Il catechismo di nessuno tocchi Caino

Da “Repubblica” 3-8-2018

IL CATECHISMO DI NESSUNO TOCCHI CAINO

di Alberto Melloni
(ordinario di storia del cristianesimo. Ha diretto nel 2017 i tomi di Benedetto XVI e Lutero del Mulino).

Papa Francesco ha approvato la modifica del n. 2267 del catechismo della Chiesa cattolica. Fino a ieri quel testo ammetteva che i casi di assoluta necessità di soppressione del reo erano “oramai molto rari se non addirittura praticamente inesistenti”: Francesco ha modificato quel dettato ed escluso in ogni caso la liceità della pena di morte. L’atto papale arriva 50 anni dopo l’abolizione della pena di mote dalla città del Vaticano, 155 anni dopo il pensionamento di Mastro Titta, il leggendario boia del papa che lasciò il lavoro dopo 564 esecuzioni e 26 anni dopo la pubblicazione del Catechismo.

Un gesto giusto e salutato da entusiasmo. Ma che ha tre aspetti meno ovvi. Il primo riguarda lo strumento: Francesco è restio a scrivere norme. Se ha firmato un “rescritto” non è perché ha cambiato opinione (è abolizionista da sempre, come cristiano e argentino) ma per dare valore a un senso comune dei cristiani. L’antico privilegio dei cappellani delle carceri o il permesso di dare assistenza ai detenuti d’ogni fede ha tenuto una quota piccola ma significativa del cattolicesimo a ridosso del braccio della morte: la storia di suor Helen Prejean, ora ottantenne, è paradigmatica di una azione abolizionista che aveva sostenuto la campagna per la moratoria che aveva trovato sulla sua strada anche movimenti cristiani e non. Col tempo tutti avevano ricevuto simpatia dal papato, adesso trovano un ascolto che diventa norma. E’ un modello.  

C’è però un altro dato che sta scritto nella lettera con cui il cardinale Ladaria, Prefetto della congregazione per la difesa della fede, ha trasmesso ai vescovi il rescritto papale: ha scritto che la posizione del Papa NON è in contraddizione con gli insegnamenti anteriori del Magistero…” giacchè “…il precedente possibilismo si collocava in un contesto sociale diverso…” e in un ambiente in cui “era difficile garantire che il criminale non reiterasse il delitto”. Argomento goffo, privo di una schiettezza biblica che perfino i radicali nel 1993 avevano colto quando fondarono “Nessuno tocchi Caino”. Se Ladaria lo usa è perché ha la sensazione che il Papa debba giustificarsi nel ritoccare un documento sul cui peso c’è una discussione che dura dal 1985. Il catechismo della “chiesa universale” è una invenzione di Ratzinger. L’idea di scrivere un catechismo fu di Lutero; il Tridentino la copiò facendone uno per i parroci; Pio X ne fece uno con le celeberrime domandine per la diocesi di Roma e la sua diffusione globale fu spontanea. Poi venne il catechismo olandese, nel ’69, poco gradito a Roma ma che postulava un protagonismo delle chiese locali. Ratzinger sostenne l’esigenza di un catechismo universale: lo ottenne dal sinodo del 1985 e lo finì nel 1992. Un testo con parti (sulla preghiera) ricche di tecnicismi morali assurdi (agli omosessuali Dio avrebbe dato la vocazione obbligatoria alla castità) e astuzie politiche (la ri-legittimazione della guerra giusta contro la “Pacem in Terris”) Al catechismo Ratzinger ha sempre dato un valore “magisteriale” come atto “universale” a cui i vescovi devono allinearsi. Francesco ha una idea diversa dell’autorità dei vescovi: quando tocca il Catechismo sa di entrare in un terreno sensibile, lo ha fatto con cautela, quasi volesse indicare un esempio di come il sensus fidei del popolo di Dio può dialogare con l’autorità.

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