Democrazia rappresentativa vs ogni forma di democrazia illiberale

“Popolo” e “populismo” non sono sinonimi. Quando Salvini e Di Maio sostengono che la legittimità deriva solo dall’essere stati eletti dal popolo sono populisti, perché usano la parola “solo”. Cioè negano valore alle altre istanze della democrazia rappresentativa. Populismo è questo: tra il capo o l’eletto e il popolo non vi è null’altro. Perciò la professione di populismo è espressione di una cultura illiberale e l’anticamera di una visione autoritaria del potere.

Se c’è del vero in questo ragionamento allora è corretto dire che le idee di Salvini e Di Maio devono destare preoccupazione. Ma il pensiero di Di Maio e del M5s desta un grado di preoccupazione maggiore proprio per la teorizzazione della democrazia diretta come la forma migliore di democrazia. Una democrazia che disdegna corpi intermedi, bilanciamenti ed è insofferente nei confronti delle procedure è un sistema che conduce al dispotismo. Per fortuna la nostra Costituzione su queste questioni è bene attrezzata, prevedendo sia mediazioni e corpi intermedi come strumenti di garanzia di democraticità sia forme di democrazia diretta (i referendum consultivi e deliberativi) come uno strumento, uno dei tanti, cui il sistema basato sulla democrazia rappresentativa fa ricorso in alcune circostanze.

Non conosciamo e non riusciamo ad inventare sistemi politici migliori della liberaldemocrazia ma poi non facciamo altro che lamentarne i limiti (più o meno tutti riassumibili nel costrutto che i sistemi politici democratici non realizzano pienamente ciò che promettono).
E sui limiti della democrazia, di tanto in tanto, si innestano teorizzazioni di un suo possibile superamento.

“Noi non possiamo aspettare i tempi della giustizia” (Giuseppe Conte appena arrivato a Genova dopo il crollo del ponte Morandi); “Di quello che pensano i magistrati me ne frego, Io sono stato eletto dal popolo” (Salvini dopo il suo rinvio a giudizio per abuso di potere); “Faccio giustizia io con le autostrade” (Di Maio sulle responsabilità per il ponte crollato). “Quando una forza politica come la nostra che crede nella teoria della democrazia diretta condivide alcune regole della democrazia rappresentativa e riceve solo il due di picche, il rischio è che una forza politica come la nostra cominci ad allontanarsi dalla democrazia rappresentativa. Io non minaccio nulla, ma c’è il rischio di azioni non democratiche” (Di Maio commentando l’ipotesi di un governo tecnico avanzata dal Presidente Mattarella). “Il presidente dell’INPS si dimetta e si presenti alle elezioni” (Salvini riferendosi a Tito Boeri che ha avvertito sui rischi cui si va incontro modificando la riforma delle pensioni). Sono frasi pronunciate dai politici ora al governo. Sono il tipico prodotto di una mentalità populista.
Il M5s promette più democrazia ma da quello che dicono e da quello che fanno non risulta evidente. Quando poi si sostiene che il Parlamento presto “perderà la sua funzione“, allora si è in presenza di una idea di società diversa da quella descritta nella nostra Costituzione. E che l’idea di società di cui è impregnata la cultura del M5s e della Lega contiene in sé i germi del totalitarismo lo dimostra l’esplicita dichiarazione, inserita nel Contratto di governo, di voler modificare l’art. 67 della Carta costituzionale introducendo “forme di vincolo di mandato per i parlamentari, per contrastare il sempre crescente fenomeno del trasformismo”. Il non vincolo di mandato è uno dei più importanti principi che governano una democrazia liberale perché garantisce la libertà di chi è eletto. Luigi Einaudi, in Assemblea Costituente si espresse in questi termini: “Il mandato imperativo è la morte dei Parlamenti. Il Parlamento si chiama così da parlare, e non solo perché si parla, ma anche perché si discute e si tenta di persuadere gli altri e anche perché ci sono uomini che sono volenterosi e pronti ad essere persuasi, quando l’argomentazione altrui sia buona. Il mandato imperativo contraddice a questa esigenza fondamentale dei Parlamenti e, quindi, è contrario a quelle che costituiscono le esigenze di una vita libera parlamentare propriamente detta”. Non si può a priori criminalizzare chi cambia idea dicendo che è un voltagabbana o un venduto, come fanno i grillini. Solo chi ha una mente rigida o etero diretta è vocato a non cambiare mai idea; e solo chi ha una concezione autoritaria considera ciò una virtù. I populisti, poi, sono ossessionati dall’idea del complotto, vedono complotti ovunque, e parlano sempre di trasparenza, vista come uno strumento per scongiurarli. In questa ossessione c’è una perfetta coincidenza di idee con Benito Mussolini che, infatti, in Italia fu il primo (e per fortuna anche l’unico) ad abolire il voto segreto.

