. Prima di ogni cosa, siamo cittadini”.

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