Fine vita: la storica sentenza della Consulta

Ognuno è libero di giudicare, non di mentire

La sentenza della Consulta ha stabilito che Marco Cappato non può essere incriminato per aver accompagnato il Dj Fabo a morire in Svizzera. Fabo, dopo un incidente, era rimasto cieco, tetraplegico e in preda a sofferenze terribili. Egli, coscientemente, ha definito la sua “vita” solo tortura ed ha deciso di porle fine – dopo quasi tre anni – con a fianco la sua compagna, che lo ha sempre amorevolmente sostenuto in questa difficile esperienza.

Affermare che coloro che sono favorevoli alla libertà di scegliere il proprio decesso siano messaggeri di morte e fautori di uno stato eticamente malvagio, complice di assassini (come fa Salvini mentendo: “Sono contrario al suicidio di Stato imposto per legge”) sarebbe come affermare che tutti coloro, i quali decidono di accogliere la morte solo quando –indipendentemente dallo stato dell’organismo vegetativo o in coma irreversibile- l’idratazione e l’alimentazione artificiali abbiano fatto il loro decorso,  siano dei masochisti per sé e sadici nei confronti degli altri, inoltre siano fanatici sostenitori della tortura corporale da parte di uno stato aguzzino. In questo modo si offende ogni persona che ritiene di poter scegliere la propria fine secondo coscienza. L’aspetto importante e decisivo della questione – che deve trovare uniti e concordi i due diversi modi di intendere la morte – riguarda il fatto che mai lo Stato e le sue leggi possano obbligare qualcuno a fare una scelta da lui non condivisa.

Tutti noi dobbiamo rispettare la preferenza di chi decide di affidarsi alle cure mediche – quindi non parliamo, in nessun caso, di “decorso naturale”, per favore – e vivere anche in stato vegetativo e magari senza coscienza. Dobbiamo onorare la scelta di chi vuole protrarre la sua permanenza sulla Terra a qualsiasi condizione, anche se dovesse patire atrocemente, attendendo che la morte avvenga dopo che tutti gli interventi medici (al limite anche attraverso quello che altri giudicherebbero “accanimento terapeutico”), sono stati praticati e quando l’organismo stesso inevitabilmente cede. Ora, è troppo chiedere che lo stesso diritto di vivere – che NON impone il dovere di vivere ad ogni condizione – venga valutato da altre persone in maniera diversa, con una morale differente e che sia a costoro consentito di praticare la conclusione a cui sono giunti? La sentenza della Consulta non costringe nessuno, per ora si limita a non incriminare chi ha accompagnato un suo simile a scegliere la propria morte ed a garantire che non sarà un reato aiutare, in determinate condizioni, il malato a porre fine alla propria sofferenza (ripetiamo “la propria sofferenza” non quella altrui).

La Corte scrive che le “determinate condizioni” riguarderanno colui che “agevola il suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Alla Conferenza Episcopale Italiana, che ha parlato di “sconcerto” di fonte alla sentenza, vorremmo ricordare che il Concilio Vaticano II ha definitivamente sancito la libertà di professare altri culti, altre religioni e che essi, nel loro esercizio, devono venir garantiti dallo Stato. Quindi hanno diritto di praticare la propria fede anche le altre comunità cristiane che non si riconoscono nella Chiesa cattolica. Ebbene, cari vescovi italiani, consentite loro, per esempio ai valdesi, di praticare la propria morale, che è diretta conseguenza del modo in cui essi intendono il Vangelo: la scelta consapevole del fine vita è per essi legittima. All’interno dello stesso cattolicesimo, il più importante teologo vivente, Hans Kung, ha scritto un testo, straordinario per chiarezza e toccante per umanità, “Morire felici? Lasciare la vita senza paura”. Un breve capitolo “Dottrina e prassi ecclesiastica” dimostra che nella storia della Chiesa sono esistite differenti valutazioni rispetto all’eutanasia, ma soprattutto la riflessione di Kung ci indica che il mutamento di paradigma nella visione della vita umana, verificatosi con l’avvento della modernità, deve costringere le persone serie del clero e dei fedeli a interrogarsi nuovamente sulle “certezze” possedute.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.