Tradizionalisti: un cristianesimo in rotta con la storia
Questo articolo è la presentazione di un saggio su “I cattolici tradizionalisti” (consultabile in questo blog nella Categoria “Approfondimenti e Documentazione di supporto”) nel quale viene svolta una analisi puntuale su una contrapposizione, che esiste oggi nella chiesa cattolica, tra coloro che sono aperti al cambiamento e all’incontro con le altre religioni e coloro che, nel nome di una rigorosa fedeltà alla tradizione, hanno un atteggiamento di chiusura e si oppongono a qualsiasi cambiamento.
I cattolici tradizionalisti hanno preso come loro bandiera, in contrapposizione alla Chiesa di papa Francesco, il pensiero e l’azione di Benedetto XVI, in fatto di religione, e il sovranismo alla Salvini, in fatto di scelte politiche. Che cosa centrino questi due punti di vista, esemplificati in Salvini e Benedetto XVI, diventa comprensibile se si esamina il modo di intendere politica e fede da parte dei cattolici leghisti (in questo blog:“I cattolici della Lega: il loro mondo e la loro Chiesa” 1 – 2 – 3 – 4 ).
Benedetto XVI, più a ragione che a torto, è visto come il papa che, sul piano dell’ecumenismo e del confronto culturale con “l’altro”, ha confermato le radici cristiane dell’Europa contrapposte alle “cose cattive e disumane” di Maometto e del Corano, quindi è visto come il papa che ha impedito “l’islamizzazione crescente” voluta dai poteri forti, massoni e anticristiani (in questo blog: “Dove sta andando la Chiesa di papa Francesco?” seconda e terza parte); il papa che ha identificato il male supremo nella “dittatura del relativismo”, rifiutando quindi ogni apporto proveniente dalla Riforma e dal pensiero dell’Illuminismo e fissando la sua Chiesa alle norme, regole e precetti partoriti nel Medioevo; il papa che ha continuato a garantire l’esistenza di una Verità assoluta di cui è depositaria la Chiesa cattolica (di riflesso coloro che ne fanno parte) e che questa certezza assoluta consiste nell’indefettibilità di comportamenti ed azione che nel corso dei secoli questa stessa Chiesa ha mantenuto, mai errando (beninteso sul piano della morale e della fede).
Nella
nostra epoca di mutamenti rapidi, di instabilità economica, di rimescolamento
sociale, e infine, dal punto di vista esistenziale, di identità culturali
soggette a ridefinizione, i tradizionalisti vedono quindi in Benedetto XVI il
loro legittimo papa, il baluardo contro l’instabilità della diversità, la fonte
di sicurezza e di conferma di percorsi già noti, la possibilità di delegare il
proprio agire a norme e principi validi sempre e ovunque.
La Chiesa di Francesco, al di là dei
numerosi punti in comune che la zavorrano assai, rallentandone il movimento in
avanti, è invece caratterizzata dal “discernimento”,
cioè dalla necessità di distinguere le situazioni ed i comportamenti,
costringendo ad assumersi – laici e clero- la responsabilità dell’interpretazione
dei fatti; poi, con il suo costante
richiamo alla “fratellanza” col diverso, ai principi essenziali del
cristiano (la carità evangelica), alla necessità di superare barriere culturali
e sociali (“ponti contro mura”) costringe, la Chiesa di Francesco, a rivedere
credenze accumulate negli anni e convinzioni che avevano caratterizzato la
precedente identità cattolica.
Eppure la proposta religiosa di
Benedetto XVI, anche se confortante e rassicurante nel suo evitare dubbi e
turbamenti, non è credibile e, se
esaminata criticamente, non può dare la sicurezza identitaria che promette.
La nostra tesi, che articoleremo in cinque
articoli, è diretta a dimostrare l’inconsistenza dell’interpretazione teologica
di Benedetto XVI quando si confronta con gli eventi della storia per dimostrare
l’infallibilità del Papa e la stabile coerenza della Chiesa (i due fattori
principali di “assopimento sereno” per le coscienze ancora gregarie). A nostro
parere, anche in tema di fede e di morale, i Papi hanno commesso errori e la
Chiesa ha attraversato, nel corso dei secoli, cambiamenti sostanziali, non
marginali: l’ultimo con la dichiarazione “Dignitatis Humanae” del Concilio
Vaticano II.
Appena eletto, nel 2005, il papa Ratzinger così ha commentato l’anniversario della conclusione del Vaticano II (1965):
“Qual è stato il risultato del Concilio? È stato recepito nel modo giusto?…Nessuno può negare che, in vaste parti della Chiesa, la recezione del Concilio si è svolta in modo piuttosto difficile, anche non volendo applicare a quanto è avvenuto in questi anni la descrizione che il grande dottore della Chiesa, san Basilio, fa della situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea: egli la paragona ad una battaglia navale nel buio della tempesta, dicendo fra l’altro: “Il grido rauco di coloro che per la discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della fede …”. Emerge quindi la domanda: Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione…” .