Realmente, la democrazia rappresentativa, cioè la democrazia nell’unica forma che conosciamo, è sotto attacco, sottoposta continuamente a critiche e giudizi negativi dai populisti. Come siamo arrivati a questo?
Il prof Sergio Fabbrini dice: “Già negli anni del dopoguerra faceva parte dell’armamentario comunista che la politica fosse corrotta.  Mani pulite parlava di democrazia corrotta dalle radici. I giornalisti hanno rafforzato l’ida che ci fosse una coincidenza tra lo stato e il malaffare (vedi libro sulla Casta). E se lo stato è malaffare allora prima o poi arriverà qualcuno che ne considererà legittimo l’abbattimento”. Dice ancora Fabbrini: “Con Salvini la massa informe dell’antipolitica trova finalmente un contenitore e una sua logica politica”. La sinistra, insieme a tutte le altre forze dell’opposizione ha il compito non solo di combattere le diseguaglianze ma anche di difendere la democrazia.

Sul piano teorico non vi sono serie elaborazioni che insidiano il concetto di democrazia rappresentativa. Sul piano pratico non si può invece negare che nel momento attuale insidie ve ne siano e siano preoccupanti. Esse derivano, in misura prevalente, dal fatto che nei paesi i cui sistemi politici si basano sulla democrazia rappresentativa il rapporto tra cittadini e politica è in crisi e, su questa crisi, si inseriscono ipotesi che vanno dal fantasioso al preoccupante. Inoltre, coloro che parlano di democrazia diretta come possibile futura alternativa alla democrazia rappresentativa spesso fanno riferimento al fatto che lo sviluppo tecnologico e internet rendono tecnicamente possibile il ricorso frequente alla consultazione della volontà dei cittadini.
Archiviamo tra le ipotesi fantasiose quelle che prevedono che su qualsiasi problema si consulti sempre e comunque direttamente tutti i cittadini. I problemi seri da prendere in considerazione sono altri. Un rapporto più stretto e diretto tra chi governa e i cittadini è, di per sé, garanzia di leggi migliori?
È veramente utile mettere in piedi una quantità di consultazioni dirette dei cittadini? È sempre utile per far nascere leggi buone?
Sostenere che la democrazia diretta sostituirà tra non molto la democrazia rappresentativa è una ingenuità (ovvero una sciocchezza) oppure nasconde un inganno ovvero la mascheratura dell’intenzione di sostituire il sistema democratico con un sistema nel quale una elite di cittadini che controlla e manipola strumenti di voto elettronico, avocando a sé la capacità di interpretare il volere della maggioranza, di fatto istituisce una moderna dittatura.

Bisogna comunque non accantonare l’idea di una grande riforma degli strumenti della democrazia rappresentativa per rendere il sistema più efficiente e anche meno costoso. E soprattutto bisognerebbe favorire la partecipazione dei cittadini alla vita democratica non solo con il voto ma anche nella fase di elaborazione e della gestione delle norme che regolano la vita sociale, nonché prevedere forme diffuse di educazione alla cittadinanza.

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