Il guerrigliero liberale

A che gioco gioca Renzi?  È il titolo di un articolo di fondo, a firma di Stefano Folli, pubblicato dal quotidiano La Repubblica il 3 Novembre scorso, per fare il punto sull’ex leader del Pd Matteo Renzi, ora leader di Italia Viva, una ‘start up politica’ (come l’ha definita lo stesso Renzi) da lui fondata circa due mesi fa.
Folli dice che per far crescere questa nuova formazione “centrista e liberale” Renzi  è “capace di dissestare insieme la sinistra tradizionale e la destra moderata”. E aggiunge: “Il ruolo di Italia Viva e del suo capo è quello del guerrigliero: azioni di disturbo, destabilizzanti ma non troppo, stile colpisci e fuggi. Il nemico principale è il Pd di Zingaretti”.
L’editorialista della Repubblica da poi un altro duro giudizio sull’attuale attività politica dell’ex premier.  Dice che: “Se potesse, Renzi farebbe volentieri a meno di Conte. … Ma oggi Conte cadrebbe con tutta la maggioranza … e Renzi non può permettersi le elezioni anticipate perché la sua start up non ha abbastanza fiato per correre”.
In breve: Renzi viene dipinto come un politico spregiudicato, abile nelle manovre di palazzo, ma sostanzialmente privo di una vera strategia politica, il cui intento è fare la guerra al Pd e rendere sempre più fragile la coalizione di cui pure fa parte.

È proprio così? È fondato affermare che il ruolo di Renzi e di Italia Viva sia solo quello di compiere azioni di disturbo per indebolire il Pd e la coalizione di governo?

Questo interrogativo rimanda, a nostro avviso, ad una riflessione sul rapporto tra Renzi e il Pd.

La scissione operata di recente da Renzi ha motivazioni e obiettivi che la rendono diversa, ad esempio, dalla scissione operata due anni fa da Bersani. Il partito fondato da Bersani (Leu) per programmi e obiettivi, somigliava (e somiglia), in piccolo, al Pd prima di Renzi. Tanto è vero che, ad operazione ‘ritorno al passato’ conclusa, si è parlato di un possibile rientro dei fuoriusciti.
Il nuovo partito fondato da Renzi non vuole somigliare al Pd. Né Renzi ha l’obiettivo di riconquistare il suo ex partito. Stando a quanto scrive Luigi Marattin, in una sorte di manifesto politico di Italia Viva pubblicato su Il Foglio del 17 settembre scorso, la prospettiva entro la quale si situa l’azione politica di Renzi e del suo nuovo partito ”va oltre il Pd”.

In Italia, dice Marattin, stiamo vivendo una fase di rimodulazione dell’offerta politica. Si è già costituito un blocco sovranista (Salvini-Meloni) che attualmente è forte e radicato nel paese. Ora è in via di formazione un altro blocco, alternativo al primo, che comprende buona parte del M5s (quella maggiormente legata a Fico e piuttosto diversa dal M5s visto negli scorsi 14 mesi), buona parte del Pd (quella che negli ultimi mesi si è adoperata a cancellare ogni traccia di approccio culturale risalente all’epoca Renzi) e Leu (di cui non a caso si pronostica a breve una confluenza nel Pd). “Il sigillo sul percorso formativo di questo blocco è stata l’intervista a Repubblica di Dario Franceschini – prontamente sposata da Zingaretti – in cui si battezza un’alleanza strutturale tra Pd e M5s”. Questo blocco è meno consolidato di quello sovranista ma vi sono segnali di una gestazione già avanzata.

Una differenza fondamentale tra questi due blocchi –sempre secondo Marattin- è nel modo in cui approcciano la necessità del cambiamento legata al “Grande Shock” della globalizzazione. Il blocco sovranista nega alla radice la necessità di cambiamento, e sostanzialmente “promette un ritorno ai fasti degli anni settanta e ottanta”, guardando ad una economia che fa un ampio se non illimitato utilizzo del deficit . Il blocco alternativo offre una risposta al Grande Shock in parte diversa, basata sulla “protezione passiva dell’individuo” ed un “ripristino ed intensificazione delle tutele del welfare novecentesco” (e di fatto, così, anch’essa elimina la necessità del cambiamento).