Noi cercheremo di dimostrare che il tratto distintivo del pontificato di Benedetto XVI è stato l’aver voluto interpretare il Concilio in modo tale da ricondurre il mondo cattolico all’interno di un orizzonte religioso in cui potessero sparire i semi (profetici e non del tutto espressi in maniera conclusa) del Vaticano II e venisse impedito ogni sviluppo profondo nella direzione del cambiamento del sistema Chiesa. Il tema della morale sessuale (niente contraccettivi), del sacerdozio alle donne (negazione assoluta), del celibato dei preti ((obbligo per tutti), dell’ecumenismo, della indagine teologica, dei diritti civili in generale (dal “fine vita” ai Dico), ha visto la ricerca e l’opera del teologo Ratzinger orientate non al semplice rifiuto, ma ad una ragionata e articolata difesa delle scelte retrive e conservatrici della sua Chiesa.
Ciò è avvenuto attraverso l’applicazione, da parte di Benedetto XVI, di un modello interpretativo in cui le contraddizioni tra il messaggio, sempre nuovo e vivo, lasciatoci da Gesù, da una parte, e, dall’altra, i morti dettami di una fede, oggi inattuale e superata, venissero risolte e ricomposte a favore di questa fede. Si è così realizzata la scomparsa della vitalità del Vangelo, capace di parlare alle donne e agli uomini di epoche diverse per rispondere in modo necessariamente nuovo a domande nuove. Al suo posto il Papa ha innalzato una Chiesa medioevale che confermava la continenza prematrimoniale, il peccato della pillola, un ecumenismo fondato sulla premessa della supremazia cattolico romana, un dialogo con l’Islam basato sul pregiudizio, la fine di ogni apertura al tema del celibato dei sacerdoti e del sacerdozio per le donne. Per il teologo Ratzinger, inoltre, gli inevitabili cambiamenti comunque introdotti dal Concilio (il più importante è stata la Dichiarazione della libertà religiosa) dovevano essere riproposti con un nuovo vestito, cioè presentandoli come frutto di una interpretazione corretta della storia della Chiesa, interpretazione che garantisse la sua infallibilità nel corso del tempo. Si trattava quindi di “addomesticare” anche la parte più innovativa del Vaticano II, proprio la dichiarazione della libertà religiosa della “Dignitatis Humanae”.
Ecco quindi la funzione della sua metodologia, “l’ermeneutica della riforma nella continuità”, necessaria a falsare (il termine è pesante e cercheremo di giustificarlo) e rendere inoffensivo un concetto altrimenti fortemente innovativo – almeno per la Chiesa cattolica – quale quello della libertà pubblica di culto per ogni fede.
L’ ermeneutica di Benedetto XVI si è posta infatti l’obiettivo di spiegare in che modo l’ aggiornamento e la trasformazione di alcuni aspetti della vita della Chiesa, promossi dal Vaticano II per una reinterpretazione ed attualizzazione del Vangelo, non fossero cambiamenti originali, salti di “qualità teologica” rispetto a un passato di papi e gerarchia ancorati ad una lettura medievale del Vangelo, non fossero segnali evidenti di “discontinuità” perché questo eventuale riconoscimento avrebbe rimesso in discussione chiusure e rifiuti, disposti dalla Chiesa nel passato e valutati invece “infallibili” e definitivi. Lo sforzo di Benedetto XVI è stato quindi indirizzato a dimostrare la possibilità che questi cambiamenti venissero considerati come inevitabili sviluppi di una Verità eterna ed originaria, la quale ha sempre accompagnato la vita della Chiesa in ogni momento della sua storia e che, dalla Chiesa, essa non è mai stata dimenticata; perciò – attraverso l’elaborazione di un pensiero la cui fondatezza storica tuttavia non viene da lui dimostrata – egli ha potuto sostenere la presenza immutabile, nella pratica e nella teoria ecclesiastica, degli stessi primigeni elementi di fede e di morale, dall’epoca dei Vangeli al Terzo Millennio, a conferma di una Chiesa che, sulle questioni di fede e morale, non ha mai modificato il suo giudizio.
Purtroppo, per giungere a questa conclusione, Benedetto XVI ha dovuto misurarsi con la Storia, coi fatti concreti del passato e della vita degli umani, e qui ha rivelato tutta la debolezza della sua filosofia, che è inattaccabile quando resta astratta e metafisica, ma appena si confronta con la realtà dimostra tutta la sua inconsistenza (in questo blog: vedere come la visione ideologica del Papa emerito si è confrontata con l’Islam, in “Realizzare l’incontro tra diverse culture. Prima e seconda parte” oppure col problema della pedofilia, in “Benedetto XVI e il ’68. Prima, seconda e terza parte”). Inoltre Benedetto XVI, per quanti sforzi abbia fatto per venire incontro ai “tradizionalisti radicali” – quelli che addirittura non sono disposti neppure ad accettare il Vaticano II come lo ha interpretato in maniera distorta Benedetto XVI, ma lo rifiutano in toto – ha scontentato anche la loro richiesta di delegittimazione del Concilio.
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