A margine del sinodo sull’Amazzonia

Charles Péguy, in uno scritto, pubblicato postumo, caratterizzava il «Partito dei devoti» composto da coloro che «poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non hanno il coraggio di essere di un Partito dell’uomo, credono di essere del Partito di Dio». Papa Francesco nel suo intervento di chiusura dei lavori del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia ha ricordato questo concetto, al quale affianchiamo altri pensieri di Péguy, i quali ci servono per riassumere la contrapposizione tra la Chiesa di Francesco e la Chiesa dei tradizionalisti:

Non mi piacciono i beati, quelli che credono di essere della grazia perché non hanno forza per essere della natura. Quelli che credono di essere nell’eterno perché non hanno il coraggio di essere nel tempo. Quelli che credono di essere con Dio perché non stanno con le persone. Quelli che credono di amare Dio perché non amano nessuno.”

La polemica dei tradizionalisti nei confronti del Sinodo, in gran parte incentrata sulle questioni del sacerdozio per uomini sposati e sui nuovi ministeri alle donne (di cui parleremo in un altro articolo), rivela ancora una volta l’idea tradizionalista di “Chiesa”. Una Chiesa astratta, idealmente estrapolata dall’ interpretazione umana di antichi testi, una Chiesa che porta sotto il suo braccio il Catechismo Universale voluto da Benedetto XVI e con il quale vorrebbe che si uniformassero popoli e individui, senza tener conto che l’Eternità non è prerogativa della sua costruzione ideologica, ma, per chi ci crede, della Vita al di là di questo mondo.

Rimandiamo al nostro Il Sinodo per l’Amazzonia/2 le contro argomentazioni nei riguardi di coloro che contestano l’opportunità/correttezza teologica degli sposati in funzione eucaristica. Inoltre segnaliamo una pagina centrale di Il Foglio del 30 ottobre c.a. I contributi, molto diversi degli opinionisti intervistati, consentono una visione d’insieme di quanta distanza intercorra tra posizioni oramai estreme. Prendiamo, come esempi di valutazioni contrapposte di cattolici “ortodossi”, quella enunciata da Aldo Maria Valli e quella di Lucetta Scaraffia.

Il Valli, chiarendo le ragioni della sua scelta, testimonia sia  i suoi riferimenti dottrinali (la teologia precedente il concilio Vaticano II e l’opera di Benedetto XVI) sia la forza di un passato che sopprime le richieste di una storia umana sempre in evoluzione: “Io sono così vecchio che i preti cattolici li voglio celibi…sono affezionato al prete celibe perché in lui vedo l’Alter Christus……oggi siamo abituati al prete assistente sociale e al prete intrattenitore…non si riesce più nemmeno a concepire che il ministero sacerdotale possa avere una dimensione asceticail celibato, disse una volta Benedetto XVI “è il segno che posso fondare la mia vita su Cristo”, sulla vita futura. Ma Ratzinger era antipatico”.

Lucetta Scaraffia che, pur partita da un elogio del celibato, “adesso, dopo anni che lo vedo più da vicino, vissuto nella sua realtà concreta, ho accumulato molti dubbi: può diventare una condizione tremenda di solitudine, di aridità, di durezza, anche quando si vive sul serio e non è l’ipocrita copertura di un peccato, che fatalmente porta a disprezzare quella sessualità che si pratica di nascosto…” e ricorda, elemento drammatico che non viene mai menzionato perchèsottovalutato “le molestie e gli abusi sulle religiose che sono numerosissimi..”.

Chiude gli interventi lo scritto –ironico e preciso – del vicedirettore del Foglio Maurizio Crippa, in totale contro tendenza rispetto al pensiero del vaticanista del Foglio Matzuzzi. “…non c’è dogma, non c’è forma assoluta ed immutabile se non per chi crede di “essere nell’eterno” perché non ha il coraggio di “essere nel tempo” …non si sta parlando di far sposare i preti ma di far diventare presbiteri uomini sposati laddove c’è necessità…”.

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