Queste due offerte politiche, conclude Marattin, “sono quasi del tutto esaustive dell’attuale panorama, ma non fanno giustizia della domanda politica presente in Italia”; “la parola d’ordine non può essere né negare il cambiamento né proteggere passivamente dal cambiamento, bensì accompagnare al cambiamento non lasciando nessuno solo”. “Al momento manca un’offerta politica che racconti agli italiani che, nonostante le paure disseminate a piene mani in questi anni, il nuovo mondo offre ancora più opportunità che pericoli”.

Renzi  con la sua start up dice di voler sopperire a tale mancanza, ponendosi come riferimento per un settore di opinione pubblica potenzialmente vasto  che non è ancora adeguatamente rappresentato. Detto in termini diversi: la nuova formazione renziana intende dare voce, in via prioritaria, a quella parte di opinione pubblica che viene spesso etichettata come il partito del Pil, il partito di chi vuole scommettere sulla crescita economica del paese.

Se una operazione come questa andasse in porto, se il partito di chi vuole puntare sul la crescita e sul futuro del paese riuscisse ad avere una forte rappresentanza  politica (tale, ad esempio, da risultare necessaria per costituire maggioranze parlamentari) sarebbe più facile capire chi o che cosa ha contribuito, e ancora contribuisce, all’immobilismo di questo paese, che almeno da vent’anni a questa parte non riesce o non vuole mettere a frutto le proprie potenzialità. Sarebbe una azione chiarificatrice sulle vere intenzioni e sulle vere capacità delle nostre classi dirigenti.

Questo è il ruolo che Renzi e Iv si sono dati, stando alle dichiarazioni programmatiche.

Un ruolo complesso e difficile, forse difficilissimo. Non è detto che la nuova formazione e il suo capo saranno in grado di assolverlo. Staremo a vedere. Certo è che dare una rappresentazione quasi caricaturale delle azioni che la piccola compagine liberale staccatasi dal Pd mette in atto al fine di far crescere il proprio peso politico non aiuta a capire la natura della posta in gioco.
È naturale che Zingaretti non gradisca il protagonismo di Renzi, ad esempio la pioggia di emendamenti proposti da Iv al testo della manovra finanziaria (la maggior parte dei quali, comunque, è stata positivamente accolta e fatta propria dal ministro Gualtieri). È meno naturale che tutto ciò che non è gradito a Zingaretti sia classificato come “azione di disturbo”  che, come dice Stefano Folli, “accentua giorno dopo giorno la fragilità della coalizione” di governo.

Certo, l’iperattivismo di Renzi è impressionante. Esso, unitamente alla sua abilità nel fiutare le debolezze altrui e nel saper cogliere l’attimo, può evocare l’immagine del guerrigliero. Ma ciò che veramente accentua la fragilità della coalizione di governo non sono le scaramucce renziane. Ben più pesanti sono le conseguenze dei numerosi diktat imposti dai pasdaran della ‘rivoluzione’ grillina (come la difesa intransigente di misure che drenano ingenti risorse e risultano a impatto zero sulla crescita del paese), per le conseguenze che possono avere anche sul piano del consenso sociale.

Ma la cosa che più lascia perplessi  dell’articolo di Stefano Folli è che dopo aver tanto criticato l’attivismo scaltro di Renzi,  perché potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza della legislatura, mostra di non voler del tutto scartare l’idea che sia meglio tornare al voto subito, perché “del resto – dice- l’attendismo rischia di agevolare Salvini più di uno scontro frontale” (!). Viene da chiedersi: a che gioco gioca Repubblica?

